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Resident Evil 2, la recensione

Prima della recensione del remake di Resident Evil 2, in arrivo a breve, proviamo a recensire il Resident Evil 2 originale, uscito quando Multiplayer.it ancora non esisteva.

RECENSIONE di Simone Tagliaferri   —   21/01/2019

Con il primo Resident Evil (1996) Capcom aveva reso pop quanto sperimentato da Infogrames con Alone in the Dark (1992), mescolandone la struttura e le meccaniche con alcuni elementi del gioco di ruolo horror per NES Sweet Home. Sostanzialmente aveva fatto digerire alle masse e canonizzato il genere dei survival horror, dalle origini comunque molto più remote, rintracciabili in Nostromo (1981) per PET 2001, 3D Monster Maze (1982) per ZX81 e in Haunted House (1982) per Atari 2600 e in Ant Attack (1983) per ZX Spectrum, e che aveva visto sviluppi interessanti in titoli più avanzati come Project Firestart (1989) per Commodore 64, D (1995) per PC, l'oscuro Doctor Hauzer (1994) per 3DO e Clock Tower (1995) per Super Nintendo, tanto per citarne alcuni.

Resident Evil 2, la recensione

Resident Evil 2 fu pubblicato nel 1998 ed era un seguito naturale del primo episodio, di cui sfruttava lo stesso motore grafico, opportunamente migliorato, e di cui ereditava la maggior parte delle meccaniche, calandole però in un'ambientazione più vasta: lì dove Resident Evil era vissuto all'interno della classica magione misteriosa, Resident Evil 2 spostava l'azione nella cittadina limitrofa, Racoon City, due mesi dopo i fatti raccontati nel primo episodio.

Da Resident Evil alla serie Resident Evil

Nonostante il riciclo tecnologico, la lavorazione del gioco fu decisamente travagliata, con il team di sviluppo che aveva perso per strada Tokuro Fujiwara e con il director Shinji Mikami che, dopo aver praticamente azzerato il progetto in polemica con i vertici di Capcom (lui voleva chiudere la serie, loro volevano trasformarla in un franchise, come poi è stato), aveva lasciato il suo posto a un giovane e promettente designer, Hideki Kamiya, per prendere quello di producer. Kamiya, anticipando la sua visione del videogioco che di lì a qualche avrebbe sviluppato appieno con Devil May Cry prima, e i giochi di PlatinumGames poi, iniettò parecchia azione nel gameplay, oltretutto sin dai primi momenti di gioco, rendendolo decisamente più frenetico rispetto alla media dei survival horror dell'epoca, predecessore compreso.

Resident Evil 2, la recensione

Non per niente la prima sequenza ci vede fuggire da alcuni zombi dopo uno spettacolare incidente d'auto, lì dove Resident Evil li introduceva in modo molto più discreto ai suoi misteri. Probabilmente Kamiya si rese conto di dover superare un grosso limite ereditato dal primo capitolo, ossia il fatto che i giocatori ormai fossero coscienti di chi stavano combattendo, la Umbrella Corporation. Non potendo più contare sulla tensione derivata dalla costruzione dello scenario, optò per un approccio meno investigativo e più dinamico, dando maggiore importanza ai nemici in quanto avversari, più che ai misteri che li circondavano. Non che mancassero puzzle, trame e sottotrame, alcune delle quali saranno poi ereditate dai Resident Evil successivi, ma è indubbio che Resident Evil 2 si facesse amare più per trovate come Mr. X e per il focus sulla conservazione di caricatori e risorse varie, accentuato rispetto al primo Resident Evil, che per la storia che raccontava, invero abbastanza scontata. Comunque sia è in Resident Evil 2 che facciamo la conoscenza di personaggi come Leon Scott Kennedy e Claire Redfield, i due protagonisti giocabili, così come di Ada Wong e di Sherry Birkin, che torneranno più volte nella serie.

Gameplay

Proviamo a rigiocare oggi Resident Evil 2. Come già accennato, i primi minuti ci fanno capire senza fraintendimenti la diversa impostazione del gioco rispetto al predecessore, costringendoci immediatamente a scappare dagli zombi che errano per le strade di Racoon City. Il loro numero è soverchiante e le armi di Leon e Claire non bastano per eliminarli tutti.

Resident Evil 2, la recensione

L'unica opzione è la fuga. Il sistema di controllo, rimasto invariato rispetto a quello di Resident Evil, non è ideale per gestire la situazione, con il personaggio che per essere direzionato deve essere fatto ruotare sull'asse X e quindi mosso premendo lo stick in avanti o indietro. Pensato con l'esperienza di un giocatore del 2019 un sistema simile è assurdamente legnoso, ma nel 1998 funzionava abbastanza bene. La comodità rende intolleranti. Comunque sia, la macchinosità dei controlli ha anche una precisa funzione ludica e aggiunge tensione all'intera esperienza, con il giocatore che, limitato dalla goffaggine dei personaggi, finisce per percepire le singole minacce come maggiori di quanto in realtà non siano. L'esperienza survival vera e propria inizia una volta entrati nella centrale di polizia, dove si presentano puzzle più canonici, si inizia a comprendere la situazione e si è costretti ad affrontare un'ordalia di zombi. L'impostazione rimane identica quella vista nel capitolo precedente, con le aree di gioco prerenderizzate mostrate attraverso inquadrature fisse dal taglio squisitamente cinematografico e i personaggi 3D che si muovono al loro interno seguendone la morfologia. Attualmente è difficile trovare titoli simili, soprattutto tra le produzioni maggiori, ma all'epoca il modello Alone in the Dark era amatissimo, per via delle possibilità che dava in termini di racconto e di gestione dell'esperienza del giocatore, con le inquadrature che venivano utilizzate per produrre diversi effetti drammatici. Prendete ad esempio la sequenza dei corvi, ricalcata su quella dei cani del primo Resident Evil, la cui tensione si giocava tutta sul cambio di inquadrature e sulle azioni fuoricampo che generavano. Il sistema di combattimento è davvero elementare: con un tasto il personaggio punta l'arma davanti a sé, e con un altro spara. Volendo si può alzare o abbassare la mira con lo stick di sinistra, ma è davvero tutto qui. Più che colpire gli zombi, l'importante è imparare a razionare le munizioni, sparando solo quando strettamente necessario, altrimenti si finisce a dover puntare sul solo coltello. Come nel primo capitolo, in caso si venga feriti si possono consumare le classiche erbe curative che si trovano in giro per i livelli, mentre se si vuole salvare bisogna ricorrere alle macchine da scrivere. I puzzle sono essenzialmente di due tipi: ci sono quelli basati sul ritrovamento di oggetti specifici, come chiavi o documenti, e quelli meccanici, come ad esempio il puzzle delle librerie. La mappa di gioco è più grande e varia di quella del primo Resident Evil, che però usava più intensamente alcuni luoghi, essendo l'ambientazione più chiusa. In Resident Evil 2 alcune aree si superano essenzialmente correndo, così da non sprecare proiettili, limitando l'attenzione dedicatagli dal giocatore.

Resident Evil 2, la recensione

Più curato anche il rapporto tra i personaggi principali, con Leon e Claire che si incrociano in diverse occasioni, dando vita a un racconto più articolato di quello del primo capitolo, arricchito anche da spettacolari sequenze filmate. Dal punto di vista tecnico è evidente il maggior budget investito nello sviluppo, sia per la già citata ampiezza della mappa, sia per il gran numero di sequenze FMV, sia per l'utilizzo più diffuso di animazioni negli scenari. A pagare un po' la grandeur dovuta al successo è l'atmosfera, meno tesa di quella del primo Resident Evil e soccombente di fronte ad alcuni dei concorrenti diretti, come Silent Hill, uscito solo pochi mesi più tardi. La sostanza è che per lunghi tratti Resident Evil 2 è più un action survival con zombi che un survival horror vero e proprio, nonostante nel 1998 certe distinzioni avevano poco senso. La nuova natura della serie sarà comunque chiarita negli episodi successivi, in particolare dal capolavoro Resident Evil 4, con il paradosso del ritorno alle origini horror avvenuto solo con il settimo capitolo. Ma questa, come si suol dire, è un'altra storia.

Conclusioni

Multiplayer.it
8.0
Lettori (307)
9.5
Il tuo voto

Resident Evil 2 inventò poco o nulla, ma ebbe sicuramente il merito di prendere la formula di Resident Evil e ampliarne il pubblico, trasformando oltretutto un'esperienza isolata in un franchise che ancora oggi produce frutti. Il sistema di controllo lo rende poco digeribile dal pubblico moderno, ma è comunque un titolo da conoscere per i suoi meriti e per cosa ha significato per la saga stessa. Oltretutto ha alcuni momenti che risultano ancora notevoli e che non fanno rimpiangere le ore spese in gioco.

PRO

  • Alcuni momenti sono ancora molto validi
  • È il punto di partenza dell'evoluzione della serie in franchise

CONTRO

  • Perse un po' di atmosfera rispetto al primo capitolo
  • Ovviamente giocato oggi ha dei limiti