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L'importanza di essere una mascotte

Qual è la vera mascotte Sony? Ma soprattutto: è davvero importante che ce ne sia una?

SPECIALE di Christian Colli   —   01/02/2015

È stato un plebiscito. Avete risposto con entusiasmo al nostro sondaggio sull'icona PlayStation per eccellenza, e avete votato quasi tutti Crash Bandicoot, lo strampalato marsupiale dei Naughty Dog. Kratos, l'incazzatissimo protagonista di God of War, è arrivato secondo, seguito da Nathan Drake, il protagonista di un'altra, popolarissima serie Naughty Dog: Uncharted. I bizzarri concorrenti a seguire ci hanno fatto riflettere: ci sono Solid Snake di Metal Gear Solid e Spyro il draghetto, per esempio, ma anche un'archeologa che non ha bisogno di presentazioni, Lara Croft.

L'importanza di essere una mascotte

Il fatto che già questi franchise non siano esclusive PlayStation ma brand multipiattaforma ci ha fatto pensare al concetto di mascotte, cioè il personaggio che rappresenta un certo marchio. Com'è possibile che, per molti, un personaggio apparso anche su altre console possa rappresentare il marchio Sony? Il discorso è in realtà abbastanza complesso, poiché la verità è che Sony non ha mai avuto una mascotte vera e propria e sono stati i giocatori, più che altro, ad associargliene una. Vediamo dunque di esplorare il concetto di mascotte e di capire come mai Crash Bandicoot abbia raggiunto il primo posto nel nostro sondaggio, prendendo come esempi due icone assolutamente fondamentali nel settore dei videogiochi: Super Mario e Sonic The Hedgehog.

Scopriamo insieme cosa significa essere una mascotte e se la Sony ne ha una degna di questo nome

Il significato dell'icona

Una mascotte è una persona, un animale o un oggetto che rappresenta l'identità pubblica di un gruppo o di una società, come per esempio una scuola, una squadra sportiva o un brand. La mascotte diventa sostanzialmente il portavoce fittizio del brand cui è associata, incarnando lo spirito e lo scopo dei prodotti rivolti ai consumatori. L'utilità di una mascotte è piuttosto chiara: serve a creare automaticamente un'associazione di idee tra il marchio e i prodotti che lo portano.

L'importanza di essere una mascotte

Se pensiamo a Super Mario, non possiamo fare a meno di pensare a Nintendo e, quindi, ai suoi videogiochi. La mascotte Super Mario nasce quasi un secolo dopo la fondazione della Nintendo per rappresentare i suoi videogiochi: egli è il protagonista dei suoi titoli di successo - prima Donkey Kong e poi Mario Bros. - ed è il volto della compagnia, un'immagine che ne esprime la filosofia ricordando immediatamente ai consumatori che tipo di giochi può aspettarsi dalla società che rappresenta. Per comprendere meglio l'importanza che le mascotte avevano all'inizio degli anni novanta, vale la pena esplorare la creazione della seconda mascotte per eccellenza in campo videoludico: Sonic, il porcospino blu concepito dalla Sega per "affrontare" Super Mario e, dunque, Nintendo. La forza dell'icona Super Mario costrinse la sfortunata Sega a cercare un portavoce fittizio altrettanto potente per rappresentare il suo brand nei negozi e nelle pubblicità internazionali: viene indetto un concorso interno e gli artisti propongono la loro visione della mascotte Sega, passando da un armadillo a un sosia di Theodore Roosevelt in pigiama. La scelta dell'amministrazione nipponica ricadde su un porcospino dall'aria punk, con tanto di collare chiodato e chitarra elettrica, accompagnato da una bella bionda di nome Madonna: un personaggio impresentabile in occidente, come intuirono subito i responsabili di Sega of America. Il presidente Tom Kalinske dovette lottare duramente per cambiare il volto della mascotte che avrebbe dovuto rappresentare Sega in tutto il mondo, riuscendo infine ad ammorbidirla e a trasformarla nel Sonic che conosciamo bene tutti: un porcospino blu cartoonesco dall'aria sbarazzina e irriverente che incarnava perfettamente lo spirito "cool" di Sega, la filosofia su cui era fondata praticamente tutta la sua produzione videoludica.

L'importanza di essere una mascotte

A questo punto dovrebbe esservi chiaro un concetto: le mascotte non nascono per caso. C'è un complesso lavoro di marketing dietro la loro creazione, uno studio concreto a livello psicologico e commerciale che fa la differenza tra un'immagine piacevole e una insopportabile. Super Mario è diventato il portavoce di Nintendo perché ne rappresentava personalmente il successo in un momento in cui quello dei videogiochi era un campo libero, e Sonic è stato concepito per fare concorrenza a Mario e a Nintendo su molteplici livelli: nei giochi, nella pubblicità, nell'immaginario globale. Negli anni novanta, i giocatori che vedevano Mario o Sonic pensavano subito a Nintendo o Sega, perché quelle due icone rappresentavano le loro rispettive compagnie e le filosofie differenti con cui esse si approcciavano ai consumatori: in altre parole, era stato il riscontro da parte dei giocatori a renderle veramente le mascotte dei loro brand. Se Sonic non avesse avuto il successo sperato da Sega, probabilmente si sarebbe passati a una mascotte diversa, e lo stesso, forse, sarebbe valso per Mario, non fosse per il fatto che non a quei tempi le alternative scarseggiavano. Giunti al 1996, Sony si affacciava timidamente su un mercato in cui spadroneggiavano Nintendo e Sega in una lotta senza quartiere. Sony, che fino a quel momento aveva prodotto elettronica di consumo e non aveva avuto bisogno di una mascotte che rappresentasse una "linea di pensiero", doveva competere con personaggi ben radicati nell'immaginario collettivo come Mario e Sonic: ma nella nuova generazione dei videogiochi a 32 bit, era davvero importante riconoscersi in una mascotte?

Crash Bandicoot è una mascotte?

Il fatto che Sega avesse deciso di creare Sonic, sia come personaggio sia come videogioco, col puro e semplice scopo di contrastare Nintendo e Mario, aveva generato una specie di circolo vizioso per il quale sembrava che la mascotte di una certa compagnia dovesse necessariamente essere il protagonista del suo gioco di punta, in special modo se apparteneva a un genere molto popolare e adatto a tutte le età. Non è un caso che molti considerassero Mega Man la mascotte di Capcom o Pac-Man quella della Namco.

L'importanza di essere una mascotte

Il problema era che Sony non aveva un titolo di punta, o meglio ne aveva parecchi ma nessuno di essi sembrava poter rappresentare il brand PlayStation nello scontro con le console della concorrenza: quanto sarebbe stato strano se la mascotte di Sony fosse stata Chris Redfield o Rayman? Tanto per cominciare, non erano titoli first party, e quindi non rappresentavano Sony in sé e per sé, e poi sarebbe stato un po' fuori luogo se il portavoce di un marchio come Sony fosse stato un cacciatore di zombi, no? Il successo della PlayStation di Sony si affidava in special modo agli sviluppatori third party, ragion per cui Jason Rubin e Andy Gavin, i fondatori di Naughty Dog, decisero di proporre alla compagnia un platform esclusivo in modo che il suo protagonista potesse diventarne la mascotte. Anche in quel caso si trattò di una scelta ragionata: Rubin sapeva che Sony aveva bisogno di un'icona e che quindi sarebbe stata particolarmente propensa ad accettare la loro proposta. D'altra parte, per i due ventiquattrenni la sfida appariva fin da subito incredibilmente difficile: se Sony avesse acconsentito, avrebbero dovuto assumere immediatamente dei collaboratori per lavorare al loro primissimo gioco 3D, creando per giunta un personaggio che avesse il carisma necessario ad affrontare Sonic e Mario sul ring delle mascotte. Senza contare che i due non sapevano neppure se Sony avesse già una mascotte in Giappone, e in quel caso i loro sforzi sarebbero stati vani: in realtà, Sony avrebbe scelto la sua mascotte tre anni dopo l'uscita del primo Crash Bandicoot, e sarebbe stata Toro Inoue, il gatto antropomorfo del gioco Doko Demo Issyo. Nonostante Toro Inoue rappresenti ancora oggi Sony - e in particolare il PlayStation Network - in Giappone, il fatto che Doko Demo Issyo sia conosciuto pochissimo fuori dal paese del Sol Levante è molto significativo, così come è significativo il fatto che a un certo punto Sony abbia lasciato libero Crash Bandicoot, a partire da Crash Bandicoot: The Wrath of Cortex del 2001, quando l'accordo di esclusività tra il publisher Vivendi Universal e SCE era cessato, spingendo la prima a portarlo anche su altre piattaforme quando Sony aveva deciso di non avere più bisogno di Crash come mascotte.

L'importanza di essere una mascotte

Perché, del resto, come può rappresentare la tua società un personaggio che gira anche sulle console della concorrenza? A quel punto era chiaro un concetto: nel 2000, con Sega sconfitta e il mercato dei videogiochi fuori dalla nicchia, sempre più poliedrico e diviso tra Sony, Microsoft e una Nintendo in secondo piano rispetto al passato, lo scenario era completamente cambiato. In un'intervista rilasciata nel 2013 da Mark Cerny, la mente dietro a PlayStation 4 e PlayStation Vita, si è parlato di mascotte in occasione dell'uscita di Knack. A un certo punto Cerny dichiara che ormai abbiamo superato l'epoca delle mascotte: il progresso tecnologico nel campo della pubblicità e della multimedialità le hanno rese semplicemente obsolete. Le compagnie ora propongono talmente tanti giochi e franchise per tutti i gusti che non c'è più una filosofia ben precisa, uno spirito particolare cui attenersi. Mario rimarrà per sempre il volto di Nintendo per una questione di tradizione - anche quando pesta a sangue Sonic sui campi di battaglia di Super Smash Bros. - ma in realtà Nintendo ora è Mario e anche Link, Zelda, Samus, Pit, Donkey Kong, eccetera. Così come Sony non ha più bisogno di una vera e propria mascotte: i giocatori riconosceranno Sony anche in Kratos o in Nathan Drake, ma il primo pensiero delle vecchie generazioni sarà sempre il marsupiale arancione dei Naughty Dog, che ha rappresentato l'ingresso di Sony nel campo dei videogiochi mentre si accingeva a diventare il fenomeno mondiale che oggi diamo per scontato. E quindi, in un certo senso, se pure Sony non considera Crash Bandicoot la sua vera mascotte, è giusto che lo facciamo noi al posto suo.