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Distruzioni di massa

Splash Damage ancora nell'arena degli sparatutto dopo il deludente BRINK

PROVATO di Luca Olivato   —   10/03/2015

Splash Damage è un nome che gli appassionati di sparatutto online conoscono da diverso tempo. Il loro titolo di debutto è stato infatti il mitico Wolfenstein: Enemy Territory, l'expansion pack stand-alone gratuito per Return To Castle Wolfenstein, uscito nel 2003. Il sodalizio con id software è poi proseguito nel 2007 con Quake Wars: Enemy Territory, variante multiplayer di un altro franchise della società texana, salutato con un entusiasmo da critica e pubblico. Nel 2011 è stata la volta di BRINK, nuova proprietà intellettuale con legami però ben radicati nell'heritage della casa di Londra; nonostante le iniziali aspettative è mancato il successo commerciale che aveva fino a quel momento contraddistinto le fatiche di Splash Damage. Forse proprio per questo motivo, con l'imminente Dirty Bomb, Paul Wedgwood e soci hanno deciso di tornare alle origini proponendo uno sparatutto free to play che abbiamo potuto testare in anteprima. Curiosa l'origine del nome: annunciato il 29 novembre del 2012, aveva subito un cambio di titolo dopo la closed alpha, ed era quindi stato presentato al PAX del 2013 come Extraction, salvo poi tornare ad essere Dirty Bomb nel maggio seguente.

La vera sfida per Dirty Bomb è trovare l'equilibrio tra divertimento e redditività

Free to play competitivo

Il prodotto testato era lungi dall'essere nella sua versione definitiva, ma ha comunque fornito delle indicazioni di massima su uno sparatutto che potrebbe avere le carte in regola per diventare una nuova hit nell'affollato panorama dei videogame "gratuiti". Impressioni confermate non solo dalla struttura del gameplay, che analizzeremo a breve, ma anche dai numerosi messaggi sul forum ufficiale (e non solo), in cui tanti utenti chiedevano di entrare a far parte dei fortunati 100.000 che sono stati selezionati dallo staff di Splash Damage per i due week-end di closed beta che si sono tenuti nella terza settimana di febbraio e nella prima di marzo.

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Le modalità di gioco sarebbero due, ma ci pare onestamente troppo generoso marcare una differenza così profonda tra la Objective e la Stopwatch, considerando che entrambe condividono medesime mappe e filosofia (si tratta di conquistare piuttosto che difendere determinati punti strategici). L'unica differenza risiede nel fatto che nella prima vince il team che porta a termine il proprio obbiettivo nell'arco di tempo prestabilito, mentre nella seconda viene fornita, a ruoli invertiti, possibilità di rivincita alla squadra perdente. La schermata iniziale, oltre ad offrire la possibilità di affrontare un tutorial tanto scarno quanto poco esaustivo, permette di scegliere un match casuale, senza quindi tener conto del livello dei concorrenti, o uno bilanciato. La beffa consta nel fatto che la seconda opzione, che dovrebbe garantire un maggior equilibrio e di conseguenza una sfida più equa, si è rivelata spesso deludente, con squadre esageratamente forti o deboli, mentre di contro l'assoluta accidentalità nella scelta dei partecipanti ha dato vita, nelle nostre prove, a delle sfide molto più avvincenti.

Dirty Bomb: BRINK 2.0?

Il ritmo ricorda ovviamente quello degli altri titoli citati all'inizio, ed in particolare quello di Quake Wars: Enemy Territory: gli scontri sono quindi frenetici e richiedono una buona coordinazione, proprio come accadeva negli shooter di inizio millennio. A differenza della maggior parte dei concorrenti, in Dirty Bomb gli equipaggiamenti sono stati sostituiti con dei... mercenari. All'inizio di ogni partita il giocatore deve scegliere una squadra composta da tre elementi, ciascuno dei quali contraddistinto da specifici valori di velocità, di capacità di salto e soprattutto di dotazione militare.

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Sawbonez ad esempio ha a disposizione una mitragliatrice; può rianimare i caduti (una volta che un avversario viene colpito non muore immediatamente, per permettere al medico di rimetterlo in vita) e fornire medikit agli alleati, ma necessita di scorte di munizioni perché, una volta finite quelle in dotazione, non sarà in grado di continuare a sparare se nessuno lascerà sul campo delle casse di proiettili. Dopo ogni morte il giocatore può scegliere con quale soldato rientrare in battaglia. La filosofia, come si può ben capire da queste poche righe, premia il lavoro di squadra: difficilmente sarà possibile lanciarsi in azioni solitarie, soprattutto se gli avversari sanno coordinarsi bene tra loro, e anzi bisognerà cercare di adattare il proprio stile di gioco a battaglia iniziata per sopperire alle lacune del proprio team. Al termine di ogni partita vengono elargite le ricompense: il sistema premiante di Dirty Bomb è, allo stato attuale, abbastanza confusionario e necessita di essere raffinato. Prodigarsi in virtuosismi tecnici fornisce delle medaglie il cui unico fine è quello di decorare la bacheca virtuale; raggiungere altri obbiettivi nel corso della propria carriera permette invece di accumulare monete (virtuali) e di sbloccare nuovi mercenari che dovranno essere arruolati, o potenziati, con i denari di cui sopra. Il bilanciamento delle classi è parso abbastanza convincente, visto che nessuna è sufficiente a sé stessa e spesso è capitato che l'assenza di un determinato ruolo impedisse, ad esempio, di far saltare in aria un container nonostante una superiorità numerica. C'è invece ancora da lavorare sul comparto tecnico, con glitch che permettono ai cecchini di colpire bersagli nascosti dietro ad un muro e frequenti rallentamenti che non mancano di mandare in frantumi il fegato del giocatore.

I rischi del Pay to win

Il titolo è ambientato in una Londra futuristica anche se, a parte qualche dettaglio sparso qua e là, si fa fatica a riconoscere la capitale inglese. Lo stile grafico, naturalmente influenzato da Brink, ricorda anche un mix tra l'antesignano Nerf Arena: Blast, Battlefield Heroes e la precedente opera di Splash Damage per i sistemi mobile, ossia Rad Soldiers: texture dai colori molto accesi per favorire senza fronzoli l'azione e in bassa risoluzione per ampliare al massimo il bacino d'utenza.

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I poligoni sono pochi e gli effetti speciali si contano sulle dita della mano, ma dobbiamo ricordare che si tratta pur sempre di una versione non definitiva del prodotto. Il motore utilizzato è l'Unreal Engine nella terza versione: si tratta di un piccolo colpo di scena perché per i precedenti giochi Splash Damage aveva sempre adottato gli engine id software. Poco incisiva la colonna sonora, ma comunque adatta al contesto, mentre sono apparse efficaci le comunicazioni online. Le mappe sono strutturate in modo da favorire il gioco in cooperativa. Le location non ci sono parse particolarmente ispirate: troviamo il deposito ferroviario, il laboratorio chimico, il centro direzionale e il quartiere industriale. Si tratta di ambientazioni viste e riviste che probabilmente avrebbero potuto avere un po' di carisma in più, ma nel complesso sono funzionali all'azione, anche se sono ben evidenti alcune sbavature che rendono di volta in volta o troppo facile o quasi impossibile il compito di chi difende o di chi attacca, soprattutto quando il numero di giocatori non raggiunge il limite massimo. Per il momento non è ancora ben chiaro come verranno gestite le transazioni in-game: probabilmente molto dipenderà dalle scelte commerciali di Nexon, il publisher di Dirty Bomb, il cui portfolio è pregno di titoli che fanno del pay to win la propria ragion d'essere in maniera inquietante. Certo le vedute di Paul Wedgwood, il grande capo di Splash Damage, sembrano essere concilianti con quelle dei giocatori che gradirebbero vedere premiate le proprie abilità piuttosto che il conto in banca, ma trovare il giusto punto di equilibrio tra divertimento e redditività potrebbe essere uno degli scogli più difficili da superare per Dirty Bomb.

CERTEZZE

  • Ritmo frenetico
  • Meccaniche di gioco rodate e coinvolgenti
  • Bassi requisiti di sistema

DUBBI

  • Mappe e potenziamenti da bilanciare
  • Reparto tecnico da sistemare
  • Dubbi sulle transazioni e sul loro impatto sul gioco