La storia del film di Borderlands è una di quelle lunghe e travagliate: le prime testimonianze del progetto tratto dalla saga videoludica di Gearbox risalgono addirittura al 2015, anno dell'annuncio ufficiale della produzione, ma dopo qualche avvicendamento sul fronte degli sceneggiatori e una certa confusione attorno alla regia la pellicola è scomparsa dai radar dell'industria per circa un lustro. Poi, nel febbraio del 2020, sono improvvisamente sbucati i nomi di Eli Roth (Hostel, The Green Inferno) e Craig Mazin (sceneggiatore di Scary Movie e un paio di Una Notte da Leoni), seguiti a stretto giro da quello dell'interprete di Lilith, nientemeno che la premiata attrice Cate Blanchett, che fra le altre cose dichiarò a Empire di aver compiuto tale scelta "anche a causa della follia dovuta al Covid".
Di lì a breve iniziarono a emergere i nomi degli altri membri del cast, su tutti quelli di Jamie Lee Curtis, Jack Black e Kevin Hart, poi la sceneggiatura originale di Mazin fu quasi totalmente riscritta, le riprese ebbero inizio e il progetto giunse a compimento - o almeno così sembrava - nel giugno del 2021. Da quel momento in avanti, infatti, non è dato sapere cosa sia accaduto: in seguito a due anni di vuoto, nel 2023 si sono tenute delle sessioni di reshooting sotto il regista Tim Miller, mentre Mazin ha scelto di rimuovere il proprio nome dal progetto, consegnando al pubblico un risultato che, apparentemente, è passato attraverso diverse metamorfosi prima di raggiungere le sale. Nella recensione di Borderlands, dopo qualche trailer che è stato sufficiente per mandare gli appassionati su tutte le furie, possiamo finalmente tirare le somme sul prodotto finito.
Il mondo, l'ispirazione
La pellicola si apre con una lunga sequenza narrata che delinea la struttura e i retroscena dell'universo di Borderlands, presentando nel dettaglio il pianeta Pandora, la figura dei cacciatori della misteriosa Cripta degli Eridiani, l'universo dominato dalle megacorporazioni e tutti i restanti pilastri della formula videoludica targata Gearbox.
Ed è proprio lì, in quella parentesi fortemente didascalica, che si nasconde il più grande problema del film di Eli Roth: anziché sfruttare l'interezza dell'ora e quaranta minuti per esplorare con naturalezza l'immaginario del franchise, lasciando che siano le immagini, i dialoghi e le situazioni ad alzare lentamente il sipario su un'ispirazione che al pubblico di massa risulterà totalmente aliena - diversamente da come accaduto, per esempio, nella serie Fallout - si perde nell'inseguimento di una sceneggiatura che dimentica l'importanza del pianeta Pandora e la folle caratterizzazione dei suoi abitanti, probabilmente gli elementi principali della ricetta.
È allora che l'ottima costruzione delle ambientazioni, i costanti rimandi ad armi e avversari effettivamente presenti nel videogioco, e persino la comparsa di volti celebri come Moxxi e il venditore d'armi Marcus, finiscono per diventare una semplice scenografia che fatica a incastrarsi nelle pieghe del racconto, riducendosi a un sottofondo pensato per strizzare l'occhio agli appassionati che rimane, tuttavia, quasi pietrificato di fronte a una narrazione che mette totalmente in secondo piano Pandora, la sua distopia e l'ambizione dei Cacciatori della Cripta. Il Borderlands di Eli Roth è, e rimane fino ai titoli di coda, la storia della nuova Lilith interpretata da una svogliata Cate Blanchett.
Si potrebbe sollevare, a tal proposito, un'ulteriore questione: dove risiede, davvero, l'anima del videogioco Borderlands? Non sarebbe una sorpresa scoprire che gli autori si sono posti questa stessa domanda senza riuscire a individuare una risposta convincente, trovandosi di fronte a un canovaccio nato per funzionare nell'orbita di un videogioco sparatutto cooperativo, per sua natura perlopiù manchevole di una costruzione del mondo e dei personaggi in grado di fornire una reale ragion d'essere a una traduzione sul grande schermo. Una volta ridotta la formula ai minimi termini, quel che resta è una pioggia di piombo, una tempesta di provocazioni tra i protagonisti e un uragano di battute del robot Claptrap, ingredienti che Roth e la sua compagine hanno tentato di mescolare in un calderone cinematografico a metà strada fra commedia e azione.
Adattamento
Il rimaneggiamento della sinossi originale era un atto dovuto, perché le radici della saga videoludica crescono attorno a un nucleo nel quale si spara molto, si gioca tanto e si parla davvero poco. Lilith non nasce dunque come semplice Sirena alla ricerca della Cripta degli Eridiani, ma come un'arrogante cacciatrice di taglie forgiata dal fuoco di mille battaglie che viene assoldata dal magnate Deukalian Atlas per recuperare sua figlia smarrita su Pandora, ovvero una Tiny Tina alternativa secondo Ariana Greenblatt. Questa, liberata dal mercenario Roland (Kevin Hart) dalla cella in cui era imprigionata assieme al suo fratellone Krieg (Florian Munteanu), si trova infatti dispersa sul pianeta natale di Lilith, un luogo dal quale la donna si tiene ben lontana dal momento che conserva tutti i tragici ricordi della sua infanzia.
Sarà solo dopo aver fatto la conoscenza del rumoroso Claptrap interpretato da Jack Black che si unirà ai pittoreschi Cacciatori della Cripta, incontrando lungo il tragitto anche l'archeologa Tannis affidata alla recitazione di Jamie Lee Curtis: l'obiettivo comune sarà quello di battere le terre selvagge del pianeta alla ricerca del tesoro degli Eridiani. Nonostante il cast ben assortito - anzi, forse proprio a causa di una compagine tanto ingombrante - da quell'istante in avanti la produzione diventa una macedonia di situazioni e sparatorie connesse da un sottilissimo filo narrativo, un susseguirsi di fughe rocambolesche che si ricordano giusto in dirittura d'arrivo di star puntando verso un obiettivo comune. Talvolta non se ne ricordano affatto, tanto che ci sono personaggi che rimangono totalmente appesi mentre la vicenda giunge a compimento sotto i loro occhi.
Alla prima visione si ha quasi la sensazione che manchi del materiale, che sia stata tagliata la ciccia, perché di fatto, per un centinaio di minuti, s'ingrana la quinta e si corre a tutta birra attraverso i paesaggi extraterrestri verso un finale che, proprio per questa ragione, risulta telefonato per i conoscitori di Pandora e confuso per chi non ha mai sentito parlare del videogioco, troppo spesso manchevole di approfondimenti e di uno sviluppo concreto per i comprimari quanto per l'ambientazione di Pandora.
Qui si nasconde il secondo grande difetto di Borderlands, ovvero l'aver mancato quel soffice terreno di mezzo che rende la visione appetibile per entrambe le estremità dello spettro, quella dei fan incalliti e quella dei neofiti assoluti. Il massimo a cui i giocatori appassionati possono aspirare è riconoscere le silhouette delle armi e dello skyline della città di Sanctuary, mentre c'è il rischio concreto che gli ultimi arrivati, anche a metà del viaggio, si domandino cosa diavolo stia accadendo sullo schermo. Il nome di Borderlands non ha il peso di quello di Sonic, di quello di Mario, neppure di quello del Fallout di Bethesda, eppure gli autori hanno messo totalmente da parte quella procedura di onboarding che ha permesso persino a un ambientazione di difficile digestione come quella dell'Arcane tratto da League of Legends di far breccia nel pubblico di massa.
A mente spenta
Se il mantra contemporaneo sembra divenuto quello d'accogliere a braccia aperte il divertimento spensierato senza porsi troppe domande, il Borderlands di Eli Roth fatica a riempire i suoi 102 minuti con un'esperienza qualitativamente appagante anche sul fronte del puro e semplice intrattenimento. Si potrebbe dire che si tratta di un film che si lascia guardare, di un amalgama da affrontare a mente spenta, di un leggero cocktail a base di battute e sparatorie, ma anche su tale fronte sono davvero poche le istantanee capaci di lasciare un segno.
Certo, le situazioni comiche non mancano, le interazioni fra i protagonisti riescono a strappare qualche sorriso, la follia di Pandora interviene per salvare determinate sequenze, ma le coreografie dei combattimenti si posizionano al di sotto degli standard contemporanei, le scene d'azione sono raramente esaltanti e convincenti, mentre le scenografie, per quanto curate, sono penalizzate da inquadrature claustrofobiche e compresse che ammazzano qualsiasi sensazione di profondità e di dinamismo.
Inoltre i Cacciatori della Cripta si trovano a dover condividere un tempo sullo schermo davvero troppo ridotto per ritagliare il giusto spazio a una caratterizzazione che si spinga di un briciolo oltre l'estetica tipica del videogioco. Basti pensare al fatto che lo psycho Krieg è stato totalmente privato delle "voci nella testa" su cui era interamente fondata la controparte videoludica, mentre il Roland secondo Kevin Hart è probabilmente uno fra i personaggi più vuoti nella storia di questi adattamenti, totalmente abbandonato alla corrente senza l'occasione di vivere una costruzione né una catarsi, destino che si trova a condividere con fin troppi comprimari.
A pesare più di ogni altra cosa è, tuttavia, la mancanza di una reale identità dietro la produzione, un film che sceglie di non ancorarsi a quello humor no-sense che è stato un marchio di fabbrica di Craig Mazin, schiva la deriva splatter che ci si sarebbe potuti aspettare dalla partecipazione di Eli Roth, punta sulla sicura comicità del prodotto PG-13 e finisce di conseguenza per non assecondare le esigenze di nessuno, neppure quelle di chi si aspettava un'esperienza leggera, frenetica e divertente. Insomma, il film di Borderlands è un buffet di situazioni ambientate sul pianeta Pandora che si sforza con fatica di rendere onore al videogioco da cui è tratto, ai membri del cast e alla formula dell'adattamento cinematografico, ma finisce per richiamare molto da vicino i matrimoni fra i due media che hanno pigramente segnato gli anni '90.
Conclusioni
Multiplayer.it
4.5
Il film di Borderlands potrebbe rappresentare un tassello fondamentale per il futuro delle produzioni tratte dai videogiochi, ma non per le ragioni giuste: è, infatti, la prova definitiva che tali adattamenti non possono funzionare senza il perseguimento di un'idea a fuoco e uno standard qualitativo soddisfacente, per lo meno sul fronte dell'intrattenimento. Non riuscendo a intercettare il terreno di mezzo fra appassionati del videogioco e pubblico di massa, mancando di sfruttare l'immaginario e le caratteristiche uniche dell'universo narrativo di Gearbox, nonché posizionandosi al di sotto dello standard contemporaneo a base d'azione e comicità, si presenta di fatto come un'eco tirata a lucido dei primi matrimoni embrionali fra il mondo del cinema e quello dei videogiochi, un amalgama che riesce a strappare qualche sorriso ma si dimentica la mattina seguente.
PRO
- Tanti riferimenti visivi al videogioco
- A volte Claptrap fa ridere
- Jamie Lee Curtis è l'unica che ci crede davvero
CONTRO
- Sceneggiatura frettolosa, trama telefonata
- Pochi guizzi per i fan, poche spiegazioni per i neofiti
- L'immaginario di Pandora è poco sfruttato
- Coreografie e azione sotto gli standard