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I generi dei videogiochi: ha ancora senso parlarne?

Secondo voi è ancora possibile suddividere i videogiochi in generi? Ha ancora senso racchiudere i giochi moderni in categorie ben precise?

VIDEO di Francesco Serino   —   30/06/2019

Ve ne sarete accorti anche voi: tutti i giochi, da qualche tempo a questa parte, sono anche un po' giochi di ruolo. Statistiche, abilità speciali, attributi, sono oramai presenti in quasi tutti i videogame, persino dove non te li aspetteresti mai. Del resto, il senso di progressione che è capace di trasmettere un classico GDR è, come abbiamo visto, il migliore possibile, e per questo stesso motivo non deve sorprendere che altri generi decidano di appropriarsi di meccaniche così efficaci. Ma questo è soltanto uno dei sintomi di un processo iniziato già da qualche anno, e che vede i tipici generi dei videogame fondersi tra loro per creare nuove esperienze di gioco.

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In fondo, i generi sono come le note su un pentagramma. Fino a qualche anno andava più che bene costruire un'esperienza interattiva attorno a un unico genere, ma proseguendo nell'evoluzione non è più stato sufficiente, ed è esattamente lo stesso percorso intrapreso dalla musica che, dai ritmi semplici quanto ipnotici degli uomini primitivi, è cresciuta fino ad arrivare a concetti come il Wall of Sound del leggendario produttore Phil Spector. Oggi persino i giochi di guida si guardano attorno e, mettendo in disparte le classiche gare in cui tagliare il traguardo per primi, propongono nuovi concept basati sulla stessa immutabile passione per i motori. Titoli come My Summer Car e Jalopy non sono racing game, almeno non solo, ma costruiscono attorno al loro genere di appartenenza nuove esperienze mutuate direttamente da giochi totalmente diversi, come per esempio le avventure grafiche, i puzzle game e... i simulatori di vita?

I generi orami stanno stretti alla stragrande maggioranza dei giochi, e quelli posticci, artificiali, inventati non dal pubblico in modo naturale ma dai reparti marketing, appaiono oggi sempre meno credibili. Di quali parliamo? Per esempio dei Tactical Espionage Action di Konami e Kojima, poi ribattezzati giustamente "stealth game", o il genere F.R.E.E. (Full Reactive Eyes Entertainment) a cui credeva di far parte Shenmue di Sega. Negli ultimi tempi vi abbiamo sentito parlare spesso anche di Immersive Sim, come se questa definizione avesse un senso quando in realtà, e basta andarsi a prendere i libri di storia, non ce l'ha. Gli Immersive Sim nascono anche loro da un reparto marketing, quello Looking Glass, a cui serviva una definizione per distanziare Ultima Underworld da tutti i giochi in prima persona sviluppati fino a quel momento. Ultima Underworld fu infatti il primo gioco ad utilizzare questa rivoluzionaria visuale per costruire non il classico shooter, genere a cui dobbiamo la "S" dopo la "F" e la "P" di "First Person", ma qualcosa di più complesso come un vero e proprio gioco di ruolo. Gli Immersive Sim non sono un genere, ma un mix di generi che fu tipico di Looking Glass, e che solo poche altre software house sono riuscite a riportare in vita con quella cifra stilistica particolare (Bioshock e Prey, per esempio). La conferma ce la fornisce Thief, altro gioco Looking Glass che solo all'epoca della sua uscita veniva definitvo Immersive Sim, mentre oggi sappiamo essere a tutti gli effetti uno Stealth Game, anche se dei migliori (ci riferiamo naturalmente all'originale e non al più recente reboot).

Come vedete, tra generi che non bastano più a se stessi, generi che per guardare avanti sono costretti a fondersi tra loro, e generi che in realtà non sono mai esistiti, è quasi una fortuna esserci lasciati alle spalle queste vecchie e oramai poco funzionali categorie.