Un videogame è un'amalgama di innumerevoli ingredienti, spesso miscelati in modo certosino, ma ancor più di frequente buttati in pentola un po' a casaccio nella speranza che il sapore finale non risulti un'indegna oscenità. E tra i mille elementi che compongono un'opera di questo tipo molti saltano immediatamente all'occhio, come le animazioni, le musiche, o semplicemente i modelli poligonali. Quasi nessuno, però, tende a ricordarsi di una componente a dir poco fondamentale in una miriade di titoli: i post it.
No, non abbiamo perso il senno, i foglietti colorati sono realmente una delle colonne portanti del design in svariati generi, specialmente quando si parla di videogiochi dotati di storie e meccaniche complesse. Gran parte dei team di sviluppo basano l'intero planning su fogli di carta appiccicati un po' ovunque, dove vengono elencati e disegnati schemi, personaggi, quest, soluzioni di gameplay e un'infinità di altri dati poi utilizzati dagli sviluppatori come modello per dare forma al loro pargolo.
Il buon Yoko Taro - che nel mondo dello sviluppo bazzica da parecchio e questo "segreto" lo ben conosce, avendo sviluppato giochi del calibro di NieR: Automata - ha quindi avuto un'idea tanto semplice quanto brillante: creare un gioco composto completamente da foglietti, anzi, carte. È dunque venuto alla luce Voice of Cards: The Isle Dragon Roars, una sorta di progetto "laterale" a basso costo, forte della nomea ormai conquistata dall'autore con la serie Nier.
Noi, ovviamente, lo abbiamo spolpato, cercando di capire se potesse trattarsi di una di quelle perle nascoste che questo bizzarro autore è solito sfornare. La risposta, ahinoi, stavolta è no, ma il fatto che non si tratti di un capolavoro non significa necessariamente che non sia un JRPG degno di essere giocato.
Scopriamo il perché nella recensione di Voice of Cards: The Isle Dragon Roars.
Narrativa: un'oscurità non troppo nascosta
Voice of Cards è, prevedibilmente, un gioco di ruolo e la cosa è quanto mai naturale se si considera che il genere viene proprio dal cartaceo. L'opera di Square Enix non è però una sorta di trasposizione nipponica di Dungeons & Dragons: si tratta in realtà di un JRPG a turni dotato di meccaniche estremamente classiche, dove le carte rappresentano più una soluzione stilistica che un effettivo elemento di gameplay, seppur la loro presenza abbia in effetti permesso qualche curiosa sperimentazione.
Ci torneremo a breve, perché in tutta sincerità - vista la testa coronata coinvolta nella stesura della storia - la narrativa è il tema che più di ogni altro vale la pena trattare in questa recensione e ci teniamo a precisare subito una cosa a riguardo: la mano di Yoko Taro si nota immediatamente, se si conoscono i suoi lavori.
Il mondo di Voice of Cards sembra a una prima occhiata un fantasy classico piuttosto scialbo, che parte addirittura mettendovi nei panni di un gruppetto di avventurieri divisi per classe, solo per poi introdurre il vero protagonista dell'avventura con un colpo di coda e mettervi alla banalissima ricerca di un pericoloso drago. Bastano però pochi minuti per rendersi conto che qualcosa non torna: dietro a ogni dialogo e vicenda si cela sempre una costante inquietudine e si coglie subito che il mondo esplorato nel gioco è in realtà estremamente più oscuro e violento di quanto appaia.
C'è solo un piccolo problema: stavolta Yoko Taro è inciampato nei suoi stessi stilemi e persino lo "shock factor" per cui è amato e apprezzato da un gran numero di fan in Voice of Cards si è fatto piuttosto prevedibile. Con questo non vogliamo dire che il gioco abbia una storia trascurabile o mal gestita - le vicende del protagonista, Marren (anche se è rinominabile), e dei suoi coloriti compagni sono assolutamente interessanti, scorrono alla grande e non mancano di momenti forti resi con una discreta maestria - ma nel complesso si tratta di una delle trame più prevedibili mai scritte dall'autore e né la caratterizzazione dei personaggi, né il worldbuilding vengono aiutati dalla durata abbastanza misera della campagna, che è completabile in meno di dieci ore senza troppe difficoltà. Considerando il numero di eventi e personaggi coinvolti, purtroppo, non basta a dettagliare a sufficienza l'universo di gioco. È un peccato, perché il potenziale per qualcosa di più particolareggiato c'era eccome. Anche voci dedicate per i personaggi sarebbero state un extra gradito e invece si è optato (forse proprio per limitare ulteriormente i costi) per un singolo narratore che racconta il tutto come se fosse una grossa fiaba fantasy.
A tutto ciò si aggiunte l'annoso problema della localizzazione, dato che abbiamo a che fare con l'ennesimo adattamento italiano che ha la tendenza a differire da quello inglese. I casi qui sono due: o ci si è basati direttamente sulla versione giapponese, oppure sono state prese delle libertà. Non potendo fare una comparazione diretta con il testo nipponico, stavolta crediamo che l'opzione giusta sia la prima, dato che le vicende sono spiegate spesso in modo più chiaro nella nostra lingua rispetto a quanto detto dalla voce del narratore; qualche errore qua e là, però, si nota. Nel complesso? Narrativa promossa, seppur dalla penna di Yoko Taro ci aspettassimo comprensibilmente qualcosa di più.
Gameplay: carte e dadi, quindi il solito.
All'inizio del precedente paragrafo abbiamo parlato dell'uso delle carte come scelta prevalentemente stilistica ed è il caso di entrare più nel dettaglio, perché ad una prima occhiata Voice of Cards potrebbe sembrare un GDR sperimentale con meccaniche basate interamente sulla costruzione di mazzi di abilità (come se ne sono visti parecchi di recente), o un semplice titolo ibridato con i card game. Non è così e l'opera di Taro è costruita sulla più classica delle strutture da JRPG: il proprio eroe vaga per delle grosse mappe alla ricerca di obiettivi e centri cittadini, portando avanti una trama lineare e incontrando compagni che si uniscono alla sua missione. Le carte, semplicemente, rappresentano l'interno mondo di gioco: tutte le mappe sono insiemi di carte da girare muovendo il proprio "segnalino" nelle vicinanze, le abilità sono a loro volta cartoncini che vengono sbloccati salendo di livello in modo classico e ogni altra cosa, dagli attacchi ai nemici, funziona come nei JRPG comuni, senza particolari smottamenti.
La stessa cosa vale per le cittadine e i dungeon che si visitano: nelle prime non mancano negozi di oggetti, armi e armature, o ostelli dove curarsi (il recupero dei punti vita non è automatico ma richiede di riposarsi o di usare pozioni), mentre nei secondi - e nella mappa globale - dopo un tot di passi aumenta il rischio di incontrare mostri secondo la classica regola degli incontri casuali. Gli unici elementi distintivi di Voice of Cards, in parole povere, sono l'esplorazione e qualche interessante (ma rara) variazione meccanica legata, appunto alle carte.
Come accennato, infatti, le carte nelle mappe sono oscurate, e vanno svelate avvicinandosi. Il movimento peraltro è a turni e si limita a spostamenti secchi, ma è possibile tornare a qualunque carta già girata all'istante - cosa che velocizza alla grande il backtracking o il ritorno in certe zone per il completamento delle quest. È proprio tale natura cadenzata dell'avanzamento a donare al gioco una struttura abbastanza unica, perché ogni tanto durante l'avventura si incontrano zone dove il "teletrasporto" immediato alle carte già svelate viene limitato (o si hanno a disposizione un numero preciso di spostamenti sulla mappa), eventi inaspettati con scelte multiple, e situazioni dove diventa necessario osservare con furbizia carte passate a gran velocità davanti allo schermo. Sono espedienti degni di lode, tuttavia a nostro parere gli sviluppatori non si sono impegnati eccessivamente nel tentativo di sfruttare al meglio la curiosa natura della loro opera e non mancavano certo i modi per ottenere qualcosa di più memorabile.
Dal canto loro, le battaglie sono risultate più che degne: sono anch'esse a turni con mosse selezionabili (se ne possono equipaggiare solo quattro per personaggio, con tre personaggi attivi per volta) e alcune di queste richiedono gemme che si ricaricano ad ogni turno per venir utilizzate. Il sistema è immediato, funzionale, e ha un livello di difficoltà calcolato degnamente, che non ci ha mai impegnato sul serio ma non può nemmeno venir del tutto sottovalutato (avanzate evitando battaglie a raffica e senza potenziare a dovere l'equipaggiamento, e a un certo punto i nemici vi faranno a pezzi). C'è pure un minigame aggiuntivo (con le carte, chiaramente) con ricompense per lo più estetiche, ma nel complesso lo abbiamo trovato un po' troppo legato al caso per risultare davvero apprezzabile.
Struttura e comparto tecnico: breve ma intenso
Il punto debole principale del progetto, con ogni probabilità, risiede proprio nella durata. Una decina di ore per completare la campagna sono oggettivamente poche e, se da una parte è vero che limitano in modo significativo il tedio di alcuni dei dungeon avanzati - che sono per lo più dei piani abbastanza ripetitivi ricchi di mostri, passaggi ovvi e tesori più o meno nascosti - la storia e la gestione piuttosto furba del movimento e del combattimento sono riusciti a non farci mai venir a noia l'esperienza. Detto ciò, la scelta (tipica) di Taro di inserire dei contenuti extra legati a una seconda partita una volta completata l'avventura (oltre alla solita presenza di finali multipli) ci è parsa stavolta un po' forzata, nonostante arrivare a tali extra sia estremamente più veloce al secondo tentativo (ci vogliono circa un paio di ore al massimo a tornare alla fine del titolo).
Piacevole, invece, la presenza di carte "segrete" legate ad uno di questi epiloghi sparse per il gioco, e di numerose storie sbloccabili legate a mostri e personaggi che spingono al completismo. Parlando proprio di questo, tenete a mente che il JRPG di cui stiamo parlando potrebbe essere un vero incubo per chi soffre di disturbo ossessivo compulsivo: girare ogni carta diventerà praticamente una droga e allungherà notevolmente il vostro tempo di gioco (mettendovi davanti a un oceano di nemici casuali), vi abbiamo avvertito.
E dal punto di vista tecnico e sonoro? Beh, le musiche sono di Okabe, che proprio come Taro a sua volta non ci è sembrato al massimo della forma, ma dato il suo enorme talento è stato comunque capace di sfornare una manciata di temi che vi si insinueranno nella mente con una facilità quasi imbarazzante, mai inadatti o spiacevoli da ascoltare. Il resto del titolo invece, è puramente basato su disegni statici, in generale di alta qualità e con uno stile che ben si sposa alla dualità dell'universo di gioco. Buona poi anche la voce del narratore, che non abbiamo mai trovato irritante (seppur quella inglese abbia una tonalità quasi svogliata a volte). Square Enix non ha investito molto denaro nel progetto, ma nel suo piccolo è chiaramente molto curato.
Conclusioni
Voice of Cards: The Isle Dragon Roars è chiaramente un progetto minore e indubbiamente non si tratta di una delle opere più indimenticabili di Taro, ma nel complesso è un piccolo JRPG molto curato e piacevole, con una narrativa comunque in grado di tenere incollato il giocatore allo schermo, meccaniche intuitive e solide, e qualche trovata interessante capace di distinguerlo in parte dalla massa. Non dura molto (pochissimo se si considera il genere di appartenenza) ma vale la pena giocarlo, specialmente se si considera il suo prezzo ridotto. Seppur tutto funzioni più che degnamente, ad ogni modo, è difficile non considerarlo un'occasione sprecata: il suo mondo e i suoi personaggi meritavano a nostro parere più tempo.
PRO
- Narrativa dark piacevole e personaggi validi
- Meccaniche solide, seppur più classiche del previsto
- Le musiche di Okabe sono sempre splendide, anche quando non è al suo meglio
- Prezzo ridotto
CONTRO
- Durata scarsa per un JRPG
- Si tratta forse della storia più prevedibile e "semplice" di Yoko Taro
- Si poteva sicuramente sperimentare di più con le meccaniche