Considerato quanto Dragon Quest abbia influenzato i giochi di ruolo giapponesi, è ironico che a ispirare Yuji Horii, il creatore della serie, siano stati due titoli occidentalissimi: Ultima e Wizardry. Horii, che all'epoca scriveva per una rivista di manga e che la neonata Enix aveva assunto con un concorso per progettare il suo primo videogioco, si era innamorato del leggendario titolo Sir-Tech e aveva deciso di far conoscere anche ai suoi compatrioti le meraviglie dei giochi di ruolo. Insieme a un collega che aveva vinto lo stesso concorso, Koichi Nakamura, Yuji Horii considerò la possibilità di semplificare la componente strategica e numerica per approcciare un pubblico molto più vasto e reclutò un noto fumettista, Akira Toriyama, per fare una maggior presa sui potenziali videogiocatori. Dragon Quest nacque così, come un'insospettabile costola dei GDR occidentali, e inventò letteralmente un genere che oggi è magari pure troppo inflazionato: il Japanese Role Playing Game o JRPG.
Il franchise Enix - Square assorbì la società tanti anni dopo e per molto tempo fu una vera guerra di popolarità tra esso e Final Fantasy - è molto semplicemente il paradigma del genere: tutto quello che è venuto dopo, da Final Fantasy a Tales of, passando per Phantasy Star o Shin Megami Tensei, deve la sua esistenza all'intuizione di Yuji Horii. E vabbè, a Wizardry. Oggi Dragon Quest compie 35 anni: è uno dei brand più antichi sul mercato, e nonostante ciò conta un numero tutto sommato discreto di titoli principali e spin-off. Per questo ogni volta che esce un nuovo Dragon Quest in Giappone è una festa, e anche in Occidente da quando Square Enix ha finalmente sdoganato la serie, consegnandole un palcoscenico tutto suo con l'uscita di Dragon Quest XI che, dalle nostre parti, ha pure ricevuto un trattamento di favore grazie a una versione ad hoc, Dragon Quest XI S: Echi di un'era perduta - Edizione definitiva.
Quali sono i tratti distintivi che rendono Dragon Quest la serie più riconoscibile di tutte in un mercato in cui vere e proprie saghe cambiano aspetto da un'uscita all'altra? Che cosa lo rende così speciale, così prezioso per il genere? Cerchiamo di capire insieme i suoi aspetti più unici e significativi.
Il character design
La prima cosa che salta all'occhio se si ha anche soltanto una minima infarinatura con Dragon Quest e il genere che rappresenta... è il fatto che è rimasto bene o male fedele a se stesso. Basta una rapida occhiata a un'illustrazione qualsiasi per distinguerlo da ogni altro JRPG mainstream, se non altro perché somiglia profondamente a Dragon Ball. Possiamo dire, in un certo senso, che questo è anche il suo punto debole: chi nutre un odio viscerale per il fumettista che ha creato Goku, Arale e compagnia, difficilmente riuscirà a reggere un Dragon Quest.
Il tratto di Akira Toriyama è singolare, ma l'autore giapponese non è famoso per la sua fantasia quando si tratta di volti, chiome o corporature, e in effetti i personaggi di Dragon Quest somigliano non poco a quelli di Dragon Ball: chi non ha pensato a Trunks quando ha visto il Lucente sulla copertina di Dragon Quest XI? Nonostante ciò, il suo contributo artistico è stato determinante al successo di Dragon Quest, perché in fondo... stiamo parlando di Akira Toriyama e Dragon Ball ha tanti, tantissimi fan.
Non è tuttavia solo questo aspetto a essere peculiare. Se è vero che i personaggi somigliano agli eroi di Dragon Ball - nel bene e nel male - lo stesso si può dire per i mostri e le creature che popolano i mondi dei vari Dragon Quest. Alcuni, come le Slime, sono davvero iconici, ma lo strampalato character design di Toriyama contribuisce a rendere ogni nemico talmente buffo e spiritoso che è impossibile odiarli davvero.
I mostri sono diventati una parte integrante della serie e in un certo senso ne sono diventati i rappresentanti, dato che i protagonisti cambiano di episodio in episodio, mentre Slime, Kougar, Guglielmo Tell e così via sono veri e propri punti fermi. Lo stile ironico, buffonesco e pacioccoso di Toriyama caratterizza i Dragon Quest meglio di qualunque altro gioco, suscitando spesso sonore risate e alleggerendo le atmosfere anche nei momenti più cupi e drammatici delle avventure.
Le storie a vignette
Spesso i JRPG tendono a seguire canovacci collaudati per il pubblico cui sono indirizzati, solitamente rappresentato dagli appassionati di manga e anime. Col tempo la narrazione nei JRPG è diventata più sofisticata insieme alle opportunità offerte dalla tecnologia: abbiamo visto Final Fantasy diventare sempre più cinematografico e abbracciare tematiche più difficili, mentre titoli come gli Xeno di Tetsuya Takahashi affrontano questioni esistenziali tirando in ballo la religione e la filosofia. In un certo senso possiamo dire che il pubblico è cresciuto insieme ai JRPG, che nella maggior parte dei casi ambiscono a toni epici e catastrofici per coinvolgere al massimo i giocatori. Ecco, Dragon Quest lo ha sempre fatto, fin dal primo gioco, ma Yuji Horii ha preferito un approccio più sobrio e meno apocalittico anche quando la tecnologia l'ha permesso e la concorrenza ci si è tuffata a capofitto.
La serie Enix ha messo la narrativa in secondo piano a lungo, concentrandosi maggiormente sul gameplay e prediligendo nella maggior parte dei casi un approccio a vignette. Nella stragrande maggioranza dei Dragon Quest, infatti, il giocatore segue le peregrinazioni del protagonista (silenzioso) che nella sua ricerca passa da un villaggio all'altro, risolvendo i problemi degli abitanti. In ogni villaggio o città c'è una microstoria da completare, che poi aggiunge un tassello al puzzle del canovaccio centrale, ma che mantiene comunque una sorta di autonomia narrativa. Questo ha permesso la scrittura di storielle che caratterizzano meglio il mondo e i suoi abitanti, grazie anche alla ricercata varietà di ambienti, scenari e circostanze, che spesso si rifanno a miti e leggende di tutto il mondo. Il tono che ogni gioco mantiene è sempre quello di una fiaba, grazie al character design di cui abbiamo appena parlato e giocare Dragon Quest significa sapere fin dall'inizio che il bene, alla fine, trionferà sul male: l'esito è scontato, ma il viaggio è quello che conta.
Il gameplay iconico
Dragon Quest è un JRPG a turni vecchia scuola, ma che più vecchia scuola non si può, visto che quella scuola l'ha fondata. Persino il sistema di combattimento di Final Fantasy si rifà a quello di Dragon Quest, anche se poi Hiroyuki Ito l'ha alterato implementando il sistema Active Time Battle.
Mentre tantissimi franchise si sono ispirati al titolo Enix prendendo poi derive tutte loro - basti pensare alla componente action in Tales of o Star Ocean - che hanno poi evoluto e cambiato e arricchito nel corso degli anni, Dragon Quest è rimasto bene o male quello che era nel 1986, a livello che persino l'interfaccia non è cambiata per tantissimi anni, restando quel mix di finestrelle e cornici che richiama ancora oggi l'epoca NES. Negli ultimi anni anche la serie (Square) Enix ha fatto qualche passetto avanti, per esempio abbandonando la visuale in prima persona durante gli scontri per abbracciare l'inquadratura in terza persona di tutto il gruppo, ma il cuore del sistema di combattimento è immutato. Questo significa che le battaglie si svolgono sempre alla stessa maniera, coi personaggi che aspettano pazientemente il loro turno - scandito dai rispettivi valori di Velocità - e il giocatore che dà gli ordini scegliendo incantesimi e azioni dai menù.
Talvolta lo sviluppatore ha inserito qualche meccanismo particolare, come i Poteri pimpanti in Dragon Quest XI, ma alla fine il sistema di combattimento è caratterizzato da una semplicità disarmante in termini smaccatamente parametrici. Al contempo, i Dragon Quest sono raramente giochi facili e sebbene diano questa impressione iniziale, soprattutto nelle fasi avanzate si affrontano battaglie molto più impegnative, in cui bisogna ricorrere ad una strategia ben precisa per vincere.
Mal che vada, si può sempre tornare in città, completare qualche incarico secondario e migliorare l'equipaggiamento prima di riprovare: Dragon Quest ha sostanzialmente fatto suo uno schema che i GDR occidentali avevano abbozzato e l'ha un po' esasperato. Il senso di questo approccio, però, è ovvio. I fan sanno esattamente a cosa vanno incontro quando acquistano un Dragon Quest, e se si considera che tra i vari capitoli passano spesso diversi anni, è un po' come tornare a casa dopo una lunga vacanza: esattamente quello che voleva Horii. Dragon quest è, insomma, una vera e propria comfort zone.
Il Puff-Puff!
Insomma, il ritratto che possiamo fare di Dragon Quest è più o meno questo: è un JRPG adattissimo ai neofiti poiché accessibile e non particolarmente complicato, ma comunque impegnativo sulla lunga corsa, con un character design fortemente iconico che tende a comicizzare ogni personaggio, mostro o scenario. Considerando quanto la serie tenda ad esaltare l'idea di divertimento, specialmente con le sue bizzarre microstorie che convergono poi in finali altamente epici e coinvolgenti, è difficile trovare un equivalente nel panorama dei JRPG che abbia osato restare così tanto fedele a se stesso, cambiando pochissimo nel corso di ben trentacinque anni.
Una delle cose che non sono cambiate è l'esilarante Puff-Puff: una gag ricorrente che risale al primissimo gioco e che è stata presumibilmente suggerita da Akira Toriyama. Essa si rifà infatti a una famosissima scena di Dragon Ball in cui il mutaforma Oolong, trasformato in Bulma, offre un Puff-Puff al Maestro Muten: in pratica, gli lascia mettere la faccia in mezzo ai seni.
In ogni Dragon Quest c'è un momento in cui una procace signorina, spesso vestita da coniglietta sexy esattamente come Bulma in quella scena, offre al protagonista un bel Puff-Puff. In realtà, questa gag si conclude sempre in qualche modo buffo che non rispecchia per nulla l'allusione sessuale iniziale: in Dragon Quest XI, per esempio, il Lucente chiude gli occhi solo per essere scaraventato a fare bungee jumping giù da una rupe, mentre in Dragon Quest VIII il protagonista viene bendato ma ad accarezzargli la faccia non sono due bei seni, ma due Slime.
Sebbene si tratti di un buffo siparietto che allude soltanto a una pratica sessuale, per molti anni i Puff-Puff sono stati censurati nelle versioni occidentali di Dragon Quest. Oggi viviamo in tempi più smaliziati e libertini, potremmo dire, e possiamo goderci queste scenette a pieno schermo... senza contare che, col tempo, il Puff-Puff è diventato persino un'abilità da combattimento: Jade di Dragon Quest XI può usarla per ammaliare i nemici, con risultati a dir poco comici.