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Daniel Cook e il suo addio a Xbox

Lo sviluppatore ha trovato il suo posto, lontano dai blockbuster

NOTIZIA di Mattia Armani   —   08/04/2013

Daniel Cook è uno sviluppatore relativamente conosciuto ma, dopo una lunga carriera, ha lavorato per due anni nelle fila di Microsoft e si poi allontanato per formare il team indie di successo Spry Fox.

Una strada intrapresa da molti ma un lungo post ha attirato i riflettori su Cook che descrive Xbox come rappresentante di una forma videoludica particolare, fatta di trame appoggiate su una struttura pianificata, su un progetto ben definito fatto di feedback e di innovazioni programmate. Il massimo rappresentante di questo tipo di videogiochi viene identificato, da Cook, in Bioshock Infinite che incarna tutti gli elementi ritenuti necessari per un gioco di successo. Ma, almeno secondo quanto traspare dall'intervento dello sviluppatore, Cook non sopporta questo lusso programmato, privo di ideali, che pianifica persino gli imprevisti. Per questo definisce quantomai azzeccato il dedicarsi a titoli senza trama, fatti di solo gameplay e non a caso rivela che nel mondo console le sue macchine di riferimento sono sempre state marchiate Nintendo.

In sostanza l'ex dipendente Microsoft rievoca la guerra tra gameplay e trame di cui si è tanto discusso in questi anni. "Il condimento soffoca il gusto della pietanza principale", è il ritornello di una parte dei giocatori, controbattutti a più riprese con un altrettanto efficace: "una narrazione sorprendente è un elemento del gameplay". Ovviamente in tutto questo si inseriscono giochi che abusano e riciclano un gameplay vincente o che soffocano un gameplay piatto con effetti visivi a profusione, e questa innegabile verità, valida anche nel cinema e nella musica, ci porta, per l'ennesima volta, a evocare l'equilibrio. C'è spazio per entrambi i tipi d'esperienza e, ancora meglio, c'è spazio per esperienze fatte di entrambi gli ingredienti. Ascoltare i feedback e pianificare un gioco perchè questo piaccia non è sempre un male anche se ci vuole, ovviamente, un'idea di base, un qualcosa che faccia da spina dorsale a un progetto e che dia qualcosa di nuovo al giocatore, per sorprenderlo, anche se questo non lo chiede. Ed è proprio in questo punto che il videogioco diventa arte, quando sorprende senza che un cliente debba selezionare l'opzione "sorpresa". Ed è in questo piccolo ma importante punto che concordiamo con Cook, ma solo in parte vista l'esarcebazione dei toni e la generalizzazione eccessiva, sullo svilimento del videogioco quando questo vien trattato come un prodotto qualsiasi.

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