Il buon vecchio Peter non conosce mezze misure, in grado com'è di affascinare o di tirare sole mostruose. Stiamo parlando di Molyneux, l'affabulatore per eccellenza, in grado di plasmare mondi incredibili così lontani dalla realtà da non essere mai realizzati nella loro pienezza. Il leggendario game designer, padre dei "god game", di Theme Park, di Syndacate e di Fable, nell'ambiente della Game Developers Conference ci sguazza da sempre, seguito com'è da centinaia di aspiranti sviluppatori che lo ammirano, giustamente, per la sua capacità di stupire e d'intrattenere. Dal 2005 abbiamo visto almeno una decina di sue conferenze qui alla GDC e, raramente, siamo venuti via senza avere una storia da raccontare. Anche questo caso non fa eccezione, solo che non abbiamo ancora capito se si sia trattato di una sola o di un colpo di genio... oppure di qualcos'altro. Peter aveva deciso di parlare di scrivanie.
La vita di Peter Molyneux raccontata attraverso le foto delle scrivanie su cui ha lavorato per anni
Scrivanie non nel senso di un sistema operativo alternativo a finestre, ovvero Windows, ma proprio nel senso del luogo di lavoro. Una collezione di mobili attraverso le fotografie di una vita passata a programmare giochi, partendo dai tempi di Bullfrog per arrivare fino a Lionhead e poi a Microsoft. Una sequenza di scatti, che abbiamo lasciato intatti così da potervi fare un'idea del concetto, che partivano dal caos più totale degli esordi fino all'ordine androgino dell'ultimo tavolo da lavoro dei tempi di Microsoft. Questo per raccontare le differenze tra l'essere uno sviluppatore indie rispetto al creatore di giochi tripla A, quelli che devono avere successo per forza e che sono figli di budget milionari.
Perché si era trovato a lavorare per Microsoft? Per la certezza del futuro, per non avere più dubbi, per avere più denaro e per non correre rischi. Il problema? L'impossibilità, a suo dire, di creare davvero, di innovare, cosa che per lui è fondamentale. Il design e l'innovazione sono morti. Attaccate al televisore ha PlayStation 4, Wii U e Xbox One con tutti i giochi, cosiddetti, next gen. Ma cos'è la next gen? Per adesso solo una sequenza di giochi identici al passato e senza nessuna innovazione. Il compito di un game designer è quello di sfruttare la tecnologia per innovare, per tentare strade nuove a rischio del successo, e questo è quello che sentiva di dover fare tornando a innovare il genere dei god game che aveva inventato anni fa.
Per ottenere questo risultato ha fondato 22 Cans e si è ritrovato con la scrivania qui accanto, più simile a quelle di un tempo, solo che ha smesso di fumare sigarette vere per passare a quelle elettroniche. La conferenza che, partendo dalle scrivanie (eccellente e divertente premessa) avrebbe dovuto raccontare cosa significa tornare a fare l'indie a più di cinquant'anni e dopo aver sviluppato titoli milionari così a lungo, si è presto trasformata in un'esaustiva disamina di Godus, la sua ultima creatura. Mostrata, per la prima volta, in versione iPad, che pare davvero carina e in grado di replicare tutti i pregi della versione PC (per i quali vi rimandiamo ai relativi articoli scritti durante le diverse fiere di settore). Il gioco non sembra male, francamente, ricco di citazioni, sotto missioni e task implementati con un uso intelligente del sistema touch. Solo che il pretesto ci è parso labile e una mera scusa per cercare di raccontare qualcosa di nuovo di un gioco che tra Steam e beta chiunque potrà presto provare su almeno un paio di piattaforme. Per essere indie bisogna assumersi rischi, fare scelte scellerate e realizzare giochi che un publisher non farebbe mai. Magari uno sviluppatore indie però, non sfrutterebbe una conferenza nata per raccontare una vita da designer per fare una bellissima promo di un gioco già finanziato con Kickstarter e presto in vendita su Steam e altrove. Meno male che la parte delle scrivanie era davvero interessante.