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Inclusività nei videogiochi: a che punto siamo?

In questo nuovo episodio di Non È Roba da Donne, Giordana affronta il tema dell'inclusività e della rappresentazione nel mondo videoludico al tempo del Me Too, parlando sia di personaggi che di attori del settore

SPECIALE di Giordana Moroni   —   08/03/2021

Festeggiare una ricorrenza come la Festa della donna un singolo giorno all'anno, parlandone in modo approfondito, facendo divulgazione, scrivendo articoli, post sui social e servizi al telegiornale per poi dimenticarsene sistematicamente il giorno dopo è forse l'antitesi di quello che dovremmo fare tutti i giorni. I problemi che ci sono oggi ci saranno anche domani e ci saranno non solo per le donne ma anche per tutti coloro che subiscono ingiustizie e discriminazioni. Per questo motivo l'appuntamento odierno di Non è roba da donne sarà dedicato principalmente a inclusività e rappresentazione, trattando il tema della condizione femminile nella seconda parte. Per iniziare è essenziale partire da un assunto che però non riguarda in modo specifico il mondo dei videogiochi, è più una premessa sulla situazione globale e sociale che chiaramente si riflette anche nel mondo dell'intrattenimento videoludico.

Premesse al discorso

Perché si parla ultimamente così tanto di discriminazione femminile, di comunità LGBTQ+ e di minoranze etniche? È opinione di chi scrive che la risposta vada ricercata nella natura stessa della discussione: quello che molti percepiscono come un bombardamento costante sul politicamente corretto è in realtà una riappropriazione degli spazi sociali di cui ognuno di noi ha il diritto, del fare parte di questo mondo esattamente così come siamo fatti. Solo di recente infatti queste fasce demografiche hanno avuto una voce, una presenza e un'importanza all'interno della nostra società: anche se percepiamo come molto distanti da noi le lotte per l'emancipazione femminile o quelle contro la segregazione razziale, paragonando il tempo trascorso tra questi eventi e oggi e rapportandolo all'intera storia della razza umana, è come se fossero dietro l'angolo. Il fatto che oggi a fronte dei discorsi sull'inclusività ci siano delle manifestazioni violente a livello non solo fisico ma anche verbale, di negazione dei diritti civili (che è inutile provare a mascherare goffamente dietro ad un'ideologia politica o un dogma religioso, non ci casca nessuno, ndr.) è sintomatico del fatto che molti tra di noi non hanno ancora accettato questa grande verità, ovvero che siamo tanti, che siamo tutti diversi e che non c'è niente di male ad essere sé stessi. Non c'è da stupirsi quindi se questo tipo di tensione si riflette anche all'interno del mondo dei videogiochi; se una ragazza, ad esempio, non può giocare on-line con il microfono aperto perché viene bombardata di commenti inopportuni o magari un content creator venga minacciato di morte pubblicamente mentre fa uno streaming su Twitch solo perché transgender o nonbinary. Ecco, queste cose non sono normali, non dovrebbero succedere eppure accadono.

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La risposta dell'industria

Chiaramente l'industria non può che reagire in modo totalmente opposto, dimenticandosi però che indulgere eccessivamente in un certo tipo di rappresentazione positiva spesso crea quasi il problema opposto. Parlando fuori dai denti: vogliamo più personaggi che non siano uomini, bianchi ed etero? Assolutamente sì. Devono questi personaggi, che siano donne, di un'etnia diversa o appartenenti alla comunità LGBTQ+, essere per forza eroici, integerrimi e portatori di pace? Non per forza. È corretto dare il giusto spazio e la giusta rappresentazione a livello di inclusività, sono tante le storie che possono essere raccontante da altrettanti personaggi, però è altresì utile utilizzare questo tipo di inclusività per abbattere gli stereotipi. Un esempio recente è quello della Mass Effect: Legendary Edition, dalla quale sono state eliminate alcune scene che indugiavano troppo sul lato b di Miranda Lawson perché, a detta degli sviluppatori, davano un'immagine eccessivamente oggettificata del corpo femminile. Chi ha giocato a Mass Effect sa però che quel tipo di materiale è estremamente funzionale al personaggio di Miranda: parliamo di una donna molto intelligente, sessualmente attraente, consapevole di esserlo e che sfrutta entrambe le cose a proprio vantaggio. Miranda è una donna disposta a tutto pur di ottenere ciò che vuole e la bellezza del personaggio lo si scopre anche confrontandolo con il resto del cast femminile di Mass Effect, con donne incredibilmente diverse e diversamente sfaccettate. Quindi sì, nel mondo dei videogiochi ci possono essere personaggi non etero e contemporaneamente negativi, violenti ed egoisti come la Ellie di The Last of Us Parte II, eroine action in età da menopausa come visto nel titolo di prossimo uscita Returnal, e donne madri che invece di corrispondere all'immaginario collettivo dell'angelo del focolare, portatrici di vita, stanno a capo del nuovo Reich come la Irene Engel di Wolfenstein.

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A fronte di questo vanno aggiunte altre due considerazioni, la prima è relativa alla scrittura dei personaggi: quando un personaggio è scritto male, è scritto male, a prescindere da tutte le sue caratterizzazioni e, al contrario, quando queste sono motivate ed integrate in una buona scrittura il personaggio ne guadagna... e dovrebbe essere quello l'obiettivo dell'intrattenimento di qualità. La seconda considerazione invece è legata a come tutto ciò viene sfruttato, perché l'errore più grande che si può fare è utilizzare l'inclusività come strumento di marketing. Anche perché, va detto, che quando questo non fa parte della mission dello sviluppatore o del publisher, la cosa si sente. Ci si può lamentare in molti modi di un gioco come The Sims 4, tranne quando si parla di inclusività perché The Sims 4 è forse uno dei titoli che ha fatto proprio, nel senso più intimo del termine, l'inclusività, anche sotto la spinta della community.

La condizione delle lavoratrici

Fino a questo punto del video abbiamo parlato di rappresentazione e inclusività solo ed esclusivamente relativa ai protagonisti dei videogiochi, agli attori di pixel dell'Industria. Però questi personaggi verranno scritti, modellati, animati e programmati da qualcuno e qui si apre il grande discorso sotterraneo relativo all'inclusività all'interno dell'industria, alle persone che lavorano nel settore dei videogiochi. Quando si parla di lavoro e occupazione il discorso inevitabilmente va rapportato alla realtà legislativa di ogni singolo paese; la costante globale che accomuna tristemente un po' tutti i paesi è la crescita delle denunce da parte di sviluppatori in relazione proprio alla loro posizione professionale, quindi parliamo di discriminazioni, molestie sul posto di lavoro, favoritismi e così via. Anche in questo caso, va sottolineato, non siamo di fronte ad un fenomeno inedito, che prima non accadeva e adesso si; non è che dopo il movimento #Metoo un sacco di donne si sono svegliate e hanno pensato che con un paio di cause legali nel proprio ufficio potrebbero sistemarsi per il resto della vita.

Inclusività nei videogiochi: a che punto siamo?

Come detto, sta rapidamente cambiando l'intero clima sociale e questo comporta un maggior coraggio delle vittime, proprio perché accolto con più sostegno. Ora siamo costretti ad abbandonare il discorso sull'inclusività e concentrarci prettamente sulla fascia demografica femminile perché stiamo per citare qualche dato statistico, che in quanto tale non può essere generalizzato. Secondo un censimento ad opera di Ukie, l'associazione nazionale dei videogiochi nel Regno Unito, in collaborazione con l'università di Sheffield, ricerca fatta durante il 2019 e rilasciata febbraio 2020 (il periodo più recente possibile pre-pandemia), è molto interessante osservare la slide relativa al genere per tipologia di lavoro, ovvero quante donne, uomini e persone nonbinary ricoprono un determinato tipo di professione all'interno dell'Industria dei videogiochi. Quella più paritaria è probabilmente la localizzazione con un 46% di occupazione femminile e 54% maschile; anche Project Management e Business Operation sono abbastanza bilanciate. Più si va verso i ruoli tecnici (audio, design, IT, programmazione) invece, più la quota maschile sale drasticamente. Se la suddivisione per tipo di lavoro è ancora discretamente bilanciata, molto più orientata verso il lato maschile è quella relativa all'anzianità di professione: qui la preponderanza maschile è schiacciante, specialmente dai livelli da Senior in su.

Inclusività nei videogiochi: a che punto siamo?

Se da un certo punto di vista alcuni dati sono facilmente interpretabili perché, parlando di ruoli manageriali, altre professioni condividono questo disequilibrio tra uomini e donne, molto più interessante sono le tipologie di lavoro: pensare che un mestiere come il programmatore sia un lavoro più da maschi che da femmine è abbastanza sciocco, ma al contempo non esistono cause discriminatorie manifeste che portano ad una preponderanza maschile nella professione. In linea generale, i risultati riferiti da questo censimento (che se volete potete visionare in maniera integrale a questo link) sono comunque positivi perché vedono un aumento della forza lavoro femminile all'interno dell'industria. Ovviamente ci auguriamo che questo sia un trend in crescita, non solo perché tutti i settori lavorativi beneficiano della sensibilità di persone diverse, ma soprattutto perché il lavoro è la via per l'emancipazione economica e sapere che le bambine di oggi, che sognano di entrare nel mondo dei videogiochi, un domani potrebbero mantenersi con questa professione è decisamente una buona notizia.