Urban Reign si presenta come una specie di ibrido tra un picchiaduro massivo e uno a incontri poligonale. Per certi versi è simile a quelli a scorrimento degli anni ottanta e novanta, riletti un po’ alla maniera del riuscito Spike Out. Tuttavia il fatto che si presenti con una vastissima rosa di personaggi dotati di caratteristiche individuali, unito alla ricerca di una certa varietà nei colpi a disposizione e alle varie modalità di scontro in alternativa a quelli di massa, sembrerebbe tradire una volontà di avvicinarlo a giochi come Tekken in quanto a profondità. Le cose, in realtà, sono andate in maniera diversa da quanto auspicato. Urban Reign si divide praticamente in due tipi di gioco possibili. Il primo è lo story mode. In questa modalità il giocatore deve attraversare cento battaglie disseminate su una mappa del città. Quindi, chi prende il controller pensando di affrontare una bella miriade di nemici come ai vecchi tempi di Final Fight si sorbisce in realtà cento incontri con una quantità variabile di nemici o di alleati, preceduti da un briefing parlato che si riallaccia alla trama principale e da una presentazione animata e doppiata. Nell’altro tipo di gioco, il giocatore ha accesso a un multiplayer che mette fino a quattro personaggi, umani o controllati dal computer, in team pronti a darsele di santa ragione. La modalità pratica e gli extra, con le opzioni rituali, completano l’offerta ludica. Ora, il punto è che Urban Reign sembra una specie di estensione su scala di intero gioco di alcune modalità extra della serie di Tekken o di Soul Calibur, fatte riadattare e confezionare a tavolino perché uscisse fuori un gioco nuovo. E una modalità extra di un codice qualunque, con un controllo e un set di azioni più limitato e corredata da una trama scontata e stereotipata, non basta a fare un nuovo picchiaduro.
Urban Reign offre al giocatore un set di combinazioni d'attacco, una schivata, la possibilità di correre, vari colpi speciali tra cui uno a trecentosessanta gradi per liberarsi dei nemici, e una serie di interessanti mosse da eseguire con gli alleati, tra cui spiccano il passaggio di arma, le aggressioni in due e il richiamo dell’alleato per pestare insieme il malcapitato bloccato dal giocatore. Aggiunte, come altre di cui parleremo, ben pensate, ma che non funzionano mai bene come dovrebbero. Prendiamo la possibilità di colpire i nemici a diverse altezze del corpo, dirigendo il danno su determinate parti già sottoposte a stress del nemico. La continua rotazione della prospettiva rende di fatto impraticabile indirizzare i colpi con la direzione del controller, con la conseguenza che la procedura torna utile solo alla CPU, che si accanirà contro il giocatore. C’è poi la questione del puntamento del nemico, mutuato dallo Z-Targeting introdotto al mondo dello scontro in treddì da Zelda. Il fatto di poter selezionare un nemico si risolve più spesso in un dare le spalle a tutti gli altri che non in un reale vantaggio sul singolo nemico puntato. Veniamo alle schivate.
Nel gioco non è possibile parare i colpi, solo premere il tasto della schivata con tempismo a ogni colpo da schivare, tentando di guadagnare come ricompensa l’adeguato vantaggio per il contrattacco. Tutto questo produce solo frustrazione, specialmente quando i nemici e i colpi da schivare sono tutti intorno e il procedimento di schivata è del tutto invalidato – la schivata non funziona più, trasformando il giocatore in un sacco da allenamento che è costretto, se riesce eventualmente e disperatamente a smarcarsi, a riguadagnare la posizione “bidimensionale” rispetto alla fila dei nemici da picchiare. Passiamo infine alla difficoltà degli avversari e alla intelligenza artificiale. Sono male calibrate, passando improvvisamente da nemici lenti e stupidi a mostri di ultraviolenza che non fanno neanche toccare terra al giocatore, tempestandolo di juggling combos e prese aree, contro-contro-contrando ogni mossa possibile e vanificando ogni tentativo di costruire un combattimento strategico in favore di un costante, insoddisfacente, frustrante button mashing. Anche le mosse come i combo volanti, le prese aeree, le contromosse e le tag moves risultano vanificate ben presto dal tipo di interazione richiesto per sopravvivere: l’accavallarsi dei nemici e la loro frenetica iperattività si sconfiggono solo con il button mashing tempistico, e annullano ogni tentativo strategico. Ci sono poi scelte solo apparentemente incomprensibili al livello del game design, come la decisione di rendere disponibili progressivamente le mosse a disposizione nel corso dell’avanzamento delle missioni, che rende evidente il tentativo di allungare un’attrattiva che il giocatore perde intorno al decimo, caotico match. Oppure l’inutile gesto di inserimento di Marshall Law e Paul Phoenix da Tekken: se i personaggi dei videogiochi esistono davvero in un mondo parallelo, i due saranno occupati a produrre moccoli lamentandosi di un curriculum rovinato.
Insomma, ancora una volta il tentativo contemporaneo di produrre un picchiaduro massivo in tre dimensioni non riesce completamente. La presenza tra i crediti di Urban Reign di molti dei talenti al lavoro su serie di qualità della Namco come Tekken – programmatori, grafici, e così via – non basta perché un progetto senza un game design forte possa risultare dotato di senso e divertente, e dice molto del tipo di deadline assegnata al titolo dalla produzione. Non si è mai visto un picchiaduro a scorrimento così frammentato e poco controllabile, e neanche un picchiaduro a incontro così superficiale.
A infastidire il giocatore, non troppo soddisfatto di un gioco che avrebbe potuto farsi giocare in maniera ben diversa, ci penserà poi l’ormai obbligatoria narrazione, che tutti adoriamo. Questa è la solita variazione sul tema della violenza urbana, e vede come protagonista un duro così duro, ma così duro che, durante l’introduzione, picchia due tipi che per strada discutono delle ultime violenze di gang in città senza un vero motivo: solo perché quelli lo insultano in quanto sta origliando alla loro conversazione. .Il protagonista, evidentemente una incarnazione di una riflessione cinica sulla violenza urbana così sottile da non essere colta dai più, obbedisce agli ordini di una prosperosa donna malavitosa orientale che, un giorno, si sente minacciata dai rivali e decide, logicamente, di assoldarlo - da solo - per eliminare tutti gli altri, nessuno escluso: uno dopo l’altro. La musica da classifica contemporanea e gli stili del vestiario dei vari teppisti e gangster urbani completano la dimensione, per così dire, contemporanea e verosimile delle vicende.
Urban Reign è un gioco, purtroppo, poco riuscito. E' un peccato, perchè presenta una buona quantità di idee che avrebbero potuto dire qualcosa di sensato all’interno del tentativo di far rinascere il genere. Ma al contempo dimostra che, nella volontà odierna di produrre picchiaduro massivi, una produzione affrettata, senza un game design solido, non basta. Alla Namco hanno confezionato un gioco spesso caotico e che tende a farsi giocare in maniera superficiale, perchè i buoni spunti arenano nella confusione e nella frustrazione del giocatore. Sorvoliamo sul fatto che si debba sempre avere una trama anche quando non serve, e necessariamente poco interessante. Il settore marketing di Urban Reign sembrerebbe quasi volerci suggerire che chi vuol menare le mani a mezzo joypad oggi debba essere qualcuno a cui piacciono prodotti affrettati. Ora, c’è spesso una distorsione nell’industria e nella critica dei videogiochi, per cui il “nuovo” sarebbe sempre meglio del “vecchio”. Non sempre è così. Se vogliamo fare gli ultraviolenti e virtuosi del controller, torniamo a giocare a Streets of Rage. E se invece vogliamo picchiare ma anche pensare, rivolgiamoci a The Warriors.
Pro
- Il set di colpi e combinazioni è vario
- Ci sono molte idee e trovate potenzialmente ottime
- L'interazione è molto caotica e impedisce di sfruttare appieno i colpi
- Il livello di sfida è troppo basso o incredibilmente frustrante
- Trama senza un minimo di ironia o inventiva
Urban Reign è l’ennesima prova del fatto che l’industria dei giochi digitali abbia pensato insistentemente, negli ultimi tempi, a rispolverare il genere classico dei picchiaduro massivi a scorrimento. Sì, proprio quelli di cui abbiamo parlato di recente, quelli delle arcade fumose che non ci sono più e delle console a sedici bit. Al contempo, il picchiaduro di Namco è l’ennesima dimostrazione anche di un altro fatto: questa industria ha inteso la rilettura del genere in maniera molto superficiale, destinando ben pochi investimenti sulla ricerca di un gameplay rimodellato sui nuovi hardware e stili di gioco. Urban Reign assomiglia più a una affrettata produzione commerciale, messa in piedi per coprire una nicchia di mercato riaperta da titoli come Beat Down di Capcom, che non a un reale tentativo di adattare il vecchio genere ai gusti e ai bei motori poligonali contemporanei. Ora, Urban Reign, pur rimanendo superiore a titoli di bassissimo calibro come Beat Down e presentandosi non privo di spunti interessanti, non riesce né a riportare in auge il genere né a farsi giocare in maniera davvero divertente.