In seguito a un periodo trascorso lontano dai riflettori, i videogiochi su licenza sono tornati al centro della discussione internazionale in ragione del fatto che oggi, in un mercato governato dalle incertezze e nel quale è sempre più difficile osare, l'atto di destinare la maggior parte delle risorse verso marchi consolidati consente di realizzare prodotti dal sicuro successo ancor prima del momento della pubblicazione. Ma se da una parte si incontrano progetti ad alto budget e altissima resa come Marvel's Spider-Man, Hogwarts Legacy o la serie Star Wars Jedi, in grado di caricarsi sulle spalle il peso di interi sviluppatori, dall'altra è capitato spesso di imbattersi in altrettante ondate di mediocrità.
Se il potere dei cosiddetti tie-in non è mai passato inosservato all'industria dei videogiochi, la grande età dell'oro del fenomeno si può circoscrivere al periodo a cavallo fra i tardi anni '90 e i primi dei 2000: è stato allora che hanno visto luce i primi titoli dedicati al mondo di Harry Potter, gli adattamenti della trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli, ma soprattutto una cascata di produzioni lampo pensate per trasformare le principali pellicole per ragazzi in piccoli videogiochi ancorati al porto sicuro del genere collect-a-thon. Di recente abbiamo parlato di Behaviour Interactive e del lavoro svolto attorno a Bugs Bunny, oggi è invece il turno di Traveller's Tales: nota per essere la casa dietro i videogiochi LEGO, che colorò quell'epoca con gioielli come A Bug's Life, ma soprattutto Toy Story 2: Buzz Lightyear to the Rescue, indimenticabile titolo classe 1999.
La storia del gioco di Buzz
Fondato nel 1989 da Andy Ingram e Jon Burton - che lasciò la compagnia solo nel 2019 - Traveller's Tales si impose rapidamente fra gli studi di sviluppo più talentuosi del Regno Unito arrivando a forgiare solidi legami con Psygnosis, allora considerata fra i massimi publisher in ragione dei traguardi raggiunti sul fronte di Amiga. Il caso volle che proprio in quegli anni ci fu un avvicinamento tra Psygnosis e Sony Computer Entertainment, società che era interessata ad acquisire l'interezza della casa attraverso un'operazione che portò a termine nel 1993.
Allora un accordo stretto con Disney Interactive Studios mise una buona dose di licenze del colosso cinematografico sotto lo stesso ombrello che ospitava Traveller's Tales: fu così che, a partire dal 1994, lo studio ebbe occasione di lavorare su Mickey Mania (Topolino e le sue avventure), ma soprattutto sullo storico primo capitolo di Toy Story, platform bidimensionale dedicato a Woody e compagnia che riuscì a piazzare milioni di copie in poche settimane. Stando alle parole di Jon Burton, fu proprio questo successo a convincere l'intera industria che fosse necessario pubblicare i videogiochi in concomitanza con il lancio dei rispettivi film.
Ebbe allora inizio l'idillio che avrebbe trovato il suo secondo frutto in A Bug's Life, adattamento della seconda fatica di Pixar che avrebbe visto luce una settimana prima rispetto alla pubblicazione nordamericana della pellicola nel novembre del 1998. Quell'ennesimo centro convinse Activision, che oltre all'avventura delle formiche era riuscita ad accaparrarsi la licenza Pixar del sequel di Toy Story, ad affidarla senza esitazioni nelle mani di una Traveller's Tales che si trovò impegnata nell'ennesima operazione lampo: con la prima del film fissata per novembre 1999, avrebbe avuto solamente un anno per portare a termine l'interezza dei lavori.
Il nucleo creativo dello studio era composto da sole quattordici persone - la maggior parte delle quali ancora in forze nella compagnia - con lo stesso fondatore Jon Burton nel ruolo di game designer e il supporto di una decina di elementi di Disney Interactive. Nel maggio del 1999 le versioni Nintendo 64 e PlayStation furono presentate sui palchi dell'E3 di Los Angeles e, nel pieno rispetto dei tempi, Toy Story 2: Buzz Lightyear to the Rescue fu pubblicato il successivo 12 novembre, pochi giorni prima della premiere del film.
Benvenuti nel mondo di Toy Story
La vicenda del videogioco prendeva il largo esattamente come nella controparte cinematografica: durante un mercatino istituito dalla madre di Andy, Woody finiva per essere rubato per mano di un collezionista senza scrupoli di nome Al McWhiggin, convincendo l'intera banda di giocattoli a mettere in piedi una strampalata missione di salvataggio. Stringendo il focus attorno al solo personaggio di Buzz, Traveller's Tales colse l'occasione per dare spolvero a numerose ambientazioni della pellicola, regalando agli appassionati quello che non solo rappresentava il primo tuffo tridimensionale nell'universo narrativo di Toy Story, ma quella che ancora oggi - contando anche il Kingdom Hearts 3 che siede di mezzo - è ricordata come la più celebre incarnazione del franchise firmato Pixar, certamente più famosa del terzo episodio.
Protagonista assoluto dell'esperienza era proprio Buzz Lightyear, dotato della capacità di spiccare doppi salti sfruttando le ali meccaniche, di sparare con il suo raggio laser disponibile anche in visuale in prima persona e in una variante caricata, di cimentarsi in piroette con cui abbattere gli avversari, nonché di lanciarsi in picchiata per attivare gli interruttori del caso. Insomma, erano una manciata di semplicissime meccaniche a sorreggere l'intera spina dorsale del gameplay, che nel pieno rispetto della tradizione del genere - germogliato sull'onda lunga di Super Mario 64 - richiedeva di partire alla ricerca dei cinque Gettoni del Pizza Planet nascosti nei vari livelli.
Livelli che, tra l'altro, rappresentavano il più concreto punto di forza del progetto: si trattava di dieci aree totali che si snodavano dalla casa di Andy ai giardini del vicinato, dai vicoli della città fino alla Fattoria per Giocattoli di Al, prima di concludersi in un paio di sezioni al cardiopalma in mezzo alle pericolose piste dell'aeroporto. La grande fortuna di Traveller's Tales risedeva proprio nella natura di Toy Story, che consentì agli artisti dello studio di giocare con le proporzioni per trasformare scenografie all'apparenza insignificanti, come una villetta monofamiliare o un palazzo in costruzione, in piccole architetture a piattaforme ricamate attorno a oggetti di uso comune. Anche se ciascun livello poteva contare sulla presenza di piccoli boss dedicati, ogni due aree superate era necessario confrontarsi con nemici di calibro decisamente più alto, come per esempio L'imperatore Zurg o Stinky Pete e i suoi scagnozzi.
Furono le atmosfere della saga a svolgere il resto del lavoro: capitava di dover recuperare le pecorelle smarrite da Bo Beep, di gareggiare con la Macchina RC di Andy, oppure di dover trovare tutti i soldatini al servizio del Sergente; molto intelligente fu l'inserimento di Mr Potato, al quale era necessario riportare pezzi del suo volto in cambio di una serie di potenziamenti che consentivano di completare aree già concluse in precedenza. Ovviamente la formula di gioco si sarebbe presentata estremamente asciutta senza queste pennellate di colore: quasi tutte le pubblicazioni tie-in dell'epoca orbitavano attorno alla raccolta di oggetti collezionabili, ancorandosi spesso a sistemi di gestione della telecamera obsoleti prima di appoggiarsi a un grado di sfida quasi inesistente, perché a fare la differenza era il marchio che campeggiava sulle copertine.
Il destino di Toy Story e Traveller's Tales
Toy Story 2: Buzz Lightyear to the Rescue fu accolto in maniera tiepida dalla critica specializzata: le versioni Dreamcast e Nintendo 64 non arrivarono nemmeno ad agguantare la sufficienza, mentre la sola variante PlayStation riuscì a raccogliere una media di valutazioni del 75 grazie alla presenza di filmati FMV esclusivi e un comparto grafico nettamente superiore rispetto alla concorrenza. Quasi tutte le analisi furono concordi nel criticare la gestione della telecamera, il sistema dei controlli e soprattutto la scarsa difficoltà dell'esperienza, e questo è un destino condiviso dalla maggior parte delle produzioni su licenza che sceglievano di sposare la struttura a piattaforme: pur trattandosi di videogiochi indubbiamente spigolosi e pregni di difetti, riuscirono quasi sempre a catturare il pubblico e a trasformarsi in software di culto.
Figurando fra i titoli più venduti del 1999 nonostante la pubblicazione alla fine dell'anno, l'opera tracciò il futuro di Traveller's Tales come sviluppatore: oltre a guadagnarsi il diritto di confrontarsi con Crash Bandicoot ne L'ira di Cortex, negli anni successivi la casa lavorò su Alla Ricerca di Nemo, Le Cronache di Narnia e Transformers, prima di pubblicare nel 2005 quel Lego Star Wars: The Video Game che avrebbe cambiato per sempre la compagnia di Jon Burton. Per certi versi i moderni videogiochi LEGO editi da Warner Bros continuano a incarnare l'anima degli anni '90, proiettando nel futuro quella formula di gioco un tempo onnipresente e oggi pressoché svanita. La licenza di Toy Story, invece, finì nelle mani di Avalanche Software, nota per lo sviluppo del recente Hogwarts Legacy nonché fucina di fiducia di Disney che produsse un ottimo adattamento del terzo film. Le leggende, tuttavia, non muoiono mai: nonostante la bontà di quella produzione, per intere generazioni di appassionati il videogioco di Toy Story per eccellenza rimarrà sempre Buzz Lightyear to the Rescue.