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The Dark Pictures Anthology: Little Hope, la recensione

La nostra recensione di The Dark Pictures Anthology: Little Hope, il secondo capitolo dell'antologia horror sviluppata da Supermassive Games che ci porta negli oscuri anni della caccia alle streghe

RECENSIONE di Alessandra Borgonovo   —   29/10/2020
The Dark Pictures Anthology: Little Hope
The Dark Pictures Anthology: Little Hope
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Dalle gelide e spettrali acque dell'Oceano Pacifico meridionale, Supermassive Games ci riporta sulla terraferma; il secondo capitolo dell'antologia horror partita con Man of Medan cambia registro e si sposta negli Stati Uniti per raccontare un periodo buio della loro storia, quello della caccia alle streghe. A differenza dunque del primo episodio che faceva affidamento su una leggenda ben specifica, ed è in parte stato questo il suo punto più debole, questa volta si va a trattare un tema più ad ampio respiro sul quale è stato possibile creare una storia davvero inedita che non potesse in qualche modo essere anticipata. Forte dell'attore Will Poulter nei panni del protagonista, Little Hope si dimostra nel complesso migliore del precedente ma perde ancora qualche colpo per strada non riuscendo a eguagliare, né ovviamente a superare, i risultati raggiunti dagli sviluppatori con il buon Until Dawn. Scopritene dunque pregi e difetti nella nostra recensione The Dark Pictures Anthology: Little Hope.

La storia


Per ovvi motivi non possiamo spingerci troppo in là nel parlare della trama, questo tuttavia non ci impedisce di esaminare la storia e come è stata gestita. Little Hope sceglie una narrazione duplice, che dal presente in cui si muovono i protagonisti slitta a volte nel passato dove riposano le risposte alle domande e ai misteri che avvolgono la titolare cittadina: intrappolati al suo interno dopo che il pullman sul quale viaggiavano ha avuto un incidente, quattro studenti (sì, conta come tale anche la signora di quarantotto anni) e il loro docente si scoprono impossibilitati a uscire dai confini di Little Hope a causa di una nebbia impenetrabile dalla quale non riescono a sfuggire. Tra misteriose visioni e apparizioni fin troppo concrete per concedersi il lusso di non credervi, i cinque protagonisti devono prepararsi a una lunghissima notte da incubo senza la certezza di vedere l'alba; l'unica via di uscita sembra essere scoprire cos'è successo a Little Hope in tempi remoti che risalgono al 1692, l'anno in cui a Salem iniziarono i processi alle streghe che portarono alla morte - su basi assolutamente prive di fondamento - numerose persone con l'accusa, appunto, di praticare stregoneria. Gli sviluppatori affondano dunque a piene mani in uno spaccato molto buio della storia statunitense per creare una narrazione ambigua, dove il passato si riflette nel presente, muovendo dei passi avanti rispetto al prevedibile Man of Medan - che nel seguire pedissequamente una leggenda nota (o per cui bastava una ricerca su internet) ha influenzato la narrazione e i suoi sviluppi - questo e il fatto che comunque la scrittura fosse ben sotto ai livelli di Until Dawn.

Little Hope in questo senso migliora ma la storia cigola ugualmente in diversi punti. Come sempre, molto dipende da quanto vi siete dedicati all'esplorazione per raccogliere le briciole di pane sparse qua e là, utili ad avere una visione più a trecentosessanta gradi della situazione; anche così, però, e indipendentemente dal finale che otterrete, alcuni conti non tornano persino dopo quasi tre partite con esiti diversi l'una dall'altra. Il passato getta le basi di quella che dovrebbe essere la maledizione a gravare sulla cittadina, eppure su alcuni tasselli del puzzle rimangono delle perplessità che non siamo riusciti a spiegarci, situazioni che non collimano con un colpo di scena conclusivo notevole e avrebbe beneficiato di un maggiore collegamento tra passato e presente. Ci sono poi parti dove la qualità narrativa zoppica, presentando situazioni illogiche, mentre per quanto riguarda gli stessi protagonisti non c'è abbastanza profondità per creare dei veri e propri legami con loro: proprio come in Man of Medan, mancano dello spessore necessario a farsi notare, passando in secondo piano rispetto ai personaggi del passato che pur avendo un po' meno spazio nella sceneggiatura restano impressi con maggior facilità, anche per la situazione ben più drammatica che li coinvolge.

Insomma, nella sua totalità Little Hope è senza dubbio migliore di Man of Medan ma nel cambiare registro narrativo alcuni elementi continuano a essere fuori fuoco, a cominciare da un ritmo che fatica a prendere piede: da un inizio lento e piuttosto soporifero si procede a tentoni, un po' come i personaggi mentre cercano di capire cosa succede, con occasionali sbalzi di tensione che tuttavia, complice un'ambientazione più ampia e meno claustrofobica della precedente nave, hanno breve durata. Gli sviluppatori hanno preso nota del fatto che non sono i costanti jumpscare a fare un horror, dosandoli con maggior cura questa volta, ma quel terrore angosciante che dovrebbe cogliere il giocatore nello scoprirsi intrappolato in una cittadina fantasma e maledetta dove qualunque cosa potrebbe aggredirlo da un momento all'altro non filtra. Potrebbe essere in parte dovuto alla scelta di puntare più sul rapporto tra i personaggi, con situazioni che li mettono in discussione fra loro creando potenziali conflitti che sono un po' alla base della narrazione di Little Hope, ciononostante anche in questo caso quel karma che dovrebbe decidere della loro vita o della loro morte viene inficiato da alcuni sbilanciamenti del gameplay.

Il gameplay

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Bene o male, il gameplay di Little Hope non si discosta da quello di Man of Medan: potete scegliere se giocare da soli oppure in compagnia, scambiando il pad con le persone vicine a voi o attivando la co-op online con un altro giocatore. In quest'ultimo caso dobbiamo ammettere che il primo capitolo funzionava meglio per la questione del conflitto dovuto alle illusioni, che spesso metteva l'uno contro l'altro senza la consapevolezza di star attaccando il nostro compagno; qui gli sviluppatori non hanno voluto ripetersi, e ci sta, mantenendo la meccanica della cooperazione in senso stretto (aiutarsi a vicenda nei momenti di pericolo) ma andando appunto a perdere quella del possibile conflitto. Nel complesso rimane comunque una co-op piacevole da condividere. Una volta in partita vi muoverete come nel titolo precedente, esplorando in giro alla ricerca di oggetti da collezionare e interazioni che portino avanti la storia, scegliendo con il cuore o con la testa - potete anche stare in silenzio - in base alla situazione che ci si pone di fronte e decidendo, senza ancora poterlo sapere, il destino dei personaggi con scelte all'apparenza innocue. Questo è sempre stato l'aspetto forte dei giochi di Supermassive ma non possiamo fare a meno di tornare ancora una volta ad Until Dawn, dove le dinamiche interne dei protagonisti potevano persino portare a un inaspettato tradimento: qui, pur essendo marcata la questione dei rapporti personali, possiamo anche essere moralmente orribili ma a farne le conseguenze sarà il singolo personaggio in relazione con il mondo di gioco e non con i suoi compagni. Un peccato che non si sia voluto osare di più, andando a creare gli stessi attriti di Until Dawn.

Ci sono tuttavia delle sensibili migliorie nei quick time event, che anzitutto rispondono in modo corretto all'input (laddove in Man of Medan è stato un problema non da poco) e sono inoltre stati ammorbiditi: prima della maggior parte dei comandi ci viene infatti mostrato brevemente sullo schermo cosa andremo a fare, se dovremo arrampicarci, saltare, difenderci o quant'altro, e subito dopo nella stessa posizione, che corrisponde al relativo pulsante del pad, apparirà il comando da inserire. Rispetto al più caotico Man of Medan abbiamo apprezzato questa miglioria, che permette uno scontro più alla pari tra noi e i QTE, diventati molto più frequenti nelle situazioni concitate probabilmente per bilanciare la maggior accessibilità. Un'altra novità introdotta è il passaggio a un personaggio diverso da quello che stiamo controllando, nei casi in cui ci siano momenti di pericolo in cui entrambi sono coinvolti: un rimbalzare che non è sempre scontato e contribuisce a tenerci concentrati, poiché dopo una serie di comandi inanellati alla perfezione potremmo cascare proprio quando passiamo all'altro personaggio mettendo in pericolo quello utilizzato. Rende molto più l'idea della concitazione del momento.

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Infine, ogni personaggio ha uno o più tratti negativi che diventano parte integrante di lui o di lei (visivamente, nella sua schermata, sono sotto forma di lucchetti) in base alle scelte compiute e concorrono a influenzarne il destino; considerato che Little Hope sembra in qualche modo mettere alla prova i suoi inattesi ospiti, si arroga in un certo senso il diritto di giudicare il nostro operato e agire di conseguenza. Non sembra esserci un particolare limite ai tratti negativi che un personaggio può avere: noi siamo arrivati a un massimo di cinque, e sarebbe di per sé una meccanica interessante se una singola scelta giusta non bastasse ad annullare tutto. Detto in parole povere, potete essere le persone peggiori che abbiano calcato il suolo di Little Hope ma se al momento giusto prendete una decisione altruista sarete in un certo senso redenti: è una meccanica non sempre chiara nel manifestare le proprie conseguenze ma con qualche test sparso siamo giunti spesso alla redenzione nonostante fino all'attimo prima ci fossimo guadagnati un biglietto di sola andata per più gironi infernali.

In termini di rigiocabilità, Little Hope si presta bene quanto i precedenti: ci sono tanti modi di portare avanti la storia quanti sono i possibili finali, nonché la presenza di scene inedite che solo in fase di co-op possono essere viste, dunque se volete rivoltare la narrazione come un calzino avete a disposizione almeno tre partite. Sotto questo aspetto, il gioco non è affatto avaro a dispetto dei suoi alti e bassi, e ad accompagnarci negli oscuri meandri della storia troveremo come sempre l'immancabile Curatore, un ottimo cicerone ancora una volta interpretato dal bravissimo Pip Torrens, al solito perfetto nel ruolo.

Aspetto tecnico

The Dark Pictures Little Hope 3

Visivamente, Little Hope fa dei piccoli passi avanti rispetto a Man of Medan senza però compiere eccessivi balzi di qualità: il motion capture è l'aspetto fondamentale dell'intera produzione, grazie al quale i cinque protagonisti prendono vita e danno il meglio di sé soprattutto nel costante gioco di chiaroscuri che li accompagna passo passo nella cittadina fantasma. Alcuni sono più riusciti di altri, come Angela e Andrew, ma nel complesso sono tutti sufficientemente espressivi. Non abbiamo riscontrato cali di framerate o problemi di caricamento ma in un paio di casi il gioco si è bloccato, sia durante la partita sia nel menu iniziale, costringendoci a riavviarlo. Il sound design, ovviamente, gioca un ruolo fondamentale ma data l'ampiezza di certe aree non brilla quanto lungo i claustrofobici corridoi di Man of Medan; ciononostante, vi sembrerà spesso di sentire delle voci attorno a voi, come se Little Hope non fosse mai davvero disabitata, e nei luoghi chiusi questo funziona particolarmente bene. La qualità del doppiaggio italiano è nella norma, vicina a quella in lingua originale.

Conclusioni

Digital Delivery Steam, PlayStation Store, Xbox Store
Prezzo 29,99 €
Multiplayer.it
7.5
Lettori (5)
7.6
Il tuo voto

Little Hope ripropone la formula già collaudata e portata avanti con Man of Medan, presentandosi migliore di quest'ultimo sotto diversi aspetti ma non riuscendo ancora a raggiungere il livello di Until Dawn che ancora rimane il miglior lavoro di Supermassive Games. La narrazione beneficia di un tema più ad ampio respiro rispetto alla leggenda della Ourang Medan ma presta il fianco a diverse illogicità e a una qualità non sempre ottimale, mancando ancora una volta una vera e propria caratterizzazione dei suoi protagonisti. Sebbene la componente horror sia più marcata, non riesce a essere abbastanza incisiva da trasmettere quel terrore che ci aspetteremmo e complice anche la durata condensata in poche ore si presenta un po' frettolosa in alcuni punti. Il finale gode però di un colpo di scena interessante e inaspettato, all'interno di una trama che a tratti si fa prevedibile. In termini di gameplay sono state apportate delle migliorie e introdotti aspetti inediti ma qualche attrito con la narrazione non li rende del tutto funzionali. In generale, sebbene miglior di Man of Medan, Little Hope non si discosta abbastanza dal precedente per considerarlo un vero e proprio cambio di rotta.

PRO

  • Ambientazione intrigante
  • Migliorie sensibili al gameplay
  • Narrazione più godibile del precedente...

CONTRO

  • ... ma persistono alti e bassi nella qualità
  • Ritmo lento senza molte situazioni di tensione