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Altro giornale, altra accusa ai videogiochi

Brutti, sporchi e cattivi

NOTIZIA di Mattia Armani   —   30/04/2013

La Gazzetta dello Sport evoca, inevitabilmente, il gioco del pallone e la socialità da cortile come contrapposti al gelido mondo videoludico, fatto solo di violenza e di impulsi distruttivi.

Sia chiaro, non è certo l'appello a una vita più sana quello che infastidisce di questo tipo di articoli. Più che altro, a stupire, è che in questi frangenti non si faccia mai riferimento alla maleducazione per strada, alla qualità della televisione e al fatto che esistono due tipi di violenza, una contestualizzata e una automatica e in questo caso l'eventuale problema è l'automatismo, non la violenza. Sembra strano che sia un redattore videoludico a dover ricordare a frotte di giornalisti che ogni bambino è in una famiglia, che non tutti i genitori spiegano ai figli i "fatti della vita". Inoltre sarebbe sempre auspicabile ricordare che molte analisi, oltre a essere composte da centinaia di pagine non riassumibili in tre righe, sono commissionate con uno scopo o partono da un presupposto specifico, tanto che spesso altri studi, firmati da istituti altrettanto importanti, affermato l'esatto contrario. Ed è proprio questo il punto dolente dell'informazione tecnologica italiana e dell'informazione italiana nel suo insieme.

Parliamo della quasi universale mancanza di un contraddittorio, di una menzione per gli studi che dicono il contrario o che pongono la questione sotto una luce diversa. Si da ragione o si da torno, come in politica, senza cercare l'unica verità possibile che sta nella discussione e nell'analisi critica, non nell'imposizione di un punto di vista. Infine, per concludere una non esaltante analisi della comunicazione moderna, c'è la questione della violenza misurabile con una risonanza magnetica. Questo tipo di correlazioni, un tempo parte di percorsi accademici molto più ampi, sono diventate assolute al tempo della semplificazione, con un pericoloso ritorno di un positivismo che promette l'immortalità giurando di poter valutare scientificamente l'amore, la felicità e persino il tipo di sessualità. Lo stesso ragionamento che ha portato alla mostruosa diffusione degli psicofarmaci che, secondo molti esimi laureati, sono una cura valida per la depressione. Ma non serve certo una laurea per valutare il folle paradosso di un mondo che preferisce sedare i figli allo spiegargli la differenza tra Call of Duty e la Guerra nel Golfo. Ma d'altronde la prima strada è comoda e non chiede mai di pensare, atto che terrorizza buona parte del genere umano.

Link: Gazzetta dello Sport