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Vent’anni di God of War, come reinventare un mito

A vent'anni dal debutto di God of War su PlayStation 2, vediamo come una delle saghe più importanti dell'industria sia riuscita a rinascere senza vendere la sua anima ad Ade

SPECIALE di Mattia Pescitelli   —   22/03/2025
Kratos e i vent'anni di God of War

Sangue e furia. Muscoli e sudore. Morte e sesso. Questo e altro ha rappresentato la saga originale di God of War, un coacervo di elementi al limite dell'accettabile per un'opinione pubblica che contro i videogiochi si scagliava molto più prepotentemente di adesso. Un manifesto all'eccesso, all'abbattimento delle barricate ideologiche, alla destrutturazione di un perbenismo occidentale, che si affiancava a tutti gli altri "ribelli" di un settore screditato a prescindere perché, a detta di qualcuno, in grado di corrompere, deviare e distorcere la percezione del reale da parte di una generazione. Ma God of War è stato molto più di questo: ha elevato il mezzo videoludico a qualcosa che va oltre il semplice passatempo, capace di raccontare storie forti, tra il pulp dei fumetti underground e la maestosità del cinema epico.

A vent'anni dall'uscita del primo capitolo su PlayStation 2 ripercorriamo la storia di God of War attraverso il modo in cui Santa Monica ha deciso di raccontare visivamente questa vicenda di vendetta senza fine.

Una crescita

All'epoca, God of War conquistò il pubblico per la sua irriverenza, la sua violenza apparentemente gratuita, la sua promiscuità ostentata. La gigantomachia greca scolpita con i primi capitoli rappresenta la gioventù, la spensierata voglia di fare a pezzi tutto ciò che si incontra, spinti da una sete insaziabile di rivolta contro il potere dominante, dove la vendetta è solo un pretesto per far crollare al suolo i sacri preconcetti a cui l'uomo si è sempre affidato ciecamente.

Kratos, il fantasma di Sparta
Kratos, il fantasma di Sparta

Al contrario, l'Edda norrena del nuovo ciclo si annovera nella maturità, nel dare al proprio pubblico (senz'altro cresciuto) una visione che vada oltre la mera ricerca di un dissetamento degli istinti lasciati galoppare incontrollati. Il Kratos esule è la repressione fatta divinità, il trattenersi dal tramandare un'esistenza che vive di impulsi, guidata dalla rabbia.

L'ormai ombra di quello che fu il Fantasma di Sparta è lo specchio di una generazione cresciuta arrabbiata, guidata dall'eccesso e dalla libertà d'espressione, che ora vorrebbe proteggere la gioventù da quegli stessi comportamenti che paiono, agli occhi dell'esperienza, sconsiderati e sbagliati. Ma, in questo modo, non fa altro che andarsi a sostituire a coloro contro i quali ha combattuto strenuamente e a testa alta anni prima.

Kratos e la repressione della propria natura
Kratos e la repressione della propria natura

Proprio questa è la parabola evolutiva che sperimenta Kratos nel nuovo corso della saga: imparare a lasciare andare, sia suo figlio che sé stesso, riconoscendo la portata della propria perdizione e venendo a patti con un passato che può sembrare scomodo, ma che rappresenta le fondamenta di ciò che è diventato.

Come raccontare il mito

In vent'anni si cambia. Non cambiano solo le persone dietro un progetto, ma anche gli interessi, le linee guida, le idee alla base di un team di sviluppo. L'evoluzione di Kratos c'è l'ha mostrato perfettamente. Ma cambiare non riguarda solo chi siamo, ma anche come ci raccontiamo.

Vent'anni di Kratos
Vent'anni di Kratos

Un filo rosso sangue unisce il passato della saga al suo presente: il senso di inferiorità. Kratos, pur essendo una divinità, pare sempre essere un gradino al di sotto dei suoi rivali, messo alle strette da creature pantagrueliche e minacciose. Detto ciò, tra il filone greco e quello norreno scorre un fiume che Caronte in persona avrebbe difficoltà ad attraversare.

Inferiorità

Partiamo dalle origini, dalla cosiddetta Prima Era, dal relitto di una trireme nel tempestoso Mar Egeo. Da quell'ambiente angusto si aprono visioni colossali di templi, città in fiamme e mostruosità mitologiche rivisitate per un pubblico stanco delle visioni formali di un passato canonizzato.

Crono sta lì lì per schiacciare un minuscolo Kratos
Crono sta lì lì per schiacciare un minuscolo Kratos

La camera fissa (la cui fissità sta solo nel nome, dato che si avvicina, si allontana, si alza, si abbassa, piroetta con l'azione esaltandone ogni istante), oltre a enfatizzare la componente cinematografica che si insinua subdolamente in ogni capitolo, va a sottolineare la lotta estenuante di quello che agli occhi di un ignaro spettatore può apparire come un semplice uomo contro forze che sembrano molto al di fuori della sua portata.

Kratos a volte diventa un minuscolo elemento dello scenario, il cui sforzo erculeo pare insignificante paragonato a ciò che riempie lo schermo. È la vecchia storia di Davide e Golia, resa visivamente con la scelta di togliere al giocatore la possibilità di decidere su cosa focalizzarsi e come. La regia si impone sull'occhio curioso del pubblico, costringendolo a seguire quella storia in quel determinato modo, senza per questo privarlo della libertà di scoperta di un ambiente che, nella sua linearità, nasconde parecchi segreti.

Oppressione

Con il rilancio della saga nel 2018, nulla e tutto è cambiato. Il potere della visuale è ora in mano al giocatore, scesa fino alle spalle del personaggio, più vicino che mai, più centrato che mai. Non è più questione di una lotta contro l'esteriore, ma contro l'interiore. La scelta di cambiare totalmente l'impostazione del gioco è una scelta intimista, dettata dalla volontà di voler esplorare i demoni che tormentano Kratos dall'interno.

Il cambio di prospettiva mette Kratos su un altro piano del raccontare per immagini
Il cambio di prospettiva mette Kratos su un altro piano del raccontare per immagini

Pure i suoi nemici si fanno più umani, a volte anche meno minacciosi di lui. Tutto o quasi si riconverte a misura d'uomo. Il mito diventa pretesto per raccontare qualcosa di più di una semplice scalinata verso la vendetta suprema.

Il conflitto interiore si fa più titanico di quello esteriore, che rimane sullo sfondo, alla portata di altri colossi, quando c'è la possibilità di lasciare il duello in mano a qualcuno della giusta taglia. E quel senso di Davide contro Golia si ripresenta nella sua forma inversa. Lo sguardo del giocatore coincide con quello del protagonista, inferiore dinanzi ai portenti della natura mitica di un mondo ai confini del mondo.

Reinventarsi

All'annuncio del ritorno del Fantasma di Sparta sotto una nuova veste nel 2018 molti hanno storto il naso. Il cambiamento, all'apparenza, era epocale, di proporzioni tali da poter effettivamente rischiare di snaturare la saga.

La direzione di Cory Barlog ha poi dimostrato a tutti il suo valore, proponendo un'evoluzione senza precedenti di un franchise così amato e marchiato a fuoco in maniera indelebile nella memoria di un'infinità di videogiocatori. Ma, dopotutto, questo cambio di rotta non è stato altro che il più naturale degli avvenimenti.

Kratos, un antieroe epico
Kratos, un antieroe epico

God of War ha sempre giocato sulla capacità del medium di proporre avventure altamente cinematografiche, senza scimmiottarne, però, il linguaggio. La saga è riuscita a conquistare il suo posto d'onore nell'Olimpo del settore in quanto ha saputo instaurare un forte dialogo tra differenti modi di esprimersi per immagini (iconico il passaggio all'impostazione visiva da picchiaduro durante lo scontro con Zeus in God of War III, ma anche tutti gli zoom in e out che accompagnano le mosse finali contro i nemici standard, che hanno preceduto di un anno l'iconica scena della battaglia delle Termopili portata sullo schermo da Zack Snyder nel suo adattamento di 300).

Botte da orbi tra un Titano e un Leviatano
Botte da orbi tra un Titano e un Leviatano

Ed esattamente la stessa cosa accade, poco più di dieci anni dopo, nel soft reboot diretto da Barlog. Prendendo una tecnica prettamente cinematografica come il piano sequenza, Santa Monica va oltre il mero utilizzo e la adatta al mezzo videoludico, esaltandone le caratteristiche come mai nessun film legato a una telecamera fisica controllata da un corpo umano in uno spazio reale sarà mai in grado di fare.

Così, God of War e il suo seguito Ragnarok diventano delle sequenze uniche senza soluzione di continuità da più di trenta ore, dimostrando al mondo intero che i videogiochi possono essere molto più di una copia carbone del mezzo cinematografico, integrando ed espandendo intuizioni che sono capaci di sprigionare la loro reale portata solo all'interno di un contesto digitale e interattivo.

Buon compleanno Kratos, il dio della guerra che non abbiamo chiesto, ma di cui abbiamo bisogno
Buon compleanno Kratos, il dio della guerra che non abbiamo chiesto, ma di cui abbiamo bisogno

Noi ci fermiamo qui, facendo tanti auguri a uno dei colossi del mondo dei videogiochi, la cui forza non sta tanto in ciò che dice, ma in come lo fa. Per celebrare questi 20 anni di God of War voi cosa farete? Perché non iniziare condividendo con noi cosa ha rappresentato per voi l'epopea di Kratos.