ATTENZIONE: l'articolo contiene numerosi spoiler sulla storia e sul finale di The Last of Us. Pertanto sconsigliamo la lettura a coloro che non lo hanno ancora giocato.
Nella sua ormai ventennale storia, Naughty Dog ha saputo imporsi come una delle principali case di sviluppo in ambito videoludico. E lo ha fatto con il talento, con l'umiltà e con quella voglia di misurarsi in nuove sfide progettuali che da sempre contraddistinguono i più importanti team da quelli di secondo piano. Spaziando attraverso vari generi e tematiche, senza però perdere quel filo conduttore che ne ha spesso caratterizzato il lavoro, cioè la qualità, questa software house che ha sede a Santa Monica, in California, ha poi raggiunto l'apice del successo negli ultimi anni con la spettacolare trilogia che conosciamo tutti sotto il nome di Uncharted. Ma è con il recente The Last of Us che Naughty Dog ha probabilmente saputo lasciare di più il segno, creando qualcosa di nuovo, unico e affascinante. La storia di Joel e Ellie, un uomo e una ragazzina che si trovano quasi per caso a dover convivere lungo il loro viaggio in un mondo post-apocalittico, tra lande devastate e pericolose e nuove comunità umane in cui incontrano personaggi d'ogni sorta, ha conquistato critica e pubblico. Dati alla mano questa esclusiva PlayStation 3 ha fatto registrare la bellezza di 3.4 milioni di copie vendute in sole tre settimane. Un numero che ha superato le aspettative degli sviluppatori stessi, garantendo al titolo lo status di "fastest seller" del 2013 per la console Sony.
Viaggio nel mondo post-apocalittico di The Last of Us, dove l'unica regola è sopravvivere a ogni costo
Voci dal silenzio
Uno dei punti di forza di The Last of Us è stato indubbiamente la capacità di ricreare un universo credibile, e di saperlo raccontare attraverso una storia articolata, impreziosita da mille sfaccettature. Agli avvenimenti principali hanno così fatto da contorno delle tematiche di fondo sviluppate tramite delle vere e proprie sottotrame, vissute dal giocatore attraverso i racconti di alcuni personaggi secondari, oppure indirettamente, grazie alla visione e al ritrovamento di materiale appartenuto ai tanti sfortunati individui morti prima, durante e dopo l'infezione iniziale. Esplorando le aree di gioco, infatti, la storia si dipana sotto agli occhi degli utenti più attenti in maniera graduale ma più profonda di quanto sembri.
Un triciclo abbandonato sul marciapiede davanti a una casa, un camioncino dei gelati lasciato in tutta fretta dal suo conducente al centro di una strada, una pentola corrosa dal tempo adagiata sui fornelli spenti di una cucina, dove probabilmente era stata posizionata un ventennio prima per cuocere del cibo. Non sono solo oggetti di contorno, elementi disposti qua e là per riempire la scena. A loro modo parlano. E lo fanno per spiegare cos'è successo ai loro proprietari. Un modo ulteriore per calare il giocatore in quel devastato universo post-apocalittico di The Last of Us. Capita così di entrare in una villetta in cerca di beni di prima necessità, e di farlo attraverso la porta sfondata, scoprendo al suo interno un piccolo mondo dove tutto sembra essere stato cristallizzato in un istante. Nella desolazione generale, caratterizzata da masserizie destinate al macero, quali confezioni di plastica, cartacce, vestiti intrisi di umidità e di chissà quali altre sostanze, sembra quasi di poter sentire la puzza di muffa, ruggine e marcio, oltre a un persistente calore umido, provenire dalle stanze. A raccontare le vicende di chi ha vissuto in quell'edificio restano, come detto prima, gli oggetti di uso comune. Sulle pareti, per esempio, agli scrostamenti "naturali" portati dal tempo si sovrappongono i graffiti di qualche sopravvissuto che ha bivaccato fra quelle quattro mura prima di Joel e Ellie, e che ha deciso di lasciare traccia del suo passaggio. E poi dei disegni di bambini incorniciati sopra al camino, i collage delle foto appese alle pareti di un salotto per ricordare un evento particolare della famiglia, come un matrimonio o una laurea. Frammenti di vite passate, interrotte in un lampo.
Senza via di fuga
Il titolo di Naughty Dog stimola quindi la fantasia del pubblico, e lo spinge a esplorare meglio ogni anfratto di un luogo non solo per recuperare oggetti utili, ma anche per assaporare certi dettagli. Salendo al secondo piano, con lo sguardo puntato sulle grandi macchie di sangue che disegnano un'insolita traiettoria sulle scale, e col cuore in gola per il timore che da un momento all'altro possa spuntare qualche infetto, l'utente si fa strada fra i detriti fino a raggiungere un corridoio. Nell'aria, a giudicare dall'espressione di Joel, un forte odore acre di morte. Le prime stanze sono deserte, i letti a castello di ferro della camera dei ragazzi sono nudi, arrugginiti, come tutte le componenti metalliche dell'edificio.
Tutto è rivoltato all'aria, ma su una scrivania, quasi per contrasto, è visibile il diario personale di un'adolescente, malinconicamente aperto sull'ultima pagina. C'è una frase probabilmente scritta poco prima della fine. E poi, in un angolo fra il bagno e la camera da letto matrimoniale, lo spettacolo ancora più triste di alcuni corpi rinsecchiti, coperti da un lenzuolo. Accanto a loro i resti di un altro individuo, forse il capo famiglia, con qualche ciocca di capelli decomposti ancora visibili sul cranio, che regge fra le mani consumate dal tempo un fucile con la canna rivolta verso di sé. Tutti questi elementi in maniera figurativa narrano da soli la tragicità di un evento terribile. Raccontano la drammatica resistenza domestica di una famiglia rimasta isolata, senza speranza alcuna di ricevere soccorso dalle autorità, preda degli sciacalli o forse degli infetti. I quali, una volta penetrati in casa, li hanno costretti a un'ultima disperata difesa fra le mura domestiche, prima di capitolare e farla finita con un omicidio-suicidio. Probabilmente l'unico modo per sfuggire a una morte ancora più atroce. Moltiplicando questa esperienza per dieci, cento locazioni analoghe, la storia del gioco si amplia a dismisura. Tutto il dolore, il dramma di milioni di individui raccontati senza bisogno di altro, di scene particolari, filmati in computer grafica o effetti speciali. Anche questo è The last of Us, anche in queste sfumature, come detto, sta la sua forza narrativa.
Il mondo perduto
Da parte sua, la trama principale ha saputo trattare anche tematiche forti, di quelle considerate generalmente scomode, scavando nell'Io più profondo del genere umano attraverso le gesta e le azioni dei suoi protagonisti. Il mondo che Naughty Dog ci ha regalato con la sua avventura è desolante, brutale e spietato. Un mondo dove non esistono più regole morali e dove ogni azione, anche la più barbara e atroce è ritenuta normale. Con le razioni che si stanno esaurendo, le persone che muoiono di fame e i beni di prima necessità sempre più scarsi, la locuzione latina Mors tua vita mea (la tua morte (è) la mia vita) diventa la regola dei sopravvissuti.
Ai quali non importa di uccidere i più deboli e, in casi estremi, perfino di divorare le proprie vittime, se questo può servire loro a vivere ancora un altro giorno. Insomma, gli infetti non sono l'unica causa del crollo della civiltà. Fra ciò che resta delle città, all'interno delle aree gestite dall'esercito, o all'esterno, fra le baraccopoli sorte per volontà di coloro che hanno preferito vivere fuori dall'opprimente controllo dei militari, ci sono pure individui che tirano avanti per inerzia, come automi. E' il caso di Joel, uno dei due protagonisti del titolo. Lo vediamo 20 anni dopo l'adrenalinico prologo, uno dei più belli di sempre nel panorama ludico mondiale, vivere in uno squallido appartamento all'interno di una delle zone di quarantena ancora attive, create dal governo USA all'indomani dello scoppio dell'epidemia che come detto ha decimato il genere umano. Quelli come lui, forse, avrebbero preferito morire fin dall'inizio, ed evitarsi la tortura di dover sopravvivere ancora un altro giorno fra stenti e dolori. E tra i ricordi. I terribili ricordi di chi non ce l'ha fatta e non c'è più. Come una figlia perduta. La tragedia che lo ha colpito all'inizio del gioco lo ha reso un uomo apparentemente incapace di provare delle emozioni, un po' egoista, chiuso nel suo dolore. Non si accorge nemmeno che l'amica e collega contrabbandiera, Tess, prova qualcosa per lui. O forse fa finta di non capirlo perché non vuole legami. Joel sembra morto dentro, moderno zombi che si trascina stanco in attesa nemmeno lui sa di cosa. Senza speranza per il futuro, senza sogni, senza amore. Eppure non ha il coraggio di farla finita da sé.
Mors tua vita mea
In The Last of Us, concetti come "bene" e "male" sono piuttosto astratti, e non potrebbe essere altrimenti visto il contesto. Giocando, l'utente si interroga spesso su quando un'azione smette di essere corretta per diventare sbagliata, e se Joel sia un uomo buono o un uomo cattivo. E non riesce quasi mai a stabilirlo in maniera definitiva: l'uomo ha un suo senso morale, di giustizia, è vero, ma non disdegna di torturare e uccidere. E allora? E allora niente, Naughty Dog ha avuto il coraggio di osare, di proporre personaggi naturali, complessi e moralmente ambigui, le cui azioni, come detto, per cause di forza maggiore sono costantemente in bilico fra ciò che è lecito e ciò che è illecito.
E questo li rende unici per certi versi. La violenza che permea alcuni frangenti del gioco è credibile e non è mai gratuita: se in altri titoli si uccide spesso per divertimento o per ottenere un punteggio, in The Last of Us essa è una scelta più o meno dolorosa per il giocatore, funzionale e cruda, ma quasi sempre giustificata dagli eventi. Come se eliminare un'altra vita fosse qualcosa di autonomatico e naturale. La spontaneità del gesto infatti, in questo caso dipende da un complesso insieme di situazioni anomale, e anche dalla sinergia di vari fattori (perdita dei valori, fame, difesa, istinto primordiale di sopravvivenza). Quindi nella fattispecie non si può parlare di implicazioni morali dato che non si tratta, per certi versi, di un'azione "volontaria", fatta cioè con l'intenzione di fare del male, tranne che nel caso di qualcuno degli psicopatici che i due protagonisti del gioco incrociano lungo il loro cammino. Ma solo di un atto dovuto, necessario. Eppure anche nel deserto più arido può nascere un fiore, come recita un vecchio detto. E nel caso del titolo di Naughty Dog, esso può diventare un segno di speranza in un mondo morente e spaccato a metà. Tale segnale positivo non è però come può apparire d'acchito, il vaccino che "le Luci" potrebbero ricavare dal sangue di Ellie, ma è la ragazzina stessa.
La sua purezza morale, la sua voglia di calore umano, il desiderio di non arrendersi e di voler vivere in un pianeta diverso da quello in cui è nata, i suoi occhi ingenui aperti sul mondo, sono in antitesi con il carattere più cupo di Joel, e con la crudeltà di ciò che è rimasto dell'umanità. Joel rappresenta il passato che fatica a riprendersi, ormai rassegnato, Ellie il nuovo che vuole far rinascere la civiltà. La ragazza ha infatti un senso del dovere e una compassione che non sembrano volersi piegare alla dura realtà, che non si vogliono fermare neanche dinanzi alla bestialità di creature deformi o di persone cattive le cui azioni, nonostante tutto, non riescono a spazzare via i sogni che la animano. E' piccola d'età e di fisico, ma ha la forza interiore di mille uomini. Anche nel suo momento più difficile, dopo la violenza scampata e la morte evitata per mano di David, diventa taciturna e pensierosa, ma in lei rimane quella scintilla di speranza, quella convinzione che forse col suo sacrificio (quello di rimanere con le Luci e di sottoporsi a degli esperimenti -ndr) la civiltà rinascerà e i mostri come David spariranno in automatico dalla faccia della terra. E le basta vedere la natura incontaminata rappresentata da un branco di giraffe a Salt Lake City, miti ed eleganti nel loro incedere, per ritrovare di nuovo il sorriso, quella voglia di vivere che l'hanno resa pian piano speciale agli occhi di Joel, e di conseguenza a quelli dei videogiocatori.
Curiosità
Nel titolo sono presenti numerosi easter egg, vale a dire quei contenuti "particolari" e spesso ironici, che gli sviluppatori nascondono talvolta all' interno di un titolo. Ecco quindi che esplorando alcune locazioni ci si può imbattere nel gioco da tavolo di Uncharted, in quello di Jak and Daxter e nel pupazzo di peluche con le sembianze di Nathan Drake, realizzato però con lo stile dei Sackboy di LittleBigPlanet. E ancora, una PlayStation 3 Slim, un ritaglio di giornale con un articolo che rivela come l'idolo di milioni di ragazzine, il cantante pop di origini canadesi Justin Bieber, apparirà in un fantomatico Uncharted 13. E vari poster che richiamano pellicole reali come Twilight o videogiochi famosi, nonché un paio di numeri di telefono che, pare però in questo caso utilizzati involontariamente dai grafici, riportano a un vero servizio erotico. Ci sono poi locazioni, come per esempio il Pub irlandese O'Sullivan's, che replicano esattamente ambienti di altri titoli di Naugthy Dog. In questo caso è il bar della sequenza di apertura di Uncharted 3: l'inganno di Drake.
Chi vuol essere lieto sia
Vagando tra i cumuli di macerie e la fitta vegetazione che ha preso possesso di quelle che una volta erano le dimore di milioni di esseri umani, lei lo "contagia" positivamente, lo conquista passo dopo passo, risveglia in lui quella umanità evidentemente solo sopita. Perfino i lunghi silenzi durante le fasi di esplorazione, interrotti appena dal suono del vento che soffia fra gli alberi o fra i palazzi decadenti, dal crepitare del legno marcio e dal fischiettare di Ellie, dalle sue esclamazioni di stupore dinanzi a cose che dovrebbero essere normali in un mondo normale, per una ragazzina, come lo svolazzare di una farfalla o un tramonto colorato che si staglia all'orizzonte, vissuto fra l'abbraccio quasi magico di un gruppo di lucciole che le ronzano attorno, contribuiscono a quanto appena descritto. Ellie scuote tutti, non solo Joel, dal torpore stanco del quotidiano, li aiuta ad apprezzare la bellezza dell'ambiente, quella di essere vivi in quel giorno, in quel luogo, in quel momento. Quasi a voler ricordare pure ai videogiocatori partecipi di quelle emozioni che ci sono attimi nella vita da godere fino in fondo, finché durano, perché "del doman non v'è certezza". Come si fa quindi a non provare tenerezza o un senso di protezione naturale verso di lei? E di fronte a questo legame che si viene a instaurare fra i due protagonisti, ma anche fra i videogiocatori e gli stessi personaggi, che ciò che Joel fa nel finale viene tollerato e condiviso dal pubblico. Quando infatti si scopre che il sacrificio richiesto dalle Luci a Ellie per ricavarne un vaccino contro l'infezione sarà ben più grande di quello che si pensava all'inizio, e che questi gli costerà la vita, l'utente si sente totalmente partecipe delle reazioni dell'uomo. Le condivide pur sapendo che sotto certi punti di vista sono sbagliate. E' sbagliato condannare, forse, l'umanità all'estinzione. E' errato uccidere degli innocenti a sangue freddo, coloro che fino a poche ora prima sembravano (e forse lo sono ancora) i "buoni" della situazione.
Ma diventa giusto proteggere fino alla fine una persona a cui si è imparato a volere bene, un'innocente che non è giusto che muoia. E poi, in fondo, ci si convince che Joel abbia ragione anche perché ci sono altri soggetti immuni all'infezione su cui "lavorare", non esiste alcuna garanzia che la morte di Ellie donerà davvero una cura certa all'umanità, e magari il vaccino, una volta ottenuto, potrebbe rivelarsi un flop. E anche nel caso in cui avvenisse il contrario, ed esso si rivelasse davvero la panacea di tutti i mali, non c'è la sicurezza che tramite la sua diffusione si possano davvero raccogliere i cocci della società, e rimetterli di nuovo insieme. Forse, infatti, è ormai troppo tardi, e il livello di imbarbarimento dell'uomo e della vita collettiva è in uno stadio di degrado troppo avanzato per poter essere fermato e riportato a come era prima della catastrofe. Ma sono davvero queste le motivazioni che spingono Joel a liberare la piccola e a salvarla? O sono altre, più intime? Noi, a dire il vero, propendiamo per queste ultime. Per uno strano scherzo del destino la vita gli sta concedendo una seconda occasione. Portare in salvo Ellie per Joel equivale a riuscire in quell'impresa fallita suo malgrado anni addietro con la perdita della figlia. The last of Us inizia con la tragedia del protagonista che scappa con la piccola Sarah in braccio, con l'imbattersi in un uomo armato (soldato) che supplica inutilmente affinché risparmi lui e la sua bambina, ma senza successo. E si conclude in maniera analoga, seppur con risvolti diversi: Joel è si in fuga con la "sua" Ellie tra le braccia, ma stavolta non supplica, agisce con decisione e uccide chi cerca di fermarlo. Anche in maniera spietata, come fa con Marlene, e a costo di condannare il genere umano all'estinzione. Deciso a non perdere di nuovo ciò che ha di più caro al mondo, la sua "nuova" figlia. Egoismo? Amore estremo? Rivalsa nei confronti del destino? Forse tutti e tre i motivi insieme, nessuno può saperlo con certezza.
La fine o un nuovo inizio?
Certo è che quando i due si trovano al sicuro nei pressi di Jackson County, l'uomo dice una bugia alla giovane sopravvissuta. E quella menzogna sembra proprio avallare quanto appena ipotizzato. Generalmente si mente per sfuggire a una responsabilità, alla disapprovazione altrui o per mille altre ragioni, compresa la volontà di conservare un margine di libertà in cui sia consentito fare quello che si desidera senza che ciò diventi motivo di rammarico. Freud sosteneva che la vita è un'esperienza troppo dolorosa per essere presa così com'è. Così l'individuo sente il bisogno quasi fisiologico di inventarsi degli spazi per la fantasia, che diventa di conseguenza lo strumento attraverso il quale l'uomo riesce a vivere in un realtà propria, conciliandola però con quella vera. Raramente però si mente per altruismo.
Nella scelta di Joel di mentire c'è sì una sincera preoccupazione per i sentimenti altrui, ma c'è anche una comoda via di fuga dalla responsabilità e dai sensi di colpa che la verità scatenerebbe. Se sia predominante la prima o la seconda ragione è difficile dirlo, ma conoscendo l'animo umano si è propensi a credere che le ragioni egoistiche premano di più di quelle altruistiche. La sensazione è che Joel lo faccia non solo per proteggere Ellie dal dispiacere di non aver potuto aiutare l'umanità, e impedirle quindi di compiere una scelta avventata, cercando magari di tornare indietro, ma lo faccia pure per sé stesso. Per non avere eventuali sensi di colpa, o per il timore che la ragazzina si arrabbi con lui al punto da odiarlo e ripudiarlo. Tutto questo per avere accanto una figlia che non c'è mai stata negli ultimi 20 anni. Una figlia che avrebbe voluto crescere, avere accanto ogni giorno della sua esistenza. Alla fine in Ellie prevale la fiducia che ripone in Joel, e pur se probabilmente consapevole che se lui le ha mentito, accetta quella menzogna perché capisce che se egli è arrivato a tanto c'è un valido motivo. E che forse è meglio così, perché la verità potrebbe essere peggiore della bugia. Il gioco si conclude così, col primo piano di una Ellie poco convinta dalle parole di Joel, per un finale anomalo che, piaccia o non piaccia, si è rivelato comunque originale, efficace e fuori dagli schemi classici del genere. Ed è proprio in questa sua diversità la sua bellezza, nel suo non essere melodrammatico o sontuoso, ma semplice e sorprendente a suo modo. Aperto e a mille interpretazioni e ad altrettante possibilità di seguiti.