A stretto giro, dopo l'anteprima dedicata a The Dark Pictures Anthology: House of Ashes, torniamo da voi con l'intervista integrale al game director Will Doyle. Per chi non ne fosse al corrente, siamo al terzo capitolo dell'antologia sviluppata dagli autori di Until Dawn - di cui per ora fanno parte Man of Medan e Little Hope - attraverso la quale si esplorano diversi generi dell'horror, prendendo come base leggende conosciute o meno per rielaborarle in base alle necessità narrative; questo senza mai discostarsi troppo dal materiale originale, anzi sfruttandone un elemento in particolare per far prendere alla storia una particolare deviazione. Dopo il mistero della Ourang Medan e il capitolo buio di Salem con i suoi processi alle streghe, gli sviluppatori scavano in una storia decisamente più antica per proporci un'esperienza le cui ispirazioni poggiano su film come Alien, Predator e The Descent, e dal romanzo Alle Montagne della Follia scritto da Lovecraft.
La chiacchierata con Doyle è stata ricca e molto piacevole, abbiamo cercato di spaziare quanto possibile senza però distaccarci mai dall'argomento in questione - soprattutto a fronte delle novità sul lato gameplay. Buona lettura!
Cos'è e come si costruisce la paura?
Partiamo con una domanda semplice, o forse non troppo, sicuramente fondamentale quando si lavora per offrire un certo tipo di esperienza? Che cos'è per te, per voi, la paura? Dal punto di vista di una persona qualunque, di un lettore, uno spettatore, un videogiocatore e, ovviamente, di uno sviluppatore? Non è mai uguale per tutti ma soprattutto non lo è nemmeno per una singola persona, che in base al "ruolo" del momento potrebbe avere una concezione di paura diversa.
Will Doyle: La paura e l'orrore significano, per noi, mettere il giocatore in una situazione per la quale non è preparato e verso cui si sente a disagio. Questo ci permette di pensare ai nostri personaggi come a delle persone in carne e ossa, raccontare storie che li coinvolgano trascinandoli fuori dalla loro 'zona sicura' e ponendoli di fronte a vere e proprie sfide. Tutto ruota attorno al concetto di proiezione: quando guardiamo, o giochiamo, un horror ci troviamo nella condizione di immedesimarci nella situazione e riflettere su come noi risponderemmo, che cosa faremmo. Di riflesso, questa proiezione influenza i personaggi che creiamo, basati sulle possibili reazioni dei giocatori, aprendo quindi nuove e interessantissime strade in termini di narrazione.
Quale pensi sia il modo migliore per convogliare questa paura, soprattutto in un prodotto come The Dark Pictures Anthology che cambia di capitolo in capitolo?
Will Doyle: parte di questa paura deriva dalla sorpresa, che non necessariamente deve rifarsi al cosiddetto jumpscare. Si tratta più che altro di un concetto legato all'ignoto e all'inaspettato. Con The Dark Pictures Anthology stiamo cercando di esplorare diversi generi horror, motivo per cui ogni gioco dell'antologia ha un tono diverso rispetto al precedente. È impossibile per noi dire che esiste una formula specifica alla quale ci rifacciamo quando andiamo a scegliere il tipo di horror da raccontare, la storia a esso legata e che significato debba avere la paura in quello specifico caso. Ci sono dei punti su cui possiamo basarci, per esempio in Little Hope abbiamo trattato il folk horror e la paura che ne è derivata è stata più psicologica; in House of Ashes ci siamo dedicati invece all'exploration horror, che prevede la presenza di un gruppo di esperti, almeno nel nostro caso, lontani da casa e tagliati fuori da ogni tipo di supporto che si troveranno ad affrontare una terribile minaccia. In questo senso la pausa è diversa, perché i personaggi sono sì più preparati, più flessibili, ma comunque messi di fronte a qualcosa per la quale non sono affatto pronti - credevano di esserlo quando in realtà non è così. L'orrore dunque li strappa dalla loro zona sicura per trascinarli davanti a qualcosa di inimmaginabile.
Meglio la paura psicologica o quella "tangibile"?
Nella mia esperienza personale ho trovato che seguire troppo da vicino una leggenda, come nel caso della Ourang Medan, possa influenzare il giocatore che la conosce e dunque non avrà reazioni genuine nei confronti di una minaccia che sa non essere reale; allo stesso modo, Little Hope ha offerto un tipo di horror altrettanto psicologico, sebbene costruito in maniera diversa, che una volta intuito ha alterato l'esperienza rendendola meno d'impatto. È possibile che questa volta, trovandosi a fronteggiare un orrore concreto e tangibile, i giocatori si sentano più coinvolti e reagire in modo sincero alle situazioni? L'orrore concreto è più efficace di quello psicologico, soprattutto in una serie come The Dark Pictures Anthology?
Will Doyle: sicuramente una minaccia tangibile che dà loro la caccia può essere più intimidatoria per i giocatori. Il rischio, ma anche il bello, di lavorare a un'antologia è proprio che nella sua diversità di generi e approcci questa colpirà più profondamente alcuni rispetto ad altri; non solo, ti permette di sperimentare tanto, cercando di continuo il giusto espediente per sorprendere il pubblico. In House of Ashes il pericolo è assolutamente reale e i suoi protagonisti sono a rischio proprio per quello, non importa quanto possano essere preparati. Ogni capitolo fa storia a sé, tonalmente, per cui non si può parlare in termini competitivi, a maggior ragione se la paura convogliata è diversa. Fonti di ispirazione come Alien, Predator e The Descent danno ad House of Ashes un'impronta più action che potrebbe trovare maggior favore tra il pubblico ma non c'è una paura migliore di un'altra: sono tutte differenti tra loro, come la presa che fanno sugli utenti.
Creare e portare avanti un'antologia
A questo proposito, parlando di antologie, quali sono le difficoltà e le sfide nel realizzarne una che riesca a essere sempre fresca e diversa nelle storie raccontate? Soprattutto, su quale base decidete la leggenda, il mito, il folklore da utilizzare per un determinato capitolo?
Will Doyle: Per noi è sempre una sfida non solo sviluppare giochi di questo tipo, data la ramificazione narrativa che li contraddistingue, ma lo è anche decidere quale storia portare. Il nostro obiettivo rimane sempre quello di legare strettamente il racconto a una leggenda, un mito, esistenti, rielaborando perciò qualcosa che è stato tramandato senza per questo allontanarci troppo dal vero. Se si guarda la storia di diverse culture è possibile trovare racconti stupefacenti dove scavare. Con House of Ashes siamo risaliti alla culla della vita, alla Mesopotamia, e l'idea che leggenda e realtà storica si fondessero, ovvero che la caduta dell'impero per mano dei Gutei non solo avesse supposte ragioni mitologiche ma fosse stata storicamente annotata, ci ha colpito da subito; soprattutto perché si sposava bene con ciò che volevamo raccontare nel presente. Non mi spingerò oltre, però si è creata una particolare connessione con il passato che abbiamo trovato calzante. Per quanto riguarda lo sviluppo in sé, tendiamo sempre a guardarci indietro, analizzare il lavoro fatto in precedenza e tenere conto di cosa si possa migliorare anche grazie ai feedback dell'utenza: è un continuo perfezionamento.
House of Ashes è il primo capitolo che rompe con il passato, non solo dell'antologia ma anche con lo stesso Until Dawn, presentando un'inedita telecamera a trecentosessanta gradi. Puoi approfondire le ragioni dietro la scelta e perché adesso vi è sembrato il momento giusto per questo passaggio?
Will Doyle: Abbiamo pensato rendesse l'esperienza più immersiva. Dare al giocatore il controllo della telecamera, quando si esplora un'area ampia, gli permette di immedesimarsi molto più nel personaggio e lo innervosisce maggiormente - proprio per il fatto che adesso, nel muoversi lungo un corridoio buio, ha la facoltà di sbirciare nelle alcove o nei punti più nascosti senza che il gioco gli imponga nulla. In questa libertà risiede la costante sensazione di avere i nervi a fior di pelle. Non è però l'unica motivazione: a livello pratico, permette infatti maggior continuità tra le fasi di gioco e i filmati, senza lo stacco netto dei capitoli precedenti. Inoltre, la gestione a piacere della telecamera si sposa perfettamente con la torcia, altro elemento che abbiamo inserito per favorire l'esplorazione e indurre il giocatore a scoprire tutti i segreti che l'ambientazione ha da offrire: davanti a un'interazione simile, era naturale "evolversi" verso una telecamera a trecentosessanta gradi.
Quali sono state le maggiori difficoltà nello sviluppo di questo capitolo?
Will Doyle: essendo un'esperienza più orientata sull'azione, durante le fasi di motion capture ci siamo affidati a coordinatori degli stuntman e abbiamo adottato un approccio più coreografico soprattutto per quanto riguarda i movimenti delle creature. Non solo, però, perché trattandosi per l'appunto di un gioco dove l'azione ricopre un ruolo maggiore ed è più intensa, i nostri stessi attori dovevano avere un particolare tipo di preparazione: siamo passati attraverso un casting molto rigoroso per restituire un'esperienza più coinvolgente possibile da questo punto di vista. È stata una sfida, soprattutto perché essendo l'ambientazione sotterranea abbiamo fatto un massiccio utilizzo delle corde durante le riprese, ma anche molto divertente.
L'horror, in quanto genere, ha il suo set di "regole non scritte". Vi è mai capitato di andare contro una di queste e preferire un approccio diverso perché lo consideravate migliore nell'ottica dell'esperienza che volevate creare?
Will Dyole: in ogni nostro gioco abbiamo sempre cercato di sovvertire i tropi più comuni così da ottenere risultati interessanti. Sì, l'horror ha delle sue regole prestabilite ma è altrettanto vero che queste regole cambiano in base al genere: c'è una tale varietà di storie che una stessa soluzione può funzionare per una ma essere del tutto inadatta per un'altra. La nostra forza più grande è la presenza del giocatore e il suo ruolo attivo nei nostri giochi: lavoriamo molto attorno a questo aspetto. Una persona, da spettatore e guardando i personaggi di un film fare qualcosa di generalmente stupido come andare a controllare quell'angolo buio da cui proviene un rumore inquietante, direbbe che una cosa simile non la farebbe mai; ecco che improvvisamente quella persona, passata al ruolo di giocatore, farebbe proprio la stessa, spingendosi sempre più in là fino a trovarsi davvero in pericolo. Ci piace giocare su questi contrasti in particolare, sull'indurre il giocatore a compiere un'azione che da spettatore, magari, ha sempre criticato. House of Ashes presenta situazioni di questo genere.
Fino a che punto la musica può essere di supporto?
Un altro aspetto abbastanza divisivo è l'uso della musica: ci sono casi in cui, pur mettendoti in condizioni di tensione, ti anticipa che qualcosa sta arrivando o ti sta aspettando. In generale, che sta per verificarsi (o potenzialmente potrebbe) una situazione pronta a strapparti dalla tua zona sicura. Come gestite il bilanciamento della musica in un horror?
Will Doyle: la musica può essere un ottimo supporto. Ci sono casi in cui, pur facendo presagire che sta per accadere qualcosa, ci mette in una condizione di ansia e tensione proprio perché siamo consapevoli di un imminente pericolo ma non di cosa si tratti nello specifico. In questo senso mi viene in mente Paranormal Activity: non necessariamente rovina il momento, anzi, ti lascia con i nervi a fiori di pelle. Noi adottiamo lo stesso approccio. È pur vero, però, che si tratta anche di una questione di ritmo, della capacità di gestirlo: mantenere una tensione costante è deleterio, bisogna capire quando allentare la presa e permettere al giocatore di rilassarsi, per poi tornare a costruirla gradualmente. In tal senso, la musica è uno strumento eccezionale.
Rapportarsi con gli altri personaggi
Riprendendo a esempio Until Dawn, la meccanica secondo cui il tuo atteggiamento nei confronti degli altri personaggi poteva inaspettatamente decretare la tua morte o la tua salvezza in futuro mi è parso più marcato, rispetto ai recenti Man of Medan e Little Hope. Considerando che House of Ashes mette in gioco anche l'eventuale collaborazione di due fazioni (statunitense e irachena) che fino a un attimo prima si stavano dando battaglia, è possibile che torneranno situazioni così sul filo del rasoio?
Will Doyle: la versatilità del Trait System è la sua maggiore forza. Combinata a una cosiddetta zona di grigio più consistente, quando si tratta delle scelte morali, permette esiti come quello che hai descritto. Il nostro obiettivo con House of Ashes è puntare ancora di più sul concetto del dilemma, spingendo il giocatore a ragionare, anziché agire d'istinto, ma al contempo non rendergli affatto chiaro quale sia la scelta migliore - posto che esista. Ci saranno sempre degli aspetti positivi e negativi legati alle scelte che il giocatore prenderà e in questo capitolo saranno ancora più sfumati, difficili da prevedere, alcuni pensati persino per rivelarsi sul lungo periodo.