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Empire of Sin, la recensione: proibizionismo e malavita nella Chicago degli anni '20

Romero Games ci porta in una Chicago degli anni '20 schiacciata dal proibizionismo e dalla malavita, invitandoci a costruire un nuovo impero criminale: ecco la nostra recensione di Empire of Sin.

RECENSIONE di Alessandra Borgonovo   —   04/12/2020

Che Empire of Sin mirasse a essere un'esperienza sfaccettata e profonda, votata anche a una discreta rigiocabilità, lo si capisce prima di ancora di mettere effettivamente piede nella sua Chicago proibita - la terra promessa dei gangster, quella dove la legge è un capriccio volubile da piegare a piacere e se qualcosa piace, semplicemente lo si prende. Sono gli anni '20 e la città è una polveriera pronta a saltare in aria, le cui strade ma non solo sono teatro di scontri mortali tra clan malavitosi che sfruttano il proibizionismo per prevalere gli uni sugli altri. Da Al Capone a John Dilinger fino ai Genna Brothers, Chicago è stata il teatro di alcune tra le faide più memorabili della storia e lo studio di sviluppo Romero Games ci riporta indietro nel tempo per scrivere la nostra, di storia, vergata con il sangue, l'alcol e i proiettili.

Prima di mettere effettivamente piede a Chicago, quindi, siamo chiamati a scegliere il boss che porteremo in cima alla catena alimentare: il ventaglio è tanto vario, per quantità e sfaccettature dei protagonisti, che questo ambizioso gestionale dava l'idea di un potenziale nascosto che sarebbe emerso di ora in ora. Immaginate di trovarvi messi all'angolo, con il fiato della polizia sul collo, la difficile decisione di tradire un amico (l'onore è tutto, in questi casi) e i vostri rivali che pianificano nell'ombra. Empire of Sin mette spesso di fronte a situazioni simili, che si trasformano in tanti piccoli thriller noir.

Narrativamente dunque è un gioco dal grande potenziale, che tuttavia viene minato non dagli effettivi pericoli di una Chicago piegata dalla malavita bensì da problemi tecnici di diversa natura, che passano da salvataggi corrotti (non dovevano esserlo i poliziotti?) a missioni che si bloccano e personaggi che scompaiono senza una ragione apparente. Persino la patch day one non ha risolto alcune magagne, considerato il fatto che non sono l'unico ostacolo: anche il game design compie passi falsi e in questi casi non c'è patch che tenga - per ora. Vediamo attraverso la recensione di Empire of Sin perché il gioco parte con un'ottima prima impressione per poi diluirsi come uno di quei distillati scadenti che Bugs Moran ha provato a distribuire per i nostri quartieri.

Vita da gangster

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Narrativamente parlando, quindi, Empire of Sin offre uno spaccato di storia interessante da cui si evince quanta cura sia stata infusa nel mostrare un contesto così lontano da noi per tempo, spazio e cultura. L'aspetto più affascinante di tutto ciò è senza dubbio il fatto che tutti i maggiori gangster, a prescindere sia il nostro protagonista o i rivali, sono davvero esistiti; in questo il gioco di Romero si pone come una valida finestra su quel mondo. Chiunque conosce Al Capone ma cosa ci dite, ad esempio, di Stephanie St. Clair? Una giocatrice d'azzardo francese che ha gestito diverse attività criminali ad Harlem, in grado di mantenere la sua indipendenza senza inglobata dalla Mafia. È stata la nostra scelta per una prima, sofferta partita che ci ha spinto a volerne sapere di più su di lei. Uno dei meriti di Empire of Sin, infatti, è contribuire a generare curiosità verso personaggi che davvero hanno segnato un periodo storico importante, nei suoi chiaroscuri, e riproporli in modo molto fedele - pur dovendo piegarli a volte necessità narrative.

Un po' strategico gestionale e un po' RPG, il gioco ci permette di scegliere il percorso "di vita" del nostro boss e il modo in cui gestisce le varie situazioni che gli/le si presentano davanti, in uno spettro morale tendente un po' troppo nettamente verso il bianco o il nero. Ci sono però occasioni nelle quali il roleplay prende più il sopravvento e si dimostra un po' più flessibile. Per esempio, si può scegliere il male minore tra due, consapevoli del prezzo da pagare ma prendendosi il rischio di superare una prova d'intimidazione o persuasione per ottenere ricompense che pareggino, o persino superino, le nostre perdite. Nulla che sorprenda i veterani dei giochi di ruolo, tuttavia per un gioco che si basa sulla creazione di un impero criminale e sulle sparatorie, il fatto che i personaggi passino molto tempo sotto i riflettori spicca in modo netto.

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Come se tutto questo non fosse già abbastanza coinvolgente di per sé, ci sono altri due aspetti di rilievo da considerare: i subalterni e i cosiddetti sit down. Un'attività malavitosa non si gestisce di per sé, servono persone perché prosperi. A loro volta, questi subalterni non sono mere marionette fisse sul compito assegnato: sono "umani", vite digitali se preferiamo, che in quanto tali vivono drammi e conflitti. Hanno le proprie amicizie, rivalità, vizi e missioni secondarie che creano tanto opportunità quanto ostacoli nella nostra ascesa al potere. Un personaggio, che sia il boss o un banale gregario, inizia con alcuni tratti ispirati al background, cui se ne aggiungeranno altri a mano a mano che il loro percorso di vita si approfondirà - spesso dettando legge non solo sul loro comportamento ma anche sul modo di combattere o persino su quanto siano idonei a ricoprire ruoli di potere. Persino il minimo cambiamento nelle statistiche è sentito e porta a svolte inaspettate che rendono ogni partita unica.

Per quanto riguarda i sit down, sono il momento in cui il cast di Empire of Sin brilla di più: in breve sono le fasi diplomatiche del roleplay, in cui voi e un altro boss vi sedete uno di fronte all'altro per mettere in chiaro le vostre posizioni, tramite una serie di scambi divertenti e coinvolgente, dove si fa leva sulle forze e le debolezze dell'avversario per riuscire a strappare un potenziale accordo, o anche metterlo alle strette ed eliminarlo. Non tutte le performance sono convincenti, considerando inoltre che manca l'espressività dei volti e i gesti sono spesso molto enfatizzati o fuori contesto, ma nel complesso si tratta di confronti appassionanti. Un'illusione destinata tuttavia a infrangersi contro uno dei tanti problemi che affliggono il gioco: nel caso specifico, i nostri interlocutori ci presentano accordi i cui termini sono in aperta contraddizione o, peggio, si rivelano essere dei semplici buff per noi senza pagare veramente qualcosa in cambio. La scelta di presentare queste contrattazioni con un approccio più teatrale e meno schematico non è male in larga parte ma si scontra con la bizzarra casualità di alcune conversazioni, che frantumano la bolla felice dalla quale ci siamo fatti avvolgere.

Il gameplay

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Passando all'aspetto gestionale di Empire of Sin, ecco che il gioco comincia a mostrare il fianco. In termini generali non è diverso da tanti altri che ci è capitato di provare, la differenza in questo caso risiede in un'esperienza molto sottotono rispetto alla controparte narrativa. Nonostante si tenti uno sforzo nell'offrire soluzioni diverse perché le varie attività crescano, tutto si riduce all'aggiornamento continuo delle stesse, dunque a un circolo vizioso per cui il denaro non è mai abbastanza. Il che ha senso, se pensiamo di dover costruire un impero da zero e tenere testa ai boss rivali, ma alla fine si dimostra soffocante e ripetitivo. I repentini cambi di preferenze all'interno di un quartiere, inoltre, si dimostrano più un fastidio che non la prova di come il fascino della vita criminale nasconda non poche complicazioni. Un giorno scopri di dover offrire ai clienti alcol di una certa qualità, magari più alta di quella attuale, e il giorno successivo si torna un passo indietro, per poi cambiare ancora al terzo giorno: una giostra impazzita che spinge, come dicevamo, a una continua spesa di denaro per star dietro ai capricci dei residenti (o di alcune celebrità) ma non riesce a farci sentire davvero il senso di crescita e potere.

Neppure troppo a lungo andare, ogni proprietà è diventata soltanto il nome all'interno di una lunga lista dove cliccare e potenziare determinati aspetti, rendendosi identica alle tante altre in nostro possesso. Manca, insomma, quel senso di identità che si dovrebbe percepire nella scalata al potere. Cosa rende unico il nostro impero rispetto agli altri? La profondità promessa, e che volendo si potrebbe ricavare se il gioco valesse la candela (ovvero se non ci fosse un'interfaccia scarsamente intuitiva e coerente), viene meno nell'attimo in cui capisci di essere spinto a giocare in modo aggressivo: un approccio che anestetizza il concetto di gestione, per sua natura ponderato e non esente da rischi. Qui basta soltanto mettere sul piatto sempre più denaro per risolvere ogni questione. Empire of Sin presenta diversi aspetti, eppure l'impressione è che ciascuno di questi sgomiti per imporsi sugli altri senza creare la sinergia invece necessaria affinché tutto funzioni come dovrebbe.

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Un simile discorso si estende al combattimento, che vive di tante ottime premesse per poi risolversi in un nulla di fatto: ogni personaggi lo ha il proprio albero delle abilità, tratti che evolvono o si manifestano in base al suo percorso di vita, slot per le armi o gli equipaggiamenti (che si possono comprare al mercato nero, saccheggiare od ottenere come ricompensa alla fine delle missioni), insomma tutto il necessario per creare un piccolo esercito e, di nuovo illudersi possa condurre a battaglie stuzzicanti ed elaborate. Non succede. Gli scontri sono mal bilanciati a nostro favore, non offrono il giusto livello di sfida anche a causa di un'intelligenza artificiale discutibile, si possono concludere in un batter d'occhio grazie ad abilità la cui potenza è fuori scala e portare così all'ottenimento di equipaggiamenti unici che affossano qualunque pretesa di sfida. L'unica nota interessante è che, potendo a volte prendere piede lungo le strade, un poliziotto di passeggio o semplicemente un altro malavitoso appartenente a un altro clan possono intromettersi.

Per il resto, la tattica viene gettata fuori dalla finestra e tanto varrebbe avere un comando di risoluzione automatica. Non aiuta poi il fatto che abbiamo speso giuste lodi per il comparto narrativo ed evolutivo dei personaggi, per i confronti vis-à-vis con gli altri boss, per i drammi che i subalterni possono portare, ma alla fine se volete ignorare tutto questo e fare irruzione nel quartier generale di un boss per ucciderlo e prendere il controllo della sua fetta di mercato, be', potete farlo. Se i combattimenti fossero stati all'altezza, avremmo anche potuto giustificare questa cosa in virtù del fatto che poteva esserci del serio impegno, così però l'unico vantaggio che ne conviene è arrivare alla fine di una campagna senza incappare nei troppi bug che funestano un'esperienza un po' più ragionata.

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Conclusioni

Multiplayer.it
5.5
Lettori (11)
7.2
Il tuo voto

Empire of Sin è un gioco che cede al peso delle sue stesse ambizioni, ricco di idee che nel loro piccolo sono interessanti ma, alla fine, non riescono a legarsi assieme come dovrebbero. Non c'è una somma delle singole parti quanto una serie di contenuti che spesso finiscono con il darsi fastidio a vicenda. Malfunzionante e sbilanciato per quanto riguarda i combattimenti, tedioso invece nella sua parte gestionale, Empire of Sin esce vincitore solo nella rappresentazione della Chicago anni '20 e in alcuni aspetti narrativi.

PRO

  • Narrativamente ben strutturato
  • I sit down con i boss hanno potenziale
  • Ottima rappresentazione della Chicago anni '20

CONTRO

  • Tante grandi idee, nessuna amalgamata con l'altra
  • Combattimenti sbilanciati, aspetto gestionale tedioso
  • Troppi bug che interferiscono con l'esperienza generale