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Giochi con qualcosa da dire

Scopriamo insieme dieci giochi capaci di andare oltre la concezione tradizionale di videogioco

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   13/04/2014

Scrivendo questo speciale ci siamo trovati di fronte a un compito non facile. Il problema non è stato tanto reperire materiale per scriverlo, in realtà moltissimo, quanto portare alle estreme conseguenze il concetto che vorrebbe esprimere. Dovendo definire i "giochi che hanno qualcosa da dire" ci siamo trovati in grande difficoltà, perché... è immensamente difficile trovare titoli che non abbiano nulla da dire. Dopo giorni passati a cercare una definizione quantomeno soddisfacente per rendere comprensibile l'oggetto di questo speciale, ci siamo arresi di fronte all'indeterminatezza della materia trattata e abbiamo ribaltato completamente la questione.

Giochi con qualcosa da dire

Un videogioco (o un film, o un libro, o un quadro, o un qualsiasi altro manufatto umano) non ha nulla da dire se non gli si pongono le giuste domande, ma contemporaneamente, di fronte agli stessi interrogativi, sono pochi quelli che possono fornire risposte interessanti. Ecco, diciamo allora che qui troverete dieci opere che forniscono risposte non banali a domande che cercano di esplorarli oltre la loro funzione di mezzo di intrattenimento, funzione nobilissima ma non certo esaustiva del medium videoludico come molti vorrebbero o, peggio, pretenderebbero. Perché l'incanto di Flower ha qualcosa in comune con il sistema morale di Ultima IV, ma anche con la meta narrazione di The Stanley Parable, tutti titoli che cercano di portare i videogiochi oltre la loro natura matematica, per consegnarli al regno dell'estetica. Tante belle parole non ci devono però far dimenticare le altre difficoltà che abbiamo dovuto affrontare prima della stesura del testo. La più grossa è stata dover scegliere. Purtroppo la vita richiede sempre di prendere delle decisioni gravose e sappiamo altrettanto bene che per un argomento del genere non esiste alcuna scelta giusta. Nostro malgrado siamo stati costretti a tenere fuori titoli che amiamo e che avrebbero meritato un posto nella decina, per questo riteniamo importante illustrare velocemente i criteri che abbiamo seguito. Il primo è stato non scegliere più di un titolo per autore/software house.

Giochi con qualcosa da dire

Abbiamo pensato a lungo su chi includere tra Ico e Shadow of the Colossuss, così come tra Flower e Journey, ma alla fine non potevamo rischiare l'effetto monografia. Il secondo criterio è stato più semplice da seguire, anche se ci ha comportato altrettanta sofferenza: abbiamo scartato tutti i giochi di cui già abbiamo parlato nello speciale della settimana scorsa, dedicato ad alcuni dei finali più significativi della storia dei videogiochi (link). Praticamente quasi tutti i titoli trattati in quell'articolo sarebbero stati adatti anche a questo speciale, ma rischiavamo si creasse una sovrapposizione visto il poco tempo intercorso tra l'uno e l'altro, quindi abbiamo dato un taglio netto. Infine, visto che la lista di candidati papabili rimaneva decisamente lunga e a noi servivano solo dieci nomi, abbiamo usato un criterio infallibile: le nostre preferenze personali. Vi sia chiaro che un articolo del genere non ha nessuna pretesa di oggettività, se non nel considerare i titoli inseriti come adatti al discorso di fondo che si è provato a costruire. Vi sia anche chiaro che i videogiochi hanno quarant'anni di storia e che nel tempo ne sono stati pubblicati decine di migliaia: di fatto è impossibile averli giocati tutti quanti. Ergo: qualcosa ci sarà sfuggito, qualche aspetto della faccenda sarà stato sorvolato e il vostro gioco preferito sarà stato sicuramente snobbato. Pazienza. Purtroppo è nella natura delle cose che sia andata così... di nostro possiamo solo sperare che ciò che abbiamo incluso sia di vostro gradimento e che vi faccia riflettere anche su titoli che magari non pensavate di vedere qui dentro.

Scopriamo insieme dieci giochi capaci di andare oltre la concezione tradizionale di videogioco

Another World – La sintesi del linguaggio

Another World di Eric Chahi è un gioco sul linguaggio. Lo scienziato protagonista si ritrova su un pianeta alieno dove non conosce nulla. Sfuggito all'attacco di una bestia, tenta di comunicare con un alieno che lo stordisce mettendolo in gabbia. Da prigioniero, l'uomo fa la conoscenza di un altro indigeno che condivide il suo stesso destino di prigionia. Dopo una fuga rocambolesca, i due vivono un'avventura parallela fatta di una profonda intesa nata dalla necessita e alimentata da gesti semplici e auto esplicativi. Ne deriva un'amicizia profonda che non ha bisogno di parole per esprimersi, tutta basata su un rapporto di fiducia reciproca alimentato dalle pieghe della trama, che porterà al bellissimo finale, in cui l'alieno salva la vita all'umano, stremato da una caduta rovinosa e minacciato da uno degli inseguitori, portandolo con sé chissà dove, chissà perché. Probabilmente giochi come Ico o Limbo oggi non esisterebbero se non ci fosse stato Another World con il suo linguaggio asciutto e la sua capacità di raccontare sentimenti profondissimi, senza sprecare una singola riga di testo.
Se volete approfondire: Link

Flower – La ricerca della pura contemplazione

Flower di thatgamecompany inizia con l'immagine notturna di una città sferzata dalle luci delle automobili che corrono lungo una strada trafficatissima. La telecamera virtuale zooma all'indietro e si allontana della scena, fino allo stacco che ci porta su un prato dove un fiore perde il suo primo petalo. Arriva quindi un soffio di vento ed è l'inizio di una vorticosa danza, che fonda la sua bellezza sul contrasto tra la frenesia del quadro iniziale e la statica bellezza della rappresentazione naturale, in cui il vento crea splendide scie di petali dai magnifici colori, tanto più belli per il loro stagliarsi sull'azzurro del cielo e sul verde del prato. Non c'è molto da fare, ma poco importa. L'obiettivo è la contemplazione, come se ci si trovasse ad ammirare una pittura giapponese, o si fosse rimasti stregati di fronte a uno spettacolo improvviso. Flower è ricerca del piacere del bello al di là della funzione ludica del videogioco. Non lo si può apprezzare se non si è disposti a spogliarsi di certi costrutti dell'abitudine. Anche questa è la sua grandezza.
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Ico – Luce e ombra

Ico, ancora bambino, viene confinato in un castello per via delle sue corna, lette dagli abitanti del suo villaggio come un presagio di sventura. Immerso nella solitudine e nella morte, incontra e libera Yorda, ragazza misteriosa dotata di strani poteri, che sembra conoscere il luogo in cui si trovano. Il capolavoro di Fumito Ueda vive tutto sul rapporto di amicizia tra i due personaggi, con Ico che si erge a difensore di Yorda e che deciderà di aiutarla rischiando la sua vita. Ico è una favola delicata, che vive di una bellezza tutta incentrata sulla dicotomia luce/ombra. La sua grandezza risiede proprio nella sua asciuttezza rappresentativa, che procede per sottrazione rispetto a titoli dello stesso genere dell'epoca, alla ricerca di un minimalismo dei sentimenti che permetta di farne esplodere la grandezza sullo schermo attraverso gesti semplici e sentiti. In quale altro gioco un cocomero offerto a una ragazzina è stato capace di commuovere così tanto?
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The Cat Lady – Dentro la depressione

La seconda avventura grafica di Remigiusz Michalski è di quelle che lasciano il segno. Si tratta di uno dei tentativi più riusciti degli ultimi anni di raccontare attraverso il videogioco temi fondamentali come il significato della vita, il desiderio di morte, la depressione, la malattia e la solitudine, il tutto sulla pelle della protagonista, Susan Ashworth, e di una sua compagna di viaggio che ridarà un senso alla sua esistenza. The Cat Lady è un titolo crudo, connotato da una forza espressiva imponente, che si manifesta nello stile grafico e nella capacità dell'autore di non avere pietà per il giocatore, messo sempre di fronte ai risvolti più duri delle sue azioni. Si tratta di un viaggio in un incubo realistico, pur puntellato da sequenze oniriche che non rendono mai chiaro se ci si trovi dentro o fuori dal mondo dei sogni, opprimente proprio per la sua materialità. Sicuramente non è adatto a tutti, proprio per i temi trattati, ma altrettanto sicuramente è un'esperienza da fare, di quelle capaci di ridefinire la propria concezione dei videogiochi.
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Syberia – Il risveglio nei sogni

L'avventura grafica Syberia di Benoit Sokal lega due personaggi apparentemente lontanissimi tra loro. Kate Walker è un'avvocatessa di New York incaricata di occuparsi della cessione dell'eredità di Anna Voralberg, di cui assiste allo strano funerale. All'inizio dell'avventura scopre che esiste ancora un erede, Hans Voralberg, di cui parte alla ricerca a bordo di uno strano treno per concludere l'affare. Il viaggio si trasformerà presto in qualcos'altro, con Kate che entrerà in contatto con il mondo plasmato dai sogni di Hans, che inizierà piano a piano a fare suoi. Nel corso dell'avventura Kate si risveglierà, capendo la vacua inutilità della sua vita precedente, e sfonderà la gelida prigione in cui era rinchiusa. Syberia è un titolo poetico e compiuto, sia a livello narrativo che estetico, che racconta una storia allegorica semplice, ma profonda, mettendo in scena la voglia di libertà degli esseri umani che possono trovare se stessi solo nei sogni di un pazzo. Inoltre non esitiamo a definire Kate Walker uno dei personaggi femminili più belli della storia dei videogiochi, capace di andare ben oltre il mediocre e volgare modello di donna che molti titoli ci hanno proposto negli anni.
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Amnesia: A Machine for Pigs – Il modello sociale

Amnesia: A Machine for Pigs di The Chinese Room è il seguito ideale di Dear Esther, più che del primo Amnesia. Molti si aspettavano un'opera che seguisse la scia del titolo di Frictional e per questo sono rimasti delusi. Più basato sull'atmosfera e la tensione emotiva che sullo spavento in senso stretto, A Machine for Pigs conduce il giocatore lungo un percorso che va dalla follia individuale a quella collettiva, dove un sogno utopico si trasforma in crudeltà e dove non c'è redenzione, nemmeno dopo la morte. Gli esseri umani sono solo degli ammassi di carne, simili a maiali, vittime di una macchina così grande da essere praticamente invisibile? L'unico modo per salvarli è soggiogarli, facendone emergere la vera natura, e sterminarli, prima che lo facciano essi stessi? La fondazione di un'utopia richiede sacrifici e l'amnesia diventa l'unico modo per scappare da sé, per rimuovere quello che si è diventati. Sono pochi i videogiochi che hanno spinto la riflessione sull'essere umano verso gli stessi abissi toccati da A Machine for Pigs, abissi che non ammettono nessuna forma di salvezza o consolazione. Certo, se cercate solo un gioco che ogni tanto faccia "bù", lasciatelo perdere.
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The Path – La perdita dell’innocenza

Il duo dei Tale of Tales è da sempre attivo nell'uso del videogioco come strumento d'arte. Tutta la loro produzione ruota intorno al desiderio di andare oltre certi schemi mentali imposti dall'industria, proponendo qualcosa di completamente diverso. La più "ludica" delle loro opere è sicuramente The Path, avventura horror in cui si vestono i panni di sei ragazze di età differente che, seguendo le orme di moderne Cappuccetto Rosso, devono raggiungere la casa della nonna dall'altra parte del bosco. C'è però qualcosa di strano in come viene raccontata la favola, perché l'unico modo per viverla veramente è perdersi volontariamente nel bosco, dove il lupo è in agguato. Parabola della crescita e della perdita dell'innocenza, The Path raccoglie l'eredità delle avventure dell'orrore per trasformarsi in un'esplorazione psicologica, vissuta attraverso diverse fasi della vita. Sei donne, che in realtà sono una donna sola, possono crescere solo accettando di affrontare l'ignoto e il fatto che è impossibile raggiungere la verità seguendo la via sicura che conduce alla casa della nonna. Per vivere bisogna inoltrarsi nell'oscurità.
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The Stanley Parable – Libertà apparente

The Stanley Parable è l'espressione più esplicita del concetto di metà-videogioco. In apparenza è moltissime cose, ma in realtà non ne è nessuna. Ha molti finali, ma non finisce mai, perché gira intorno trasformandosi continuamente. Giocandoci si è costretti a chiedersi non solo dove si stia andando, ma anche il senso di quello che si sta facendo. Si tratta di un gioco di raccordi surreali in cui quello che avviene sullo schermo è sempre metafora di qualcos'altro. Stanley viaggia con leggerezza dal suo ufficio vuoto fino ai misteri più profondi della sua esistenza, che in quanto personaggio videoludico corrispondono a una riflessione particolareggiata dell'atto stesso del videogiocare. La sua parabola non si concluderà mai, se non nella presa di coscienza della futilità delle scelte che viene chiamato a compiere, ossia di come ogni sua decisione sia in realtà possibile solo perché qualcuno ha scelto che debba esserlo, in un mondo in cui anche la libertà non è altro che un fondale di pixel, che si staglia su un orizzonte oltre cui non c'è assolutamente niente.
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Pathologic – Il mondo come un grande teatro

Pathologic dei russi Ice-Pick Lodge è un titolo spigoloso e pieno di difetti, ma non per questo meno affascinante. La sua grandezza espressiva risiede nel modo di concepire il mondo di gioco come un immenso teatro in cui le cose accadono a prescindere dal giocatore, chiamato a cercare di assistere agli eventi per poter comprendere i numerosi collegamenti che formano la trama. Inizialmente è davvero spiazzante, ma non ci vuole molto a ritrovarsi immersi in questa messa in scena della commedia umana, dove niente è ciò che sembra e dove il senso della realtà è determinato dalle relazioni tra le persone e le cose. Oggetto misterioso e criptico, Pathologic è un fiume di dialoghi e personaggi che vivono in una città al collasso, immersa in una stasi perenne, da cui si potrà uscire solo dopo un lungo penare e peregrinare che condurrà allo scioccante finale. Molti hanno iniziato ad amare lo sviluppatore russo dopo aver provato questo gioco. Altri non ne hanno più voluto sapere nulla.
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Ultima IV: Quest of the Avatar – La necessità di un’etica

Se amate i videogiochi dovrebbe esservi chiara l'importanza chiave di Ultima IV: Quest of the Avatar (1985) nella loro storia. L'introduzione di un sistema etico intorno al quale far girare le azioni del protagonista non fu una novità da poco. A parte le nuove possibilità ludiche che introduceva, determinò tutta una serie di domande che ritroveremo intatte in molti suoi epigoni. Un sistema etico presuppone un modello di riferimento con cui confrontare le azioni compiute dal giocatore. Le virtù di Ultima IV erano ispirate al modello cavalleresco medievale ed erano accettate da tutta la società schematizzata nel gioco, che giudicava in base ad esse. Di fatto, però, erano un'imposizione, ossia il giocatore non poteva scegliere quali azioni erano giuste e quali erano sbagliate, ma doveva di fatto subire un'etica che poteva anche non condividere. Rappresentare una visione etica, per quanto semplicistica come quella di Ultima IV, significa dover ragionare sulla società e su chi si deve rapportare ad essa. Da allora sono stati in molti ad affrontare lo stesso problema, ma in pochi hanno fatto passi avanti rispetto all'opera di Garriott, se non nei termini di raffinare il ragionamento intorno ad esso (basta vedere titoli come Deus Ex: Human Revolution o Fable, che partono tutti da quella radice). In fondo non c'è da lamentarsi, visto che la filosofia ha le stesse difficoltà da più di duemila anni.
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