I sequel in casa Pixar sono spesso una scommessa. Ci sono quelli ottimi, come il recente Gli Incredibili 2, e quelli pessimi, come Cars 2 e Alla ricerca di Dory. Poi ci sono i capolavori come Toy Story 3, un film che molti considerano tra i picchi più alti raggiunti dalla compagnia californiana. Il terzo capitolo nella serie che ha reso famosa questa sussidiaria di Disney a partire dal 1995 avrebbe dovuto essere quello conclusivo: l'epilogo strappalacrime non poteva essere altro che un addio, perciò è stato difficile accettare che Pixar, a distanza di dieci anni, avesse deciso di tornare sui personaggi di Woody, Buzz e soci con questo Toy Story 4 di cui state leggendo la recensione. Una sensazione di perplessità aggravata, tra le altre cose, dalla dipartita di Fabrizio Frizzi, storica voce italiana di Woody, ma anche da un susseguirsi di problematiche nel corso della produzione che hanno obbligato Pixar a rimandare l'uscita del film. Insomma, temevamo tutti che questo sequel sarebbe stato una forzatura deludente, e invece non è stato così.
La trama senza spoiler
Alla fine di Toy Story 3 abbiamo salutato Andy che, ormai adulto, partiva per il college e lasciava i suoi giocattoli a una bimba di nome Bonnie, inconsapevole che Woody e gli altri avevano appena vissuto un pericolosa avventura durante la quale erano venuti a patti con la loro mortalità e avevano accettato finalmente l'idea di dover salutare per sempre il loro padroncino. La vita ricominciava nelle mani di Bonnie, deliziando i bambini e commuovendo i più grandi come solo Pixar sa fare in quei momenti magici che riescono a trasmettere messaggi differenti a seconda delle esperienze che ogni spettatore ha vissuto. Non stupisce, quindi, che Toy Story 4 cominci con un triste flashback che ci racconta che fine ha fatto Bo Beep, prima di mostrarci la vita dei giocattoli nella cameretta di Bonnie.
La bambina sta pian piano mettendo da parte il nostro Woody che, però, non si arrende, e continua a proteggerla e sorvegliarla con aria paterna, pur rassegnandosi all'inevitabile destino che ha sempre temuto fin dal primo film: quello di essere dimenticato. La situazione si complica quando Bonnie costruisce un giocattolo con una forchetta di plastica: Forky prende vita all'improvviso e si ritrova catapultato in uno strano mondo in cui solo una cosa è sicura, e cioè che lui è soltanto immondizia. Toccherà a Woody istruirlo alla vita e allo scopo dei giocattoli, ma il nostro sceriffo si troverà costretto a intraprendere una difficile missione di salvataggio on the road per riportarlo alla bimba. Nel corso di questa deviazione imprevista, Woody si imbatterà in una vecchia conoscenza, incontrerà nuovi giocattoli sempre più strampalati e dovrà riflettere sulla sua esistenza e su ciò che veramente lo lega alla sua padroncina.
Un'avventura per Woody
Certamente più dinamico nella scelta delle location, ormai pressoché fotorealistiche, e nel canovaccio in sé e per sé, Toy Story 4 mette in scena una lunga serie di peripezie che scuotono continuamente lo status quo della nostra famiglia di giocattoli preferita. Purtroppo il regista Josh Cooley punta i riflettori quasi soltanto su Woody e il suo dramma esistenziale, sacrificando tutti i comprimari che abbiamo imparato ad amare negli anni e che si ritagliano solo qualche piccolo spazio soprattutto verso la fine del film. In questo senso, persino la sottotrama di Buzz Lightyear manca di una certa convinzione: l'eroe spaziale, doppiato come sempre da Massimo Dapporto, segue Woody nella sua crociata, ma sembra aver perso la determinazione e la sfacciataggine che lo caratterizzavano nei film precedenti. No, il palcoscenico è tutto per lo sceriffo di pezza, anche se ogni tanto glielo ruba l'ottimo Forky, un personaggio di cui è difficile non innamorarsi nel giro di pochi minuti, grazie anche alla buffa voce italiana di Luca Laurenti.
La disperata odissea di Woody, che cerca a tutti i costi di aiutare una bambina che chiaramente non lo vuole più, riflette chiaramente il dramma tutto interiore dei genitori che vedono i figli crescere e abbandonare il nido, mentre loro invecchiano e realizzano non tanto di non avere più uno scopo, quanto di doverlo trovare per continuare a vivere. È una di quelle metafore che solo gli adulti comprenderanno, mentre i bambini resteranno incantati dalla simpatia dei personaggi e dalla coloratissima e straordinaria computer grafica che Pixar continua a perfezionare di lungometraggio in lungometraggio. Persino l'antagonista di turno non è poi neppure un vero antagonista, ma soltanto un altro giocattolo vittima della dura realtà che è la vita, in un modo se possibile ancora più tragico di quanto accaduto a Lotso in Toy Story 3.
Il cast di contorno generalmente funziona, ma se i folli Ducky e Bunny divertono parecchio con le loro gag, ci è sembrato invece molto meno convincente il motociclista Duke Caboom, doppiato nell'edizione originale da Keanu Reeves e in Italia dal bravo Corrado Guzzanti. Oltre a comparire per poco tempo, Duke ha un ruolo marginale che spreca i suoi doppiatori, e non ha il carisma esilarante del Ken visto in Toy Story 3. Chiude il cerchio Bo Beep, l'effervescente girl power della situazione che in un certo senso rovescia i ruoli tradizionali assegnati nelle classiche love story. L'intreccio riunisce e divide tutti questi personaggi in modo intelligente: se da una parte dispiace vedere poco Jessie, Rex e tutti gli altri, dall'altra è giusto concedere maggior spazio a un cast inedito. Peccato solo per la colonna sonora di Randy Newman, meno incisiva rispetto ai lungometraggi precedenti e caratterizzata da un'unica canzone, peraltro piuttosto banale, cantata da Riccardo Cocciante in italiano.
Dobbiamo ammettere di essere entrati in sala prevenuti non solo a causa della controversa natura di questo sequel, ma anche perché temevamo di non riconoscere il Woody del compianto Fabrizio Frizzi: la nuova voce di Angelo Maggi, il doppiatore di Iron Man nei film del Marvel Cinematic Universe, ci ha invece convinto, anche perché in qualche momento assume un timbro molto simile a quello di Frizzi, minimizzando spaesamento e nostalgia. Sono comunque i dialoghi e la caratterizzazione di Woody a vincere nel modo più assoluto, restituendoci il dualismo drammatico di un pupazzo di pezza con una vera e propria crisi di mezza età. Il finale, in questo senso, è commovente, onesto e decisamente conclusivo: forse Toy Story 4 non avrebbe dovuto esistere, ma alla fine non ci ha deluso affatto, pur definendo quello che dovrebbe essere un ovvio addio. Potrebbero esserci altre storie da raccontare, ma secondo noi è già un miracolo che Pixar sia riuscita a portare a casa questo difficilissimo compito. Sfidare ulteriormente la sorte, ecco, non è proprio il caso.
Conclusioni
Multiplayer.it
8.0
Il finale di Toy Story 3 continua a essere l'epilogo perfetto della serie, ma questo Toy Story 4 offre un punto di vista nuovo e intelligente su quanto la vita riesca a offrirci dopo aver messo la parola "fine" in una storia che realisticamente non finirà mai. Per quanto ci riguarda, però, ora Toy Story è finito davvero, e questa conclusione, per certi versi, ha un significato ancora più potente per chi ha vissuto la crisi di Woody e si è rimesso in piedi. Pixar ha fatto centro contro ogni previsione ed è riuscita a commuoverci un'altra volta, anche se quando si parla dei giocattoli di Andy non è poi un'impresa così difficile.