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Gli asset riutilizzati salveranno i videogiochi

Elden Ring Nightreign ha riacceso ancora una volta la discussione sugli asset riciclati nei videogiochi: ancora oggi motivo di accusa, sono in realtà una risorsa che ha fatto la storia del settore.

SPECIALE di Lorenzo Mancosu   —   09/03/2025
Il Re Senza Nome riciclato in Elden Ring Nightreign

Nell'istante stesso in cui il closed network test di Elden Ring Nightreign ha offerto al pubblico uno spaccato del nuovo progetto di FromSoftware, i maggiori critici dell'operazione sono tornati a impugnare una particolare arma utilizzata molto spesso per attaccare l'operato degli studi di sviluppo, ovvero il riciclo di asset. Si tratta di una battaglia che continua a riemergere ciclicamente: è accaduto per esempio nel momento dell'esordio di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, all'alba di Horizon Forbidden West, durante i giorni ormai lontani in cui vedeva luce Halo 3: ODST, così come in tante occasioni nell'orbita di Call of Duty. Insomma, è un'evenienza che tende a ripetersi a intervalli regolari e che nel corso del tempo ha portato numerosi videogiocatori a inquadrare nell'atto di riciclare asset precostruiti una sorta di reato da condannare senza appello.

Trovandosi al cospetto di una risposta di questo genere è fuori di dubbio che in passato sia stato fatto un utilizzo deleterio di una risorsa preziosa e diffusa come il riutilizzo degli asset, portando fette dell'utenza ad associare quasi automaticamente tale pratica a una mancanza, al sintomo di un problema insito nel publisher, alla necessità di inseguire una monetizzazione facile e a basso costo. Quest'ultimo punto è quello che più d'ogni altro ha il potenziale per fare riflettere: nel pieno di un'epoca caratterizzata da budget astronomici e tempi di sviluppo biblici, riciclare asset in maniera coscienziosa sembra un'opzione decisamente più auspicabile rispetto allo sfruttamento incontrollato di modelli di intelligenza artificiale generativa o ai tagli che stanno segnando diversi produttori.

Dispiace battere sempre lo stesso chiodo, ma quando si parla di asset riciclati è praticamente impossibile non volgere lo sguardo verso Ubisoft, forse la compagnia che ha ricoperto il ruolo determinante nell'influenzarne la percezione: il fatto che il gufo originariamento introdotto in Far Cry Primal sia riapparso tale e quale in forma di drone sulle sponde di Watch Dogs 2, per poi tornare ancora una volta nella giungla di Ghost Recon: Wildlands e fare infine il suo debutto anche nella saga di Assassin's Creed, ha indubbiamente contribuito a cementare l'idea del riciclo di asset come uno strumento che guarda al risparmio prima ancora che alla coerenza ludonarrativa, volto esclusivamente ad alimentare l'offerta mascherando l'assenza di idee.

Sta di fatto che tutti gli asset, siano essi personaggi, ambientazioni, modelli, texture, animazioni e quant'altro, pesano enormemente sul processo di creazione di un videogioco ed è proprio per questa ragione che fin dagli albori del medium è stato imperativo tentare di cestinarne il minor numero possibile. Se da una parte queste operazioni sono state in grado di facilitare oltremisura la produzione di opere originali e soprattutto quella dei sequel storici, il riciclo di asset nei videogiochi si è rivelato uno strumento eccezionale anche sul fronte creativo: oltre a rendere possibili processi altrimenti impossibili, ha avuto un impatto positivo su tantissimi prodotti, giocando con i ricordi degli appassionati e impreziosendo l'esperienza ludica.

"Aonuma, fammi un nuovo videogioco in un anno"

A fronte del baratro lungo cinque anni che aveva separato i capitoli precedenti della saga, ovvero Link's Awakening e Ocarina of Time, The Legend of Zelda: Majora's Mask per Nintendo 64 fu sviluppato nell'arco di soli quindici mesi. Per raggiungere quell'obiettivo apparentemente impossibile furono riciclati il motore e la quasi totalità degli asset originariamente realizzati per Ocarina of Time, riducendo al minimo sindacale il carico di lavoro necessario, ma portando di converso all'emersione di un grosso problema sul fronte creativo, dal momento che sarebbe stato necessario giustificare in maniera coerente la presenza di tutte le entità, gli oggetti e i personaggi già incontrati durante la prima visita nella Hyrule tridimensionale.

Tutti i personaggi di Majora's Mask sono recuperati da Ocarina of Time e totalmente mutati nel ruolo
Tutti i personaggi di Majora's Mask sono recuperati da Ocarina of Time e totalmente mutati nel ruolo

Questo dilemma portò all'emersione della dimensione parallela di Termina, un universo alternativo nel quale i cari vecchi modelli degli abitanti di Hyrule sarebbero tornati sul palcoscenico indossando una nuova veste, accompagnati da qualche piccolo innesto che facesse da collante al tessuto della narrazione. Allora Eiji Aonuma era il principale progettista dei dungeon della serie ed è proprio a lui che si può imputare l'esistenza del progetto: dal momento che si trovava costretto a lavorare controvoglia su una reinterpretazione delle vecchie segrete, quella che sarebbe maturata fino a diventare Master Quest (originariamente "Ura Zelda"), rese noto il suo malcontento a Shigeru Miyamoto, ottenendo per tutta risposta una sfida che profumava di ultimatum. Stando alle parole raccolte da Satoru Iwata, Miyamoto disse al team: "Perfetto, potete realizzare un nuovo Zelda originale, ma dovete impiegarci solamente un anno".

Allora Aonuma, assieme a Yoshiaki Koizumi e agli altri membri del team, dovette costruire nuove sfide totalmente originali riassemblando le vecchie componenti che avevano dato i natali a Ocarina of Time. Oltre a intaccare le ambientazioni, i personaggi, le animazioni e gran parte del sonoro, l'operazione di riutilizzo degli asset ebbe un ruolo fondamentale anche nella definizione del gameplay: l'intuizione di ambientare l'esperienza in un loop temporale della durata di tre giorni e di tre notti, infatti, costituiva in sé e per sé uno stratagemma pensato per incrementare la quantità di contenuti disponibili pur rimanendo ancorati a un mondo di gioco piuttosto contenuto. A quel punto, lavorando esclusivamente sul comportamento dei protagonisti e sulle aree accessibili nei diversi momenti delle giornate, sarebbe stato possibile realizzare un'opera tanto compatta quanto profonda.

Dopo essersi lamentato per dover reinterpretare i vecchi dungeon, Aonuma dovette crearne di nuovi con i vecchi asset
Dopo essersi lamentato per dover reinterpretare i vecchi dungeon, Aonuma dovette crearne di nuovi con i vecchi asset

Quella di Majora's Mask rappresentò indubbiamente una situazione estrema e peraltro anche sfortunata, dal momento che alcuni sviluppatori risposero al crunch necessario per rispettare i tempi esprimendo il malcontento direttamente nella sceneggiatura, ma fu anche uno degli esempi più virtuosi delle operazioni di riciclo durante un'epoca nella quale il settore non ne faceva assolutamente segreto. Quasi tutti i sequel delle opere più amate - basti pensare a Spyro, Crash Bandicoot o Banjo-Kazooie - nascevano strette nell'abbraccio del riciclo, perché si trattava dell'unico modo per garantire un flusso costante di pubblicazioni all'alba delle tre dimensioni; d'altra parte, era ancora piuttosto raro imbattersi in un prodotto autoriale nato come una total conversion o, come si usa dire oggi nel mercato shovelware, un semplice "asset flip".

La Città Infame di Dark Souls è interamente fatta di 10 pezzi di legno ripetuti

Al di là del caso Nightreign, l'esperienza dimostrata da FromSoftware nell'arte di riutilizzare asset è indubbiamente una delle ragioni principali per cui, dal 2009 fino a oggi, la compagnia è stata in grado di produrre Demon's Souls, tre capitoli della saga di Dark Souls con relativi DLC, Sekiro, Elden Ring e l'Armored Core che siede nel mezzo, mentre altre software house hanno visto i tempi di sviluppo dilatarsi enormemente. Fra le altre cose, lo studio è uno fra i pochissimi che sono stati in grado di trasformare l'operazione di riciclo in una sorta di culto, per esempio portando gli appassionati a chiedersi di volta in volta dove avrebbero trovato la nuova versione della Moonlight Greatsword, dal momento che la leggendaria spada ha fatto la sua comparsa in King's Field, in diversi soulsborne e persino in opere come 3D Dot Game Heroes o Metal Wolf Chaos, passando attraverso l'intera storia della compagnia.

L'intera Città Infame di Dark Souls è apparentemente costruita attraverso una manciata di asset
L'intera Città Infame di Dark Souls è apparentemente costruita attraverso una manciata di asset

Non è mai stato un segreto che l'agilità dei processi della casa sia legata alla capacità di riutilizzare modelli, rigs e soprattutto animazioni, ma di recente è stata apparentemente fatta una scoperta piuttosto interessante: lo sviluppatore Grimrukh - al lavoro sulla mod Nightfall per Dark Souls - afferma che l'intera Città Infame del primo capitolo è stata costruita utilizzando dieci pezzi di legno in totale, intrecciati e assemblati in maniere differenti per erigere l'immensa struttura verticale che conduce dalle Profondità del Borgo dei Non Morti fino alla celebre palude velenosa. È evidente che questo genere di approccio risieda nelle fondamenta stesse del medium videoludico - del resto la maggior parte dei livelli embrionali non erano altro che riarrangiamenti degli asset - ma fa riflettere che una fra le ambientazioni più riconoscibili degli ultimi quindici anni sia stata assemblata partendo da una manciata di materiali.

In un'era nella quale l'incontro con la texture di un pavimento ripetuta nell'arco di pochi passi riesce talvolta a far notizia è ragguardevole che opere come Bloodborne siano riuscite a brillare nei dettagli riutilizzando con sensibilità prop, intarsi e altri elementi prettamente scenografici. Probabilmente l'apice di questo percorso è stato toccato da Dark Souls 3, che ha scelto di stringere un legame con i precedenti episodi della serie proprio per mezzo della riproposizione di mappe e di modelli - come una certa cattedrale o il Picco Terrestre del secondo capitolo - che proprio ripresentandosi tali e quali hanno finito per arricchire il sottotesto narrativo.

I dieci pezzi di legno che compongono la Città Infame
I dieci pezzi di legno che compongono la Città Infame

Nel corso degli anni FromSoftware si è spinta molto oltre la dimensione estetica, recuperando periodicamente le animazioni delle tecniche legate alle armi, trasformando meccaniche come lo scarto tipico del Cacciatore di Bloodborne in abilità comparse in Dark Souls ed Elden Ring, ma anche integrando quelle che all'epoca furono percepite come piccole chicche, per esempio il set di mosse del Cavaliere Artorias reintegrato nei confini di Dark Souls 2 o l'intero stile di combattimento del boss finale nel terzo capitolo della saga.

E alla fine arriva il Kanto

Lanciati originariamente nel 1999, Pokémon Oro e Argento sono tutt'ora in grado di lasciar stupefatti in ragione della grezza quantità di contenuti che riuscirono ad accogliere all'interno della cartuccia per Game Boy Color, una mole del tutto aliena agli standard dell'epoca. Se, oggi, Game Freak è diventata una nota esponente dell'operazione di riciclo intesa come comportamento malizioso, allora fu in grado di pubblicare uno dei titoli più impressionanti mai realizzati valorizzando al massimo tutti gli asset che già si trovava dentro casa.

L'intera composizione del mondo aperto rappresentato in Pokémon Oro e Argento
L'intera composizione del mondo aperto rappresentato in Pokémon Oro e Argento

Ciò che più d'ogni altra cosa contribuì a generare il cratere lasciato da Pokémon Oro e Argento fu la geniale intuizione di includere accanto a Johto l'intera regione di Kanto, ovvero l'ambientazione protagonista degli episodi precedenti, effettuando giusto qualche operazione di taglia e cuci per non pesare eccessivamente sulla memoria. Se da una parte gli sviluppatori avevano già ricondizionato dozzine di asset d'ogni genere, dalle animazioni di alcune mosse, passando per gli effetti sonori, per arrivare a numerosi elementi della scenografia, il momento del ritorno nelle mappe già vissute definì l'intera generazione, consegnando nelle mani degli appassionati un'esperienza unica nell'orbita di una portatile.

Il ritorno all'Isola Cannella in HeartGold e SoulSilver, tre anni dopo l'eruzione
Il ritorno all'Isola Cannella in HeartGold e SoulSilver, tre anni dopo l'eruzione

Dietro quella semplice operazione si nascondeva l'enorme potenziale creativo che lo sfruttamento assennato degli asset riutilizzati è in grado di esprimere: prendendo la decisione di ambientare l'avventura di Oro e Argento tre anni nel futuro rispetto a Blu e Rosso - oltre ad alleggerire i processi e arricchire i contenuti - prese forma un ulteriore strato di profondità che spinse i giocatori a esplorare ogni angolo dell'universo virtuale che avevano amato per scoprire ciò che era accaduto durante la loro assenza, come per esempio l'eruzione del vulcano dell'isola Cannella, proseguendo lungo il percorso che li avrebbe infine portati al cospetto dell'allenatore Rosso.

La tematica del ritorno a casa nei videogiochi

Quello del Kanto in Pokémon Oro e Argento rappresenta indubbiamente uno degli esempi più celebri del tema ricorrente del "ritorno a casa" nei confini dei sequel, uno degli espedienti più efficaci del game design per donare nuova linfa vitale agli asset riutilizzati o a idee appartenenti al passato. In tempi non sospetti videogiochi come Super Metroid sono riusciti a cementare il successo delle rispettive saghe proprio attraverso momenti come il ritorno sul pianeta Zebes che inaugurava l'avventura: al giocatore era offerta una prospettiva inedita e fortemente nostalgica su mondi che avevano già imparato ad amare.

Ritorno a Shadow Moses
Ritorno a Shadow Moses

Nel corso degli anni questo espediente è esploso in alcuni degli istanti più memorabili del medium, come per esempio il geniale ritorno sulla USG Ishimura nella serie Dead Space, la visita a Shadow Moses dalle parti di Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots, oppure il piccolo viaggio al Saint Mark's Bistrò di Liberty City che spezzava il ritmo serrato di Grand Theft Auto: San Andreas. Ci sono poi opere che hanno spinto parecchio sull'acceleratore in questa direzione, basti pensare alla comparsa di Rapture nei contenuti scaricabili di Bioshock: Infinite, all'intera serie di Silent Hill e alla costante evoluzione cittadina del Maine, o ancora a Portal 2 e al modo in cui ha sfruttato e rielaborato le camere presenti nel primo episodio.

Ritorno a Rapture
Ritorno a Rapture

Ci sarebbero tantissimi altri esempi da menzionare, a partire da Legacy of Kain, passando per Red Dead Redemption, per arrivare anche allo splendido Chrono Cross, ma sta di fatto che questo tipo di approccio rappresenta probabilmente il metodo più efficace per donare nuova vita alle idee e agli asset del passato, impattando notevolmente sulla percezione dell'esperienza ludica e stuzzicando al tempo stesso le corde della nostalgia: è evidente che la connotazione negativa del riciclo di asset non abbia neppure attraversato l'anticamera del cervello di coloro che ebbero occasione di vivere tali momenti.

Castelli invertiti e quartieri di Tokyo

Una delle ragioni per cui Castlevania: Symphony of the Night ha parzialmente codificato la deriva dei moderni metroidvania risiede nella presenza della missione nascosta che culminava con la scoperta del Reverse Caste, il celebre Castello Invertito. Gli sviluppatori ebbero la trovata di rovesciare verticalmente la mappa del castello per poi, cambiando giusto la palette cromatica, i nemici e i boss, integrare di fatto una seconda metà dell'avventura utilizzando quasi esclusivamente gli asset già a disposizione. Già allora questa decisione non fu esente da lamentele e anzi, ancora oggi la critica e il pubblico si pongono domande riguardo l'effettiva buona riuscita di quell'operazione.

Castello e Castello invertito, per alcuni croce e per altri delizia di Symphony of the Night
Castello e Castello invertito, per alcuni croce e per altri delizia di Symphony of the Night

D'altra parte, il fatto che ciò sia accaduto nei confini di un singolo processo di sviluppo è un'ulteriore testimonianza dell'enorme potenziale che si nasconde dietro gli asset riutilizzati: a volte è sufficiente osservare da una diversa prospettiva gli ingredienti che si hanno a disposizione per inventare una nuova ricetta, anche all'interno dello stesso menù. La squadra di Koji Igarashi rovesciò il Castello di Dracula, FromSoftware si prepara a lanciare un roguelite cooperativo a partire dallo scheletro di un gioco di ruolo d'azione, ma esistono anche autori che osservando una singola scenografia, come fosse il palcoscenico di un teatro, sono riusciti a dare i natali a saghe leggendarie.

Kamurocho portò alla nascita del virtual tourism
Kamurocho portò alla nascita del virtual tourism

A partire dal 2005 Kamurochō, il distretto ispirato a Kabukichō nella Shibuya di Tokyo, è apparso per ben diciotto volte come protagonista di capitoli principali ed episodi spin off della serie Like a Dragon del Ryu Ga Gotoku Studio. Universalmente considerata una delle migliori ambientazioni mai realizzate per un videogioco in ragione dei profondissimi strati di caratterizzazione che ha raggiunto nel corso dei decenni, è stata costantemente limata e aggiornata finendo per espandersi oltremisura, fra l'altro trasformandosi nel primo storico esempio di "virtual tourism", ovvero il turismo nel mondo reale ispirato dalla controparte virtuale. Il legame stretto dagli appassionati della serie con lo scenario della serie Yakuza fu tale e tanto da spingere tantissime persone a visitare in prima persona Kabukichō, portandole a realizzare di non avere assolutamente bisogno di una cartina per orientarsi nelle strade del Giappone.

Il riciclo di asset salverà il mondo dei videogiochi?

Il 2025 si è aperto con la notizia che il tasso di crescita dei costi di sviluppo dei videogiochi supererà quello relativo ai ricavi, di fatto causando una contrazione nei meccanismi fondamentali del settore. I cambiamenti che hanno investito l'industria sono ormai sotto gli occhi di tutti: i tempi di sviluppo medi delle produzioni AAA hanno ormai toccato lunghezze astronomiche, portando di riflesso un ulteriore incremento dei budget necessari, che già di per sé erano destinati a crescere in ragione dell'inseguimento delle nuove tecnologie. In un panorama di questo genere, con lo spettro delle intelligenze artificiali all'orizzonte e gruppi di manager costantemente impegnati a cercare di capire dove si possa tagliare, il riciclo assennato degli asset sta emergendo ancora una volta come il miglior alleato delle case produttrici di videogiochi.

Il ritorno del Re Senza Nome in Nightreign: asset riciclati!
Il ritorno del Re Senza Nome in Nightreign: asset riciclati!

Elden Ring Nightreign ha infiammato ancora una volta la conversazione attorno agli asset riutilizzati, ma osservando il portfolio di FromSoftware non si può fare a meno di notare alcuni dati interessanti: Sekiro nel 2019 e Elden Ring nel 2022, pubblicati a distanza di soli tre anni, hanno entrambi intascato il premio per il Game of the Year ai The Game Awards. Nel frattempo la casa non è rimasta con le mani in mano, confrontandosi con Armored Core 6: Fires of Rubicon, con l'espansione Shadow of the Erdtree e presto con il nuovo titolo autosufficiente. Non c'è dubbio che il mantenimento di ritmi tanto elevati sia parzialmente legato al particolare rapporto con gli asset, ma a far riflettere è l'enorme differenza che passa tra una simile cadenza di pubblicazione e quella dei maggiori studi occidentali, per i quali si tratta di tempistiche fantascientifiche.

Il Rathalos è sempre il Rathalos, e probabilmente lo sarà per sempre
Il Rathalos è sempre il Rathalos, e probabilmente lo sarà per sempre

Al di là della questione puramente industriale, la storia dei videogiochi ha alzato il sipario su dozzine di esempi del potenziale celato dietro l'atto di riciclare apertamente asset di sviluppo, sia nelle occasioni in cui ciò viene fatto in maniera sensibile e consapevole, sia nelle centinaia di esempi silenziosi di opere che riprendono interi sistemi dai predecessori, dai titoli Bethesda a quelli Arkane, da Gran Turismo a Resident Evil. Se presentato in maniera maldestra tale riutilizzo rischia di passare come incuria, ma in più di una circostanza ha finito per trasformarsi nel seme del successo alla base di interi mondi. Non è un caso se proprio in questi giorni le classifiche di tutto il mondo sono dominate da Monster Hunter Wilds, l'ultimo arrivato sulle sponde di una casa che ha fatto della costante limatura degli asset del passato il suo maggiore punto di forza, un Rathalos dopo l'altro, utilizzando per decenni le animazioni che debuttarono nel 2004 sulle sponde di PlayStation 2.