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Final Fantasy XIV: Shadowbringers, la recensione

La nuova espansione di Final Fantasy XIV è un appuntamento imprescindibile per ogni fan della saga Square Enix che si rispetti

RECENSIONE di Christian Colli   —   15/09/2019

Probabilmente qualcuno si starà chiedendo come mai ci abbiamo messo tanto a pubblicare la recensione di Final Fantasy XIV: Shadowbringers, la terza espansione del MMORPG Square Enix che è ormai uscita da un paio di mesi. Mettetevi comodi, perché è una storia interessante. Abbiamo seguito con attenzione l'evolversi di Final Fantasy XIV ma, ahinoi, ci eravamo fermati al primo aggiornamento dell'ottima espansione Heavensward, due o tre anni fa. Il tempo è tiranno, ci sono tanti altri giochi da seguire e tutto il resto, lo sapete. In seguito, quando uscì la seconda espansione, Stormblood, Square Enix non ci inviò alcun codice per coprire l'evento, e così rinunciammo a tornare su Eorzea anche in quella occasione. Così, quando abbiamo invece ricevuto il codice di Shadowbringers per scaricare e giocare la nuova espansione al lancio, ci siamo trovati a dover completare la campagna - detta anche Main Scenario Quest - di Heavensward che avevamo lasciato in sospeso, poi quella di Stormblood e infine le missioni di transizione tra la seconda e la terza espansione.

Stiamo parlando di oltre duecento missioni comprensive di cinematiche, lunghi dialoghi, spostamenti, dungeon e combattimenti. Chi gioca a Final Fantasy XIV sa che la campagna funziona in un modo un po' diverso rispetto a MMO come World of Warcraft: non potete avventurarvi nelle nuove zone e sbloccare le feature di un'espansione senza arrivarci seguendo la storyline. Fortunatamente, Square Enix ci ha fornito un paio di codici - servizi solitamente a pagamento per i giocatori comuni - per "saltare" le campagne delle espansioni e cominciare subito Shadowbringers con un Job livello 70. Solo che noi quei codici non li abbiamo usati. Perché avremmo dovuto rovinarci la parte migliore di Final Fantasy XIV, e cioè la storia? Quindi ce la siamo presa comoda, abbiamo affrontato le campagne rimaste in sospeso e per buona misura abbiamo anche completato tutti i raid opzionali che Square Enix ha pubblicato nel tempo. Tanto ci è piaciuto Final Fantasy XIV, un MMORPG che sicuramente ha avuto alti e bassi, ma che ci ha appassionato come un vero Final Fantasy tradizionale. Ed è in questa ottica che poi abbiamo cominciato, finalmente, Shadowbringers.

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La storia al rovescio

La nostra corsa verso la nuova espansione è stata come un giro sulle montagne russe. Salite faticose, discese avvincenti, momenti di calma, colpi di scena e qualche imprecazione. La sceneggiatura di Natsuko Ishikawa si piega ai ritmi di un MMORPG, un genere che per sua stessa natura deve necessariamente stringere i giocatori nella sua morsa e diluire i contenuti nel tempo, visto che quel tempo si paga con un abbonamento mensile. Ishikawa, però, ha approfittato di questa dilatazione per riempire di dettagli uno dei mondi online più particolareggiati in cui abbiamo avuto il piacere di vivere una vita virtuale. Shadowbringers, in questo senso, rappresenta il climax di una partita a scacchi durata anni in cui Yoshida e i suoi hanno caratterizzato comprimari e antagonisti, raccontato miti e leggende, seminato indizi e citato la mitologia del franchise di Final Fantasy a più non posso. Così, quando abbiamo affrontato Zenos yae Galvus in duello, sembrava che fosse ormai giunta la fine per l'impero di Garlemald, quando invece stava per cominciare una battaglia completamente diversa.

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Shadowbringers, infatti, non si svolge nel mondo che abbiamo imparato a conoscere, ma in un altro "riflesso" di Hydaelyn, una dimensione parallela comunemente chiamata First. È da questo regno che provenivano i Guerrieri dell'Oscurità che abbiamo affrontato tra Heavensward e Stormblood: scopriamo infatti che un secolo prima del nostro arrivo, i cinque guerrieri hanno sconfitto le forze del male con l'aiuto degli Ascian, ma così facendo hanno causato uno squilibrio nell'ordine naturale delle cose, sicché il mondo è ora immerso in un giorno perpetuo e non cala più la notte. Con l'aiuto degli Scion giunti nel First prima di noi, scopriremo di dover assumere a nostra volta il ruolo inverso di Guerrieri dell'Oscurità: il nostro compito sarà stanare e sconfiggere i mostruosi Sin-Eater che dominano la regione di Norvrandt, così da ripristinare il ciclo giorno/notte e mettere fine al dominio della luce prima che invada anche la nostra dimensione d'origine. Si tratta, ovviamente, di una prospettiva piuttosto inusuale, sebbene di ambigue ci siano soltanto le definizioni.

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La parola ai personaggi

Quello che distingue Final Fantasy XIV da praticamente ogni altro MMORPG ancora in commercio è l'incredibile attenzione riservata ai personaggi secondari. Il nostro alter ego è un predestinato, l'eroe o l'eroina che tutti guardano con ammirazione, una figura stereotipata e poco interessante: i veri protagonisti, in effetti, sono tutti i nostri comprimari, e le nostre avventure sono un riflesso di quelle che vivono loro insieme a noi. Nel corso di quattro campagne, Final Fantasy XIV stabilisce un legame indissolubile che in Shadowbringers esplode finalmente nella sua pienezza: la nuova Main Scenario Quest è una storia di redenzione e di ritrovamento, ma non è solo la nostra. Ardbert, il personaggio che compare in tutte le cinematiche introduttive e che rappresenta il giocatore, assume finalmente un'identità vera e propria, rappresentando il Guerriero della Luce che ha fallito e che adesso può solo osservare il Guerriero dell'Oscurità mentre salva il suo mondo. È una metanarrazione geniale che coinvolge e commuove.

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La bravissima Ishikawa, però, non si limita ad approfondire i nostri compagni di viaggio - specialmente Alisaie e Alphinaud, con un occhio di riguardo per il tormentato Thancred - ma anche i nostri rivali. Brevi cinematiche ci informano su quello che sta succedendo nel mondo sorgente mentre combattiamo per il First e tratteggiano un'inquietante anteprima delle minacce che dovremo affrontare in futuro. E noi possiamo solo assistere impotenti, per giunta seguiti da Emet-Selch, il sarcastico patriarca degli Ascian che Ishikawa ha caratterizzato talmente bene da trasformarlo in uno dei nostri villain preferiti in tutta la saga. Un po' Kefka, un po' Ardyn, Emet-Selch non è un semplice megalomane, ma una figura tragica che mette costantemente in discussione le nostre convinzioni sulla distinzione tra bene e male, luce e oscurità. Shadowbringers è qualcosa di più che una semplice espansione: al netto di qualche passaggio un po' più lento, specialmente nella fase centrale della campagna, la storia di Ishikawa e Yoshida non solo riconferma la qualità di Final Fantasy XIV in termini di narrativa, ma colloca facilmente il MMORPG Square tra i migliori capitoli nel trentennale franchise.

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Da un dungeon all'altro

Siamo rimasti piacevolmente colpiti dal Trust System che consente ai giocatori di affrontare i dungeon normali (detti anche Duty) insieme a un team di comprimari controllati dall'intelligenza artificiale. Questo stratagemma evita che i damage dealer soffrano estenuanti tempi di attesa - anche se noi, giocando Samurai, non abbiamo aspettato quasi mai più dieci minuti a dungeon - e consente di affrontare subito ogni nuova sfida in compagnia dei vari Scion. La storia ci impone inizialmente i nostri compagni e, come in un vero e proprio JRPG, non si spaventa a cambiare il team nel corso della Main Scenario Quest, adeguandolo agli sviluppi della sceneggiatura. Nei dungeon i nostri compagni artificiali si comportano meglio dei giocatori umani: gli script di Square Enix sono praticamente infallibili, sebbene ci voglia un po' più tempo a completare gli incarichi dato che i PNG infliggono sensibilmente meno danni rispetto ai veri giocatori. Speriamo che Yoshida si decida a implementare il sistema anche nei dungeon antecedenti all'espansione.

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I nuovi dungeon, proposti nella storia in modo sensato, a compimento di lunghe catene di missioni, ci sono piaciuti moltissimo. Square Enix ha effettivamente azzeccato la formula ideale per il tipo di MMORPG che sta supportando, in cui anche i dungeon raccontano una storia e i nemici sono pura e semplice carne da cannone. La struttura di queste mappe istanziate è fondamentalmente lineare, ma tutto è spettacolarizzato alla massima potenza e ci sono dungeon che lasciano a bocca aperta grazie a una direzione artistica coerente e ricercata. Allo stesso modo, siamo rimasti sorpresi dall'intuitività dei vari boss, tutti incentrati soprattutto sul meccanismo del telegraph; un attimo prima che il boss lanci un certo attacco, compare a schermo un determinato suggerimento visivo e il giocatore, interpretandolo, deve reagire di conseguenza. Sebbene si tratti di una meccanica ormai consolidata, i game designer di Yoshida sono riusciti a progettare scontri elaborati che tengono i giocatori sulle spine, costringendoli a spostarsi continuamente sul campo di battaglia.

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Una volta completata la campagna e affrontato ogni dungeon, abbiamo anche testato gli scontri di massimo livello nel primo raid da otto giocatori dell'espansione, Eden, e le versioni Extreme dei due boss Trial che abbiamo affrontato nel corso della storia, Titania e Innocence. Se questi ultimi sono le solite versioni potenziate degli stessi boss - medesime meccaniche, solo più impegnative - Eden è invece un raid costituito da quattro encounter distinti che ricalcano i combattimenti coi Primal nella prima tranche di A Realm Reborn, solo in una variante bizzarra: Leviathan ha due teste, Titan si trasforma in una jeep (!) e così via. Intuitivi e densi di meccaniche, questi encounter peccano forse in lunghezza, dato che i boss sono vere e proprie spugne, e nella ripetitività di un endgame per il quale Final Fantasy XIV continua a non brillare: esso si riduce essenzialmente a ripetere le Duty e le Trial per accumulare valute e oggetti chiave da scambiare per nuove armi, armature o accessori.

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Fare esperienza nel First

Nella fase di leveling ci siamo concentrati su un singolo Job per questioni di tempo e così abbiamo cresciuto un Samurai fino a livello 80, giocando occasionalmente i due nuovi Job che Square Enix ha introdotto con Shadowbringers: il Dancer e il Gunbreaker. Il primo è un damage dealer a distanza piuttosto particolare che gioca di sinergia coi compagni di gruppo ma che non ci ha convinto tantissimo, forse perché abbiamo sempre associato l'idea del Dancer a un ruolo di supporto e questo pseudo-caster ci è sembrato soltanto un modo per infilare l'ennesimo damage dealer in un roster che già straripa di classi orientate verso i danni in mischia o a distanza. Il Gunbreaker è invece un tank molto interessante, specialmente perché si impara a giocarlo in pochissimo tempo e si ha la sensazione di controllare il campo di battaglia senza ricorrere ad abilità spiccatamente difensive: una forza della natura, questo Job si ispira palesemente a Final Fantasy VIII e al protagonista Squall Leonhart che, appunto, impugnava una Gunblade.

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Come abbiamo detto, la crescita del nostro personaggio nel corso dell'espansione si articola nel solito modo e il giocatore può alternare le missioni della Main Scenario Quest e gli incarichi facoltativi alla sempreverde Duty Roulette o ad altre attività che elargiscono punti esperienza. In questo modo, si riesce a conservare qualche incarico facoltativo che poi potremo completare con un altro Job, nel caso decidessimo di crescerlo: in quel caso, scopriremmo che Square Enix ha apportato varie modifiche alle meccaniche dei vari Job, seppur non sempre riuscitissime. Permane inoltre una certa rigidità nel sistema di combattimento che dipende soprattutto dal global cooldown ancora troppo elevato e da una visione forse più rilassata del ritmo nei combattimenti.

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Sia come sia, esplorare il First è stato un piacere. Yoshida e i suoi hanno certamente fatto tesoro delle critiche ricevute in questi anni e sono riusciti a delineare una progressione molto più organica che ci conduce a esplorare ogni mappa in modo ordinato, senza costringerci a lunghi e tediosi giri del mondo per chiudere le missioni completate o trovare le Aether Current che sbloccano il volo nelle nuove mappe: solitamente è la Main Scenario Quest a condurvi nei pressi delle varie Current, senza contare che alcune si ottengono completando certi incarichi opzionali molto veloci. La maggior parte delle missioni facoltative ci aiuta a conoscere meglio questo mondo bizzarro e i suoi abitanti, ma più spesso sono fetch quest di poca importanza, a livello narrativo, che però impegnano il giocatore con dialoghi inutilmente prolissi.

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Un mondo migliore

Che Shadowbringers sia un'espansione ambiziosa appare chiaro non appena si mette piede nel Crystarium, il nuovo quartier generale dei giocatori nel mondo del First, un agglomerato sopra cui si erge la Crystal Tower. Tuttavia, il Crystarium non è neppure l'hub endgame di questa espansione: è la sontuosa città di Eulmore, una volta liberata sul finire della campagna, ad accentrare i giocatori coi suoi venditori di equipaggiamenti di livello massimo. Praticamente ogni mappa riserva sorprese maestose al di là del colpo d'occhio iniziale. Le colline nebbiose di Il Mheg nascondono un panorama bucolico che sembra uscire da una fiaba di origine europea, e infatti su questa regione regnano Titania e le sue fate, mentre le foreste di Rak'tika avvolgono nelle loro spire un sottobosco pericoloso e un lago che custodisce, nelle sue profondità, i resti di un misterioso passato. Queste mappe sono destinate a cambiare man mano che si progredisce nella storia, talvolta in modo irreversibile.

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Sebbene l'engine sia sempre lo stesso, coi suoi pro e contro, Shadowbringers ci è apparso migliorato visivamente. Forse è merito della meticolosa cura per i dettagli che contraddistingue ogni panorama, ogni modello poligonale e ogni cinematica, dato che l'engine è sempre lo stesso e gli sguardi più attenti non potranno fare a meno di notare ormai una certa età, sebbene la regia e i trucchetti dei programmatori cerchino di nasconderlo quando possibile. Yoshida ha cercato di imporre alla sua ultima espansione un sapore totalizzante, chiamando a collaborare nientepopodimeno che Tetsuya Nomura, il quale ha trovato il tempo di mettere le mani sul character design legato a Eden, e i creatori di NieR: Automata, Yoko Taro e Yosuke Saito, che stanno lavorando al prossimo raid da ventiquattro giocatori.

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Se c'è tuttavia qualcosa che ci ha accompagnato per tutte queste ore - sin da quando abbiamo rimesso mano a Heavensward, per la verità - è la straordinaria colonna sonora di Masayoshi Soken. Non c'è nulla da fare: il compositore nipponico riesce a canalizzare un'energia e una solennità uniche in brani indimenticabili che magari all'inizio possono fare uno strano effetto, ma che col passare del tempo non solo conquistano il giocatore, ma riescono addirittura a ritagliarsi un posto speciale quando finiamo con l'associarli a determinati momenti del gioco. È il caso del brano di apertura rockeggiante che ha fatto tanto discutere quando Square Enix ha svelato la cinematica introduttiva, e che poi è stato remixato per accompagnare i combattimenti e, soprattutto, lo scontro finale, in una versione riarrangiata che mette i brividi e gasa il giocatore come non mai. Soken, che già in Heavensward e in Stormblood si era superato con una varietà di generi impressionante, è insomma uno dei principali artefici del successo di Shadowbringers, un'espansione che tutti i fan del titolo Square Enix dovrebbero assolutamente giocare.

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Requisiti di Sistema PC

Configurazione di Prova

  • Processore: Intel Core i7-2600k @ 3,4 GHz
  • Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 780
  • Memoria: 8 GB di RAM
  • Sistema operativo: Windows 10 64 bit

Requisiti minimi

  • Processore: Intel Core™i5 2.4GHz o superiore
  • Scheda video: NVIDIA Geforce® GTX750 2GB o superiore
  • Memoria: 4 GB di RAM
  • Sistema operativo: Windows 7 / 8.1 / 10 (32bit/64bit)

Conclusioni

Versione testata PC Windows
Multiplayer.it
9.0
Lettori (22)
8.4
Il tuo voto

Sebbene Naoki Yoshida sostenga umilmente il contrario, World of Warcraft e Final Fantasy XIV sono ormai gli ultimi concorrenti rimasti in piedi negli Hunger Games dei MMORPG. E a questo giro dobbiamo ammettere che il titolo Square Enix l'ha spuntata persino contro la pluripremiata Blizzard. Come avrete capito leggendo la recensione, Shadowbringers non è solo un'espansione eccezionale, ma uno straordinario Final Fantasy in tutto e per tutto. Che il quattordicesimo capitolo del franchise nipponico riceva meno attenzioni di quelle che meriterebbe a causa dell'insolita categoria cui appartiene e dell'abbonamento mensile che fa storcere il naso a molti, lo abbiamo sempre detto, ma adesso è imperativo: se amate Final Fantasy, dovete giocare Shadowbringers.

PRO

  • La nuova storyline è sensazionale
  • Il Trust System per i giocatori solitari
  • La colonna sonora di Masayoshi Soken
  • La direzione artistica è straordinaria

CONTRO

  • Per arrivare a questa parte della storia senza scorciatoie a pagamento ci vuole tanto, tantissimo tempo
  • Rimane Final Fantasy XIV nel bene e nel male, se non vi piace il titolo Square Enix questa espansione non vi farà cambiare idea