Molti sono rimasti stupiti dalla risonanza avuta da Slender: The Eight Pages, sviluppato da Mark Hadley, nella scena videoludica. E soprattutto nel mondo dello sviluppo indipendente. Come ha fatto una specie di tech demo ad affermarsi come modello di riferimento dei videogiochi dell'orrore?
In realtà c'è davvero poco di cui sorprendersi. Prendete un ambiente buio e misterioso, una trama esile, una torcia elettrica, un elemento di gameplay che motivi il giocatore a esplorare (Hitchcock lo chiamerebbe MacGuffin), una minaccia invisibile e immortale da cui si può solo fuggire e lo Slender è servito. Si tratta di un solleticare nemmeno troppo velato alcune paure primarie innate nell'essere umano, servendole nel modo più semplice e diretto possibile, senza complicazioni di sorta. La forza propulsiva che ha permesso a Slender: The Eight Pages di propagarsi in decine di altri giochi è sostanzialmente la mancanza di un sistema di gioco vero e proprio; il riuscire a coinvolgere e spaventare il giocatore facendolo girare a vuoto per un ambiente spoglio ben celato dal buio.
Parliamoci chiaro: chiunque abbia un minimo di dimestichezza con un tool di sviluppo 3D sarebbe in grado di realizzare Slender, e infatti chiunque abbia un minimo di dimestichezza con un tool di sviluppo 3D si è messo a realizzare il suo Slender, per quella che è una proliferazione senza precedenti nella storia dei videogiochi. È nato così un vero e proprio sottogenere incentrato sull'esplorazione muta del videogiocatore, chiamato soltanto a guardare e, nel caso, fuggire (ogni tanto qualche interazione, ma sono quisquilie). La promessa è sempre quella di un orrore senza fine e, nei casi più ottimisti, di accedere ai più reconditi segreti della psiche umana attraverso il contatto con l'ignoto. La realtà è, come al solito, un bel po' diversa e fatta di titoli spesso similissimi che ammucchiati diventano difficili da distinguere, anche se non mancano progetti di valore che meritano di essere provati.
Il ruolo di YouTube
Ruolo importantissimo nella diffusione degli Slender game lo ha avuto YouTube, dove ormai si contano a decine, se non a centinaia, i video di gente che gioca e urla, urla e gioca, urla e basta, attirando masse di pubblico sempre maggiore (si parla letteralmente di milioni di contatti). Ovviamente il genere prediletto per questi videomaker, di cui il più famoso è sicuramente PewDiePie, è l'horror. Non mancano varianti come "far giocare la ragazza per vederla urlare" o "urla di gruppo" o "ridere come se non ci fosse un domani". In fondo sono divertenti, ammettiamolo.
Ma quanti Slender?
Cerchiamo quindi di scoprire quanti Slender sono arrivati sulla scena (indicativamente). Normalmente si tratta di prodotti rilasciati in forma gratuita, oppure a prezzi bassissimi. Dopo aver scritto il paragrafo abbiamo fatto il conto e di sette giochi citati, cinque sono gratuiti e due possono essere acquistati spendendo una somma complessiva inferiore ai dieci euro. Fare i conti in questo caso non è sbagliato, perché permette di percepire che anche gli autori stessi spesso non riconoscono un valore commerciale alle loro opere. Oppure, per essere più romantici, non vogliono darglielo. Prendiamo ad esempio l'ottimo Erie di UGF, forse uno dei migliori Slender game in circolazione, proprio perché più di altri cerca di distaccarsi dalla sua fonte d'ispirazione, sviluppando una sua personalità. Le meccaniche di gioco sono grossomodo le stesse, con soltanto qualche azione in più a disposizione del protagonista, incastrato in una claustrofobica centrale idroelettrica dove si tenevano degli esperimenti illeciti. L'idea vincente è quella di non puntare tutto sul binomio buio/torcia elettrica, ma di costruire una storia più complessa e articolata che invita veramente all'esplorazione dell'ambiente, nonostante la presenza di terribili mostri che ci inseguono spietatamente lungo i corridoi della centrale. Un discorso simile può essere fatto per Fibrillation di Egor Rezenov.
Sviluppato in Russia tenta di prendere le distanze da Slender alternando ambienti chiusi ad altri aperti e introducendo meccaniche come i salti che offrono una maggiore varietà all'azione. Anche qui comunque il gameplay è basato in gran parte sul senso di solitudine e mistero che pervade l'atmosfera generale e sulla consapevolezza che da qualche parte si nasconde una minaccia letale. Bello lo scenario, che per certi versi ci ha ricordato gli S.T.A.L.K.E.R. Ovviamente non mancano i tentativi di clonazione diretta, a partire dal nome. Non essendo Slender un marchio registrato, gli Slender si sono moltiplicati a macchia d'olio. Prendiamo ad esempio Slender Wood's di EZeddy. Non è difficile capire che si tratta praticamente dello stesso gioco realizzato con un engine diverso, vero? Sinceramente non si capisce perché operazioni del genere ottengano il plauso del pubblico, anche se va ammesso che si tratta di un gioco gratuito e che, almeno graficamente, è più raffinato rispetto alla sua fonte d'ispirazione.
Anche Slender Man's Shadow di Dark Pathogen Studios è un "clonazzo" diretto, ossia lo stesso gioco di cui parliamo da un bel po' di caratteri ma con ambienti diversi (nove in totale). Tra questi spiccano un grosso labirinto di siepi e il solito manicomio. Ah, vero, una grossa differenza c'è: sul sito ufficiale costa 6,99 dollari, ma volendo potete provare una demo per rendervi conto della sua qualità.
Meno riuscito e ancora meno ispirato è The Briefcase di doopus. Non solo è identico a Slender: The Eight Pages nella struttura, ma riesce addirittura a semplificarne il gameplay: il giocatore deve infiltrarsi in una fabbrica abbandonata e cercare una valigetta, evitando di essere ucciso da una minaccia che si aggira nel buio. Ovviamente non poteva mancare la torcia elettrica. Fortunatamente è gratuito anche questo, quindi non c'è molto da stare a recriminare, se non per la mancanza cronica di creatività dimostrata dall'autore. Decisamente migliore e più interessante, forse perché capace di proporre qualcosa di diverso, è Shutter di KGames, in cui oltre al classico doversi aggirare nel buio, qui armati di videocamera bisogna filmare dei fenomeni paranormali nel manicomio di Pennyhill. A differenza di molti altri cloni di Slender, qui c'è un po' di varietà in più grazie alla barra del panico, allo slow-motion, ad alcuni accenni di gameplay stealth e all'uso intelligente della telecamera. Peccato che a conti fatti sia un po' corto, anche se, essendo gratuito, c'è poco da lamentarsi in questo senso.
Slender Esther
Accanto ai cloni spudorati di Slender: The Eight Pages, sono apparsi dei giochi che hanno cercato di unire horror e, diciamo così, metafisica, cercando l'effetto Dear Esther. Purtroppo spesso si tratta di opere molto esili da tutti i punti di vista, con un gameplay stiracchiato e una capacità affabulatoria mediocre,
tanto per far capire che se Dear Esther è piaciuto a molti è anche perché è scritto e descritto molto bene. Ad esempio Unnamed di Anothink fa di tutto per cercare di coinvolgere il giocatore con le sue trovate visive surreali, ma ci riesce solo in rarissimi momenti, risultando il più delle volte posticcio e poco ispirato (oltre che davvero rozzo). Dello stesso autore, che riesce a produrre un gioco al mese, è l'altrettanto mediocre Insert Title Here, altre ottima dimostrazione che non bastano delle texture psichedeliche per fare un buon gioco e descrivere bene un ambiente. Teoricamente il buon Anothink vuole trasportarci in una specie di esperimento in cui vengono mescolati temi horror a una "profonda" riflessione sul guardare ed essere guardati, in pratica si tira dritti alla ricerca della fine dello strazio, che fortunatamente dura pochi minuti. Dello stesso livello, anche se leggermente più articolato, è Evil di Nameless. Anche qui ci troviamo di fronte al tentativo di proporre situazioni surreali mescolate a temi horror e a un po' di sano metavideoludismo, ma anche qui i risultati lasciano molto a desiderare e si fa una grossa fatica ad arrivare alla fine dell'avventura, anche se non è molto lunga. Sicuramente è più curato a livello stilistico rispetto agli altri due titoli descritti in precedenza, con disegni più convincenti e un uso intelligente dei pochi mezzi a disposizione.
Inevitabile come un'ubriacatura in vacanza, a un certo punto fa la sua comparsa lo Slender Man (la citazione del momento), che non aggiunge molto ma fa capire dov'è nata l'idea generale di Evil. Infine, più impegnato sulla mitologia rispetto agli altri, includiamo in questa sotto categoria anche l'interessante Katabasis di trsnell, arrivato alla versione 1.1. Il gioco è incentrato sull'esplorazione e parla di un padre, di un figlio e di antiche divinità. Il sistema di gioco è molto semplice, come del resto quelli di tutti gli altri titoli citati in questo speciale, ma almeno i contenuti sono di buona qualità e vale la pena aggirarsi per gli ambienti anche solo per vederli. Va anche specificato che Katabasis nasce come tesi di laurea in Game Art, quindi non è stato pensato per il mercato ma per fini didattici (infatti è gratuito). Dategli uno sguardo, perché merita.
I limiti di un sistema
E il futuro? Il futuro è more Slender, ovviamente. Per capire quanto il titolo di Mark Hadley abbia trovato consenso nella comunità, basta farsi un giro veloce su Greenlight di Valve, dove i progetti "Slender" sono moltissimi. Prima erano molti di più, ma piano piano sono stati decurtati dal servizio e, fortunatamente, sono rimasti soltanto quelli più promettenti (relativamente). Molti sono già disponibili, ma gli autori stanno migliorando alcune cose per cercare di attirare l'attenzione in prospettiva Steam. Ad esempio l'autore di Haunt sta lavorando alla versione 2.0, dopo il rilascio di quella 1.1 avvenuto nel Novembre del 2012.
Curiosamente il gioco ha perso per strada il suo sottotitolo/slogan, che era abbastanza indicativo di dove il buon paranormaldev vuole andare a pare: The Real Slender Man Game. Detto questo, è anche vero che si tratta di uno dei giochi tecnicamente più validi tra quelli elencati in questo speciale e che vale la pena farci un giro. Altro Slender game all'apparenza molto valido è The Light, in cui il giocatore dovrà esplorare il solito ambiente evitando di essere ucciso dalla solita minaccia proveniente da chissà dove. Ecco, volendo indicare il grossissimo limite di questo sottogenere, avrete capito che si tratta di prodotti strutturalmente identici, che giocano la loro riuscita o meno sulla capacità degli autori di creare ambienti interessanti. In realtà è difficile trovare uno Slender game che spicchi particolarmente su tutti gli altri e, anzi, spesso sono i videogiocatori a confonderli tanto sono simili tra loro. Ci sono anche alcune varianti interessanti, come ad esempio il survival free2play Faceless,
che però spesso sollevano grossi dubbi sulla loro fattibilità, visto che nel momento in cui bisogna implementare sistemi di gioco più complessi questi titoli finiscono per arenarsi per mancanza di risorse. Insomma, il genere funziona e prolifica finché i progetti rimangono attacchi alla minutezza di base che presuppone, ma appena le ambizioni crescono tutto naufraga. La dimostrazione di questo assioma viene da Mark Hadley stesso, che appena ha deciso di sfruttare la sua tech demo per creare un prodotto commerciale si è scontrato con la dura realtà e si è rivolto a uno studio di sviluppo rodato. Così Slender: The Arrival, evoluzione commerciale di Slender: The Eight Pages, sarà possibile solo grazie all'intervento di Blue Isle Studios, che gli ha garantito quel salto qualitativo necessario per stare sul mercato, mentre altri giochi come Asylum stanno cercando fondi su Kickstarter per poter crescere.