Il 2024 è giunto al termine e, come ogni anno, è finalmente possibile gettare uno sguardo d'insieme sull'annata videoludica analizzando le selezioni redatte dagli aggregatori e dalle piattaforme, che si tratti di Metacritic, di OpenCritic, di altri attori o più semplicemente delle valutazioni assegnate dagli utenti di Steam. In questo caso specifico, tuttavia, si è verificato un avvenimento piuttosto raro, ovvero l'emersione al fotofinish di un contendente che - per il momento - sembra aver ammutolito la concorrenza sul fronte dell'accoglienza da parte della critica: nonostante la presenza evanescente nella discussione internazionale, Caves of Qud di Freehold Games occupa la vetta di tutte le classifiche e può vantare un tasso di gradimento del pubblico che non conosce paragoni.
Anche nella nostra recensione è stato promosso a pieni voti, scatenando ancora una volta il sempreverde dibattito riguardo l'importanza della grafica fotorealistica per l'evoluzione del medium, nonché dando adito ai classici dubbi che avvolgono qualsiasi titolo indipendente che arriva a portare a casa valutazioni tanto elevate. Il videogioco di Brian Bucklew e Jason Grinblat, rimasto in sviluppo per più di quindici anni, rappresenta la classica favola che fa tanto piacere poter raccontare all'utenza oppure è davvero il più grande roguelike e uno dei più profondi RPG mai realizzati? Caves of Qud è davvero il miglior videogioco del 2024? La verità è che oltre queste domande perentorie si nascondono alcune discussioni che sono centrali per analizzare lo stato dell'industria contemporanea.
Che cos'è, davvero, Caves of Qud
Negli stringenti confini di una recensione, specialmente quando il titolo in esame è complesso quanto l'opera di Freehold Games, è complicato offrire un quadro che riesca a scansare ogni genere di equivoco: Caves of Qud è prima di ogni altra cosa - ancor prima che un roguelike - un classico gioco di ruolo legato a un sistema di combattimento a turni, per certi versi accostabile a esperienze come gli originali Fallout sotto la gestione Bryan Fargo o il capitolo New Vegas firmato Obsidian Entertainment, le varie iterazioni di Ultima prodotte da Origin Systems, progetti come il The Elder Scrolls II: Daggerfall di Bethesda Softworks, nonché diversi altri classici riconducibili alla corrente dei CRPG (Computer Role-Playing Game). E merita una riflessione il fatto che, come già era capitato a Baldur's Gate 3 o al Disco Elysium di ZA/UM, questo genere di interpretazione abbia finito per prevalere sulla moderna visione dell'action RPG.
Caves of Qud non è la semplice intersezione di sistemi di gioco capaci di generare interazioni in stile sandbox che viene dipinta, ma un'opera dotata di una grande trama principale ambientata in un mondo costruito artigianalmente, di missioni secondarie scritte con cura, di personaggi caratterizzati in maniera dettagliata, di dungeon realizzati a mano, della possibilità di crearsi un party di personaggi e di tutti gli altri elementi che ci si aspetterebbe di trovare in qualsiasi campagna di un gioco di ruolo classico. Certo, a far parlare di sé nelle ultime settimane sono state le meccaniche imprevedibili e il grado di libertà alieno a qualsiasi altro genere d'esperienza in circolazione, ma i maggiori punti di forza del lavoro di Freehold Games sono proprio quelli di cui attualmente si sente la mancanza in esperienze del genere, quelle assordanti assenze che hanno fatto risultare sottotono produzioni come Dragon Age: The Veilguard.
La scrittura sci-fi, quella fatta bene
Uno degli elementi più convincenti di Caves of Qud risiede nell'eccelso grado di qualità di una scrittura di fantascienza che prende le distanze dai movimenti contemporanei per riesumare, invece, le radici piantate da Arthur C. Clarke con il suo 2001: Odissea nello Spazio, in particolar modo quelle gettate dai Dune World e The Prophet of Dune di Frank Herbert da cui trae tantissima ispirazione, dai concetti raccontati in romanzi come La fine dell'eternità di Isaac Asimov, condendo il tutto con un pizzico dell'evoluzione speculativa alla base del più recente All Tomorrows di Kosemen, mettendo in scena un racconto che sfrutta la fantasia per affrontare questioni prevalentemente umane, raccontando al tempo stesso un mondo sorretto da decine di migliaia di anni di storia fittizia.
Qud è un pianeta in tutto e per tutto simile alla Terra, non fosse per il fatto che è passato attraverso numerose apocalissi che hanno calato il sipario su numerose società fra cui spiccano gli Eaters, civiltà umanoide che secondo la scala di Kardašëv s'imporrebbe come galattica e che sembrerebbe essersi volatilizzata nel nulla, lasciandosi alle spalle solamente reliquie, strutture e incomprensibili e artefatti appartenenti a un passato dimenticato. Non è ben chiaro cosa sia accaduto sulla superficie: tutte le creature che la abitano sono ormai senzienti - dagli animali alle piante, dai robot agli esseri altamente entropici che sembrano sbucati da dimensioni parallele - mentre la maggior parte dell'acqua è ormai salata, il che rende ogni goccia rimasta pura un bene talmente raro e prezioso da diventare l'unica moneta universale.
Sono nati nuovi culti, nuove forme di società: ci sono i religiosi Mechanimists che venerano le sei misteriose figure degli Argent Fathers e ci sono persino frange ortodosse degli stessi come il Cult of the Coiled Lamb che segue nello specifico i dettami di Resheph, ci sono i Seekers of the Sightless Way che inseguono l'elevazione della psiche sotto l'ala protettrice della divinità cosmica Ptoh, ci sono i Barathrumiti che risiedono nei sotterranei Grit Gate e tentano da tempo immemore di ricostruire il passato di Qud, ma accanto a loro esistono dozzine di altre fazioni - di base 67 - che perseguono ciascuna i propri obiettivi, intessendo l'una con l'altra relazioni positive o negative a seconda dei principali accadimenti che hanno segnato gli annali del pianeta.
Viene da sé che un universo tanto alieno richiede un linguaggio per lo più inedito, dunque gli autori hanno coniato neologismi, locuzioni e formule espressive che si integrano con assoluta naturalezza nel mondo di riferimento, vicine per impatto a termini come "Jedi", a frasi come "Che la Forza sia con te", oppure ancora alla Litania contro la paura. "Your thirst is mine, my water is yours" è la formula con cui si avvia il rituale dell'acqua con cui si condivide la preziosa bevanda con un'altra entità, creando un vincolo sacro al punto che l'eventuale tradimento condanna il protagonista all'esilio da tutte le comunità. L'antico artefatto che nega gli effetti di alterazione della realtà si chiama "Onthological Anchor", la "Cathedra" è l'impianto cibernetico più complesso indossato dai transumanisti True Kin, i "Pariah" sono i membri delle comunità che sono stati allontanati dalla loro specie. Una simile cura per l'apparato della scrittura è sempre più rara da incontrare nell'industria del nuovo millennio, specialmente nell'ambito dei videogiochi AAA. Come mai?
La guerra silenziosa fra grafica, creatività e immersione
Nella cornice di questo mondo si muove un protagonista, un personaggio che può appartenere alle nuove specie Mutanti oppure ai True Kin diretti discendenti degli Eaters, un viandante che incappa nel piccolo villaggio agricolo di Joppa e sceglie di imbarcarsi in un lunghissimo viaggio per svelare il mistero della Spindle, torre che siede al centro di Qud e si estende nei cieli fino a raggiungere lo spazio profondo. Si tratta di un'avventura fatta e finita, dotata di un incipit comune e di una decina di finali differenti, fra cui non mancano varianti segrete e grandi epiloghi di natura universale come quello che ha reso celebre Outer Wilds. Ma è proprio durante l'esplorazione del pianeta che ci si trova a riflettere su un tema centrale per l'industria dei videogiochi contemporanea: quanto sta costando ai creativi l'inseguimento della grafica fotorealistica?
Osservando una qualsiasi schermata di Caves of Qud è facile che il pubblico contemporaneo arrivi a distogliere lo sguardo disgustato, eppure al tempo stesso sta diventando sempre più raro imbattersi in ambientazioni e universi caratterizzati con la stessa cura di quello confezionato da Freehold Games. Anzi, spesso si lamenta una forte crisi delle idee proprio dalle parti di sviluppatori in tal senso storici come BioWare, come Bethesda, come Square Enix e tantissimi altri attori che si trovano sospesi a metà strada fra la necessità di appagare l'occhio e quella di misurarsi con eccellenti residui della creatività del passato, ambientazioni come la Cittadella, la capitale imperiale Cyrodil, oppure Cosmo Canyon.
Sulla superficie di Qud s'incontra una città costruita in mezzo a un deserto di sale, e che ospita un culto tra le ossa di un enorme kraken delle sabbie. Si esplorano le terre devastate da cristalli extradimensionali, in mezzo ai quali svetta un albero della vita. Capita di visitare una gigantesca struttura funeraria in stile ziggurat che si estende per trentadue piani, di raggiungere una dimensione parallela abitata da ostriche psioniche che hanno trasceso l'evoluzione fisica, o ancora di perdersi nelle sale congelate di Bethesda Susa, un tempo il fiore all'occhiello della ricerca scientifica galattica. Nei confini di un videogioco realizzato con uno stile estetico moderno sarebbe pressoché impossibile riprodurre un mondo virtuale di una simile scala, per l'appunto planetaria, eppure l'opera di Freehold Games sembra destinata a rimanere confinata nella sua nicchia proprio in ragione della sua grafica respingente.
Caves of Qud potrebbe essere la riprova che l'immaginazione ha ormai totalmente ceduto il testimone alla rappresentazione, anche durante la fase creativa. Le sue ambientazioni sono caratterizzate in maniera ineccepibile, sorrette da millenni di storia, descritte nei minimi particolari, ma il medium videogioco ha da tempo virato verso l'appagamento della vista, spesso dimenticando quanto sia importante gettare solide fondamenta invisibili. Sarà un esempio forte, ma c'è stato un tempo in cui la Minas Tirith de Il Signore degli Anelli era solo una manciata d'inchiostro stampata su un foglio di carta e rielaborata dal potere della fantasia: forse, al giorno d'oggi, il medium sta vivendo un'impasse stretto dalla curva dell'evoluzione tecnologica che rende estremamente difficile inseguire grandi ambizioni, come per esempio quella di ambientare un gioco di ruolo sulla superficie di un pianeta intero.
Non si può, a tal proposito, non menzionare la sintesi fra gli elementi generati proceduralmente e quelli realizzati con approccio artigianale che segna l'interezza del progetto: per certi versi, Caves of Qud è riuscito là dove Starfield aveva mostrato i suoi principali punti deboli, riuscendo a incastrare perfettamente l'elemento della scoperta e i contenuti costruiti a mano in un mondo di gioco composto da oltre un milione di mappe liberamente esplorabili. Freehold Games ha integrato con successo villaggi unici, missioni uniche, equipaggiamenti unici e addirittura una "lore" unica che vengono generati all'inizio di ciascuna partita e potrebbero variare considerevolmente l'esperienza di più giocatori, realizzando quella che, probabilmente, è la migliore interpretazione dei sistemi procedurali incontrata fino a oggi.
Non è un caso se Bethesda Softworks è stata citata più volte nel corso di questa analisi, perché Caves of Qud ha molto in comune con l'ispirazione creativa della compagnia guidata da Todd Howard: sotto diversi punti di vista è un simbolo della grande disputa fra gli appassionati e i creatori di The Elder Scrolls e Fallout - spesso accusati di aver perso la bussola della loro storica formula e di aver semplificato la deriva RPG. Ormai sta capitando con frequenza sempre maggiore che piccoli e grandi studi indipendenti riescano a soppiantare le proprie controparti AAA, dunque è lecito interrogarsi sulla natura del problema. Le esigenze della grafica sopprimono la creatività? La volontà di raggiungere un pubblico più vasto possibile danneggia l'identità dei progetti?
Tutto il resto
Se Caves of Qud è riuscito a ritagliarsi un microscopico spazio nella discussione internazionale è prevalentemente in ragione delle sue meccaniche rivoluzionarie, perché si tratta di un'esperienza nella quale è consentito fare letteralmente qualsiasi cosa: è possibile donare la vita a una sedia e farla innamorare del protagonista, creare eserciti di cloni, far detonare bombe al neutrone in grado di obliterare la vita stessa, trasferire la propria coscienza permanentemente nel corpo di un NPC, assaltare città nemiche accompagnati da un esercito di gorilla edonisti, costringere il leader di una fazione avversaria a sterminare il suo stesso popolo, amputarsi arti, farne crescere di nuovi, lasciare il proprio guscio al sicuro dentro un villaggio e utilizzare i poteri psionici per abbattere un nemico dall'altra parte di Qud... e questa lista potrebbe tranquillamente proseguire per centinaia di righe.
Ma al di là di questi, che in fin dei conti sono semplici slogan, o dell'effettiva profondità dell'anima sandbox del progetto, la realtà è che Freehold Games ha impiegato più di quindici anni per sviluppare un videogioco che ricorda molto da vicino le grandi pietre miliari del passato, quelle opere realizzate in maniera artigianale, quasi come nell'approccio a un dettagliatissimo diorama, posizionando con cura centinaia di segreti, di informazioni e di elementi nella speranza che un utente li trovasse dopo essersi perso per ore sulla superficie di Qud. Un po' come se l'intero design si fosse ispirato all'easter egg celato da Warren Robinett nel suo Adventure, a quel tentativo di portare al contatto diretto fra autore e giocatore. E questa, in un'epoca in cui sono pochissimi gli attori che creano un videogioco solo perché vogliono creare quel videogioco, disinteressandosi completamente a qualsiasi genere di trend, è già di per sé una ragione sufficiente per ritenere Caves of Qud uno fra i migliori - se non il migliore - dei videogiochi del 2024.