Nel 2017, Little Nightmares, progetto degli svedesi di Tarsier Studios, dimostrò che era possibile fare horror mescolando la tenerezza di elementi fanciulleschi con le atmosfere opprimenti di un mondo ostile e misterioso. Una favola oscura su una ragazzina in fuga da un'inquietante prigione. Nel 2025, un'altra giovane realtà svedese - The Gang - riparte da qui: una bambina, un luogo che la tiene in ostaggio, un tocco di soprannaturale. C'è però un'idea nuova, pensata per rendere ancora più esplicita e disturbante la tematica di fondo, capace di trasformare la partita a nascondino con gli aguzzini in qualcosa di ancora più agghiacciante. La bambina è non vedente; i suoi (e i nostri) occhi sono quelli di un orsetto di pezza. Ecco Out of Sight.
Nato come progetto finale di un gruppo di studenti della Futuregames Academy di Stoccolma, e subito capace di conquistare l'attenzione dei talent scout di Starbreeze Entertainment - che oggi è publisher del gioco -, Out of Sight eredita molto da Little Nightmares. Tanto per cominciare, è un puzzle adventure che si ispira all'immaginario di Tim Burton e all'universo di Alice nel Paese delle Meraviglie, ribaltando però queste influenze in qualcosa di più oscuro. Sempre con un garbo tale da mantenere il buon gusto, così che le tematiche più forti alla base del videogioco non risultino incomunicabili, ma con un non detto che mette i brividi.
Svezia cita Svezia, quindi, in quest'opera che, nel corso delle quattro ore necessarie a portarla a termine, mette sul piatto diverse idee ben riuscite seppur con qualche piccolo inciampo. A rendere interessante lo svolgimento è soprattutto il brio con cui The Gang presenta i suoi virtuosismi registici, affidati a una telecamera diegetica che passa letteralmente di mano in mano.
Get Out!
Sophie è una bambina non vedente di circa dieci anni. All'inizio, è tutto buio, sentiamo solo la sua voce e quella di un adulto. Una donna, presumibilmente sua madre, che la sta mettendo a letto. Poi succede qualcosa di magico: Sophie ricomincia a vedere, ma non lo fa con i propri occhi, bensì attraverso quelli del suo orsetto di pezza, Teddy. Sembrerebbe l'inizio di una bellissima favola per bambini, ma l'atmosfera cambia rapidamente quando ci guardiamo attorno e notiamo che in camera di Sophie c'è una sedia con delle grosse catene all'altezza dei polsi e delle caviglie. Subito dopo ci accorgiamo che le porte hanno le sbarre e sui muri c'è il segno dei graffi di chi è stato tenuto prigioniero contro la sua volontà. Non ci vuole molto per capire che Sophie è tenuta in ostaggio da qualcuno, e che questa è l'unica occasione che avrà per fuggire di lì.
Non c'è quindi molto tempo per interrogarsi sulla magia che le ha restituito la vista. Sophie afferra Teddy, lo stringe forte al petto, dritto davanti a sé come fosse un obiettivo attraverso cui vede il mondo, e decide di affrontare i pericoli della magione che la tiene prigioniera. Peccato che i suoi aguzzini si accorgano in fretta della sua assenza e decidano di darle la caccia. Mamma Janna è una donna alta e glaciale, con uno stretto chignon e una voce calma e melliflua. Clayton è un enorme maggiordomo calvo e claudicante, che sembra totalmente devoto alla donna. Entrambi vogliono impedire a Sophie di arrivare alla finestra nel solaio, l'unica via di fuga possibile da quella casa. Inizia così una letale partita a nascondino. Sophie si muove rapida tra i passaggi segreti della casa, si infila in ogni pertugio, alla ricerca non solo della libertà, ma anche della verità: perché è lì?
Attraverso gli occhi di un orsetto
Iniziamo da una considerazione non così immediata: è proprio strano controllare un personaggio guardandolo dal punto di vista di qualcun altro. Non è esattamente come se ci fosse un'inquadratura fissa. La sensazione, piuttosto, quando non si ha in mano Teddy, è quella di spiare Sophie. Il brillante stratagemma di Out of Sight è proprio questo: oscillare continuamente tra due tipi di videogioco e due punti di vista. Quando Sophie trasporta Teddy, l'avventura assume una visuale in prima persona, un po' come se l'orsacchiotto fosse i nostri occhi. In questi frangenti la bambina avanza tenendo il bambolotto davanti a sé, e Out of Sight è essenzialmente una sfida fatta di cunicoli, passaggi e nascondigli quando Clayton e mamma Janna sono nei paraggi.
Con le mani occupate, però, Sophie può solo muoversi, non può interagire con nessun altro oggetto. Per farlo, deve momentaneamente posare il suo orsetto in punti ben specifici - segnalati dalla presenza di una copertina rosa - così da avere le mani libere e poter tirare leve, spingere carrelli o collezionare oggetti come interruttori e chiavi. In questi frangenti, la telecamera diventa un punto macchina fisso e possiamo osservare e controllare il modello poligonale della bambina, come in un videogioco in terza persona. Una delle levette analogiche, però, è sempre deputata al controllo di Teddy, permettendoci di spostare leggermente lo sguardo dell'orsacchiotto.
Quando Teddy ci guarda, al sicuro sulla sua copertina rosa, viene fuori la grande ispirazione a Little Nightmares: ci troviamo spesso all'interno di stanze chiuse, e bisogna capire come fare per aprire la porta e proseguire la fuga. Sophie può afferrare e trascinare oggetti come casse e carrelli, da posizionare su pulsanti a pressione, oppure da utilizzare come rialzo per raggiungere piattaforme sopraelevate.
La bimba può inoltre spingere oggetti pesanti per creare ponti e passaggi, stando ben attenta a una cosa: dovrà sempre restare nel campo visivo di Teddy, altrimenti non vedrà con cosa sta interagendo, e dovrà sempre trovare il modo di recuperare il suo orsacchiotto. Capita spesso, infatti, che il pupazzo sia appoggiato su carrelli, ascensori o piattaforme che dobbiamo muovere per scoprire punti di vista alternativi al fine di risolvere i puzzle ambientali del videogioco. Far scivolare Teddy al di là di un muro, oppure sollevarlo fin sopra al soffitto, ci permette di capire i meccanismi che tengono chiuse le porte, per esempio. Oppure di svelare elementi dello scenario che erano nascosti in precedenza. Da questo punto di vista, purtroppo, va segnalata una soluzione poco elegante: Out of Sight indica il percorso da seguire e gli oggetti con cui interagire attraverso l'espediente della vernice gialla. Uno stratagemma che abbiamo trovato spesso nei videogiochi d'avventura e che nel tempo ha decisamente perso di freschezza.
Virtuosismi registici
Proprio come se la bambina portasse con sé una telecamera capace di regalarci un punto di vista inedito, gli spot dove Teddy viene posizionato ci offrono sempre una visuale privilegiata sull'ambiente. Questo aspetto - e in generale tutti i modi in cui viene declinata la trovata della camera a mano - è senz'altro l'idea vincente di Out of Sight. A volte lo sguardo di Teddy cattura nella stessa inquadratura sia Sophie che i suoi inseguitori, coinvolgendoci in tesissime azioni stealth molto ben orchestrate. Altre volte, quando la bimba è messa alle strette, non resta altra soluzione che darsela a gambe. In questi momenti The Gang fa di tutto per rendere gli inseguimenti cinetici, con corse a perdifiato riprese in maniera diegetica da angolazioni sempre diverse: soggettive dell'inseguito o dell'inseguitore, carrellate laterali o frontali, il tutto mentre Teddy passa di mano in mano senza mai perdere il focus sulla scena.
La vista, d'altronde, è il senso fondamentale attraverso cui filtrare tutta l'esperienza (ed è proprio per questo motivo che Out of Sight è giocabile anche in VR). Bisogna prestare attenzione alle luci che si accendono suggerendo il percorso da seguire, ma anche alle trappole che Clayton ha disseminato per la casa. Campanelle che pendono dal soffitto, tagliole per topi, giocattoli che si attivano non appena vengono sfiorati. Se Sophie può contare sulla vista ritrovata, Clayton e Janna si orientano nella casa e verso la bambina grazie all'udito. Fare troppo rumore significa incorrere in un inevitabile game over. Questa lotta tra i sensi si concretizza in diverse sequenze dove chi gioca deve coordinare sia Teddy che Sophie per sgattaiolare alle spalle degli adulti.
Out of Sight dura all'incirca quattro ore, non si dilunga mai eccessivamente sulle meccaniche dei puzzle ambientali, e termina esattamente quando si comincia ad avvertire un certo senso di ripetitività. Grazie a questa sua consapevolezza, resta sempre molto divertente, con una buona tensione di sottofondo che esplode occasionalmente in momenti più adrenalinici. La storia è raccontata attraverso pochi dialoghi e nei testi delle descrizioni di alcuni manufatti, dei collezionabili che è possibile trovare in alcune nicchie della casa. Si tratta perlopiù di giocattoli appartenuti ad altri piccoli prigionieri. Ci raccontano il loro destino, ma anche le motivazioni dei due cattivi della storia. Sempre in maniera delicata, sempre con garbo.
Conclusioni
Out of Sight si regge su un'idea semplice ed efficace: delegare il punto di vista di questo puzzle adventure dalle tinte oscure agli occhi di un orsacchiotto di pezza. Grazie a questa trovata, Sophie, la bambina non vedente protagonista della storia, può ritrovare il suo sguardo, portando con sé quella che diventa una vera e propria telecamera a mano per il videogiocatore. È un espediente narrativo e diegetico sfruttato con intelligenza, sia nelle fasi in cui si risolvono gli enigmi, dove l'orso diventa un punto macchina fisso, sia quando si è impegnati in inseguimenti ipercinetici che guadagnano una fisicità sorprendente proprio grazie allo sguardo del peluche. Una trovata originale che rinfresca il genere e racconta, ancora una volta, una fiaba dark che viene dalla Svezia.
PRO
- L'idea della macchina a mano è geniale e viene sfruttata perfettamente
- La storia è inquietante e delicata
- Giocabile anche in VR
CONTRO
- Il pigro espediente della vernice gialla per indicare il percorso al giocatore
- Alcuni puzzle risultano poco intuitivi nella risoluzione