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Invasione aliena

Nello spazio nessuno può sentirti urlare, ma sul divano di casa? Dal primo gioco per Atari 2600 fino a Isolation, ripercorriamo la storia della saga di Alien

SPECIALE di Massimo Reina   —   09/10/2014

Quello dell'incontro ravvicinato con delle creature ostili provenienti da altri mondi è stata per anni, e forse lo è tutt'ora per alcuni, una delle paure più diffuse nell'immaginario collettivo umano. Basti pensare per esempio al panico scatenato dalla "realistica" cronaca di un'invasione aliena che Orson Welles fece alla radio CBS nel 1938, ispirandosi a La guerra dei Mondi di Herbert George Wells. O, ancora, alla miriade di romanzi, fumetti e film dedicati all'argomento. Il tema della minaccia aliena, infatti, è stata trattata in decine di opere fantascientifiche, e in secoli di storia, di creature provenienti da ogni angolo dell'universo, su carta, a voce o celluloide, ne abbiamo "viste" davvero di ogni forma e colore. Ma c'è n'è una che probabilmente più di ogni altra ha saputo rappresentare al meglio, visivamente, il terrore suscitato dal mostro proveniente dallo spazio profondo, e con l'imminente arrivo di un nuovo gioco che la vedrà protagonista abbiamo pensato di renderle omaggio ripercorrendone la storia videoludica.

Dal primo gioco per Atari 2600 fino al recente Isolation, ripercorriamo la storia della saga di Alien

Nello spazio nessuno può sentirti urlare

Il 25 maggio del 1979 è una data molto importante per gli appassionati di cinema di fantascienza. Proprio quel giorno arrivava nelle sale una pellicola destinata a lasciare un segno profondo nella storia della cinematografia di genere e nella cultura popolare. Diretto dal regista Ridley Scott e con protagonista l'attrice Sigourney Weaver nei panni del tenente Ellen Ripley, Alien avrebbe infatti conquistato in breve tempo critica e pubblico, incassando al box office una cifra vicina ai 204 milioni di dollari. Il film, appartenente al sottogenere del fanta-horror, raccontava del terrificante incontro fra l'equipaggio dell'astronave da trasporto Nostromo, e un'entità aliena parassitaria estremamente aggressiva.

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La creatura, ideata dall'artista surrealista svizzero Hans Rudolf Giger partendo da un artwork realizzato per il suo libro di illustrazioni Necronomicon IV, e resa "viva" sullo schermo insieme a Carlo Rambaldi (i due vinceranno per questo lavoro l'Oscar ai migliori effetti speciali), divenne fin da subito un autentico personaggio, guadagnandosi le copertine di diverse riviste internazionali. Il merito del successo della pellicola fu certamente da ascrivere in buona parte proprio al mostro dal sangue acido. Come già per Lo squalo di Spielberg e il mare, il cinema riuscì con lui a cambiare l'immaginario collettivo in rapporto all'uomo e allo spazio profondo, nonché alle sue paure più recondite di essere vittima di un'aggressione, addirittura aliena. Dalla sua nascita, al modo stesso in cui l'embrione veniva impiantato nel corpo della vittima, fino alla forma fallica della testa allungata della creatura, tutto sembrò profilarsi ad una attenta analisi come una sorta di allegoria dello stupro. Un groviglio di simboli e metafore sessuali che aggredivano lo spettatore investendolo nelle corde più profonde del pensiero e dell'inconscio. Al resto pensarono la protagonista e una regia ben congegnata, che riprendeva la formula tipica dei film di fantasmi, trasportandola a bordo di una nave stellare, coi suoi ambienti angoscianti dove il personale cadeva vittima degli assalti furtivi e letali dell'alieno.

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L'addome della nave col suo soffocante dedalo di corridoi vaporosi e umidi sostituiva di fatto quelli impregnati dalle ragnatele delle ville infestate, mentre la creatura xenomorfa impersonava la figura dello spettro assassino. Il trionfo ai botteghini finì inevitabilmente per attirare le attenzioni dell'allora fiorente industria dei videogiochi. La convergenza fra intrattenimento elettronico e altri linguaggi iniziava proprio in quel periodo a trovare sempre più spazio sul mercato, e i cosiddetti tie-in, cioè opere commerciali tratte da altri lavori di intrattenimento, cominciavano a diventare sempre più realtà prendendo forma in giochi come l'arcade Death Race del 1976, o Star Trek: Phaser Strike del 1979 per Microvision. Il primo videogioco ispirato alla pellicola di Alien arrivò però solo nel 1982, su Atari 2600. Ma l'Alien dell'allora neonato team di sviluppo Fox Video Games, che anni dopo sarebbe diventato Fox Interactive, non aveva quasi nulla da spartire con il mondo immaginato da Ronald Shusett e dallo scrittore Dan O'Bannon. Il titolo era infatti di poche pretese, praticamente un clone di Pac-Man. Solo che al posto della famosa pallina gialla di Namco c'era un umano dalla forma stilizzata, e al posto dei fantasmini tre alieni di colore rosa, blu e giallo, che somigliavano ad Audrey II, la pianta carnivora della commedia La Piccola Bottega degli Orrori. Dopo ogni livello c'erano inoltre dei quadri bonus in cui il protagonista doveva attraversare lo schermo senza farsi prendere dalle creature, sulla falsariga di altri due videogiochi dell'epoca, vale a dire Frogger di Konami e Freeway di David Crane, entrambi del 1981.

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Dal cinema al videogioco

Per poter quindi rivivere le emozioni della pellicola originale, i fan dovettero attendere il 1984, quando su Commodore 64 e ZX Spectrum venne rilasciato Alien di Amsoft. I videogiocatori poterono così finalmente ritrovarsi a bordo della Nostromo, nel tentativo di sopravvivere alla minaccia xenomorfa. Realizzato con una grafica vettoriale, il titolo offriva al pubblico due modi diversi di affrontare l'avventura. La prima era una versione ridotta della storia, che cominciava all'incirca dagli ultimi trenta minuti della pellicola. Attraverso un apposito menu il videogiocatore controllava i tre membri dell'equipaggio rimasti ancora in vita, vale a dire Ellen Ripley, Parker e Lambert, e doveva cercare di eliminare la creatura.

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Oltre che con le armi, poteva farlo sia spedendola nello spazio che abbandonandola a bordo della Nostromo, dopo aver attivato il meccanismo di autodistruzione della nave ed essere fuggito a bordo della scialuppa di salvataggio Narcissus insieme al gatto Jones. Nel gioco lungo invece, tutti e sette i personaggi erano ancora in vita, e la storia iniziava con il chestburster che eruttava dal petto di un membro a caso dell'equipaggio. Anche l'androide veniva generato casualmente, e l'utente doveva quindi indovinare chi fosse prima che impazzisse e iniziasse a uccidere tutti. Allo stesso tempo, dovevano essere prese contromisure per contenere l'alieno e sbarazzarsi di lui. Grazie a tutti questi aspetti e al fatto di rimanere fedele a quelli che erano i dettami della pellicola, il gioco riscosse un grande successo di critica e di pubblico. Due anni dopo, nel 1986, dopo tre anni di tribolazioni e rinvii, il sequel diretto del film arrivava intanto nei cinema. Con James Cameron alla regia, Sigourney Weaver nuovamente nei panni di Ellen Ripley, e un plotone di marines dello spazio, il film fu subito un successo di critica e di pubblico. La frase "escono dalle fottute pareti" divenne in breve tempo uno dei tormentoni del periodo, nonché negli anni a venire una delle frasi cult del cinema di genere.

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Le ambientazioni della pellicola, i personaggi e il trionfo ai botteghini, convinsero di nuovo le aziende di videogiochi sulla bontà dell'investimento per accaparrarsene i diritti, al punto che dall'opera vennero prodotte ben quattro trasposizioni elettroniche, due delle quali uscirono quasi in contemporanea.

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Ma a parte le tematiche e il titolo, Aliens: The Computer Game, le due produzioni non condividevano altro. La prima era stata progettata da Activision per Amstrad CPC, Apple II, Commodore 64 e ZX Spectrum, ed era un'avventura suddivisa in sei mini-giochi. Due di questi prevedevano delle sequenze d'azione dove il videogiocatore controllava quattro marines alla disperata ricerca di una via di fuga dal complesso dove si trovavano. Gli altri contemplavano invece la guida di una navicella fino al suo atterraggio, il ritrovamento dell'uscita attraverso un labirintico condotto dell'aria, una difesa estrema da orde aliene e uno scontro finale contro la loro Regina. Di natura completamente differente era invece la seconda produzione, realizzata da Electric Dreams Software. Si trattava infatti di una sorta di gioco di strategia con la visuale in prima persona, dove il giocatore poteva controllare tramite un apposito terminale fino a sei personaggi, compresi Ripley, Vasquez e Bishop, per esplorare le 255 stanze che formavano il complesso alla ricerca della regina Aliena. Il successo del franchise cinematografico non lasciò indifferente nemmeno Square, che si mise subito all'opera per la realizzazione di un gioco a tema per il solo mercato giapponese. L'idea era di produrlo per MSX e Famicom Disk System, la periferica con supporto per i floppy-disk per la versione nipponica del Nintendo Entertainment System. Intitolato in lingua inglese Aliens, ma col sottotitolo giapponese di Alien 2, il prodotto alla fine uscì solo per MSX nel 1987. Il gioco era il classico platform a scorrimento orizzontale con elementi sparatutto, caratterizzato dalla presenza di Ripley come protagonista. Ma anche da una certa approssimazione tecnica. Nonostante contasse sulle musiche curate da un giovane Nobuo Uematsu, che avrebbe firmato da lì a poco la colonna sonora del primo Final Fantasy, il gioco non ebbe molto successo, a causa soprattutto della staticità dei controlli e di una certa lentezza di fondo del gameplay.

Aliens

Ben più interessante si rivelò invece un altro titolo ispirato sempre al film di James Cameron. Pubblicato nel 1990 da un'altra compagnia giapponese, vale a dire Konami, si trattava di un run and gun per cabinati, cioè uno shoot'em up dove il protagonista combatteva a piedi anziché a bordo di qualche veicolo. L'azienda vantava già una certa esperienza con gli sparatutto e con (anche) gli extraterrestri, grazie al videogioco Contra, pubblicato nel 1987 inizialmente per il solo mercato arcade. Visto il successo riscontrato tra il pubblico, Konami pensò bene di utilizzare uno stile analogo per l'arcade dedicato ad Aliens, compresa una modalità cooperativa dove gli utenti potevano utilizzare la solita Ripley e il caporale Dwayne Hicks del corpo dei marines.

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Tuttavia, anziché limitarsi a proporre quanto gli spettatori avevano già visto al cinema, l'azienda cercò di personalizzare in parte il progetto, integrando nell'opera elettronica altre tipologie di alieni, come per esempio degli zombi, delle creature volanti o in grado di sparare raggi laser. Inoltre realizzò due differenti versioni del prodotto, una per il mercato giapponese e l'altra per quello occidentale. La prima presentava colori dalla tonalità più scura nella rappresentazione di nemici e scenari, concettualmente più simili quindi a quelli visti sul grande schermo. In più era più semplice da giocare e priva di alcune aree presenti invece nel coin-op occidentale. Quest'ultimo infatti, vantava colori più accesi e più stage, compresi alcuni nei quali bisognava aiutare la piccola Newt o guidare l'APC, il mezzo da trasporto truppe utilizzato dai marines nel film. In entrambe le versioni destò tuttavia una certa curiosità la scelta di rappresentare la protagonista, Ellen Ripley, con dei capelli biondi. Un'immagine in antitesi con la controparte cinematografica. Ad ogni modo, ancora oggi molti appassionati considerano quello di Konami come uno dei migliori giochi dedicati al franchise di Alien, e la scena finale dove bisognava combattere ed espellere la Regina aliena nello spazio, finì per impressionare tutti, grazie anche a degli effetti di scaling decisamente spettacolari per l'epoca.

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A cavallo fra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90, con il fenomeno dei videogiochi casalinghi in forte ascesa, e la conseguente maggiore diffusione delle console domestiche, ormai diventate oggetti di uso quotidiano per le famiglie di tutto il mondo, il poter contare su marchi consolidati provenienti da altri settori dell'intrattenimento da riadattare in formato elettronico era diventato ancora più importante per la maggior parte dei publisher, alla ricerca costante di nuove idee e di nuovi personaggi da proporre al pubblico per vincere la concorrenza. Così, mentre la serie Alien continuava a sfornare sequel al cinema con il terzo capitolo diretto questa volta da David Fincher, gli sviluppatori di videogiochi si affannavano per ottenerne i diritti per il tie-in. Fra la fine del 1992 e la prima metà del 1993, Probe Software, attraverso alcune software house sussidiarie realizzò la trasposizione videoludica di Alien 3 per diversi formati, fra i quali Amiga, Commodore 64, SEGA Genesis e Super Nintendo. Quello per la piattaforma a 16-bit di Nintendo è considerato dalla critica come il migliore del gruppo. Il plot narrativo era lo stesso del film per tutti i giochi, con la rediviva Ripley che naufragava sul pianeta prigione Fiorina "Fury" 161, dove doveva vedersela ancora una volta con le creature xenomorfe del passato. Anche la giocabilità, a parte lievi differenze, era praticamente identica di sistema in sistema, tranne che per Alien 3 del Game Boy, che era un'avventura con la visuale dall'alto. Le altre edizioni presentavano invece un gameplay che combinava elementi da sparatutto con i platform a scorrimento verticale e orizzontale, dove oltre a eliminare le creature bisognava salvare gli altri prigionieri.

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La contaminazione con Predator

Un secondo videogioco ispirato al film fu l'arcade Alien 3: The Gun di SEGA, che nel 1993 introdusse nel franchise tutta l'azione tipica degli sparatutto su rotaie con le pistole ottiche, confermando quanto versatile e divertente potesse essere la licenza se sfruttata a dovere. Grazie a un plot alternativo, due videogiocatori potevano vestire i panni di altrettanti marines coloniali inviati sulla USS Sulaco per salvare i sopravvissuti, salvo poi ritrovarsi dopo un atterraggio di emergenza nella colonia penale. E sparare sullo schermo contro decine e decine di feroci alieni. Il successo del cabinato convinse molti sviluppatori a continuare a investire sul brand, magari ampliandone l'universo narrativo, distaccandosi in parte dalle tematiche dei film e ideando nuovi scenari.

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Alcuni team iniziarono così a guardare a una serie a fumetti pubblicata da Dark Horse Comics a partire dal 1991, e che mescolava il mondo di Alien con quello di un altro personaggio del cinema di fantascienza del periodo, cioè Predator.

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L'incrocio narrativo fra le due saghe si concretizzò in forma elettronica con una serie di spin-off intitolati Aliens Versus Predator, che a partire dalla primavera del 1993 avrebbe poi accompagnato i videogiocatori negli anni a seguire su diverse piattaforme e cabinati. Per ritornare a degli scenari più consoni alla pellicola si dovette invece attendere l'ottobre del 1995 e Aliens: Un Libro di Avventure a Fumetti, un'insolita avventura punta e clicca senza molte pretese firmata da Mindscape per MS-DOS. Ma fu di nuovo Probe Software, divenuta nel frattempo Probe Entertainment dopo il passaggio sotto il controllo di Acclaim, a restituire ai fan tutta la tensione tipica dell'universo di Alien. Nel gennaio del 1996 rilasciava infatti Alien Trilogy, uno sparatutto in soggettiva che ripercorreva le trame dei primi tre film della serie. Il gioco sbarcava prima su PlayStation e in estate su SEGA Saturn e PC trovando un'ottima accoglienza di critica e di pubblico. L'atmosfera ricca di tensione a cui contribuiva una colonna sonora decisamente azzeccata e una giocabilità parecchio divertente furono i valori aggiunti di una produzione che ricevette solo qualche piccola critica per le sue meccaniche, considerate poco innovative e troppo simili a quelle di Doom. L'anno dopo intanto, la saga ritornava anche al cinema, con il quarto e ultimo film della serie principale. Diretto da Jean-Pierre Jeunet, Alien: Resurrection vedeva di nuovo protagonista Sigourney Weaver, questa volta affiancata da Winona Ryder, a bordo della nave militare Auriga, dove Ripley veniva clonata e doveva poi vedersela con una nuova Regina Aliena e una creatura ibrida. La produzione ebbe un discreto successo ai botteghini, ma fu un mezzo fiasco a livello di critica, divisa fra chi ne apprezzava la spettacolarità della messa in scena, e chi ne bocciava trama e regia.

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Mentre Alien si fermava sul grande schermo, il suo universo continuava a vivere in quello dei videogiochi. Il 31 marzo del 1998 Fox Interactive pubblicò Aliens Online, un massive multiplayer online first-person shooter per Windows sviluppato da Kesmai Corporation e Mythic Entertainment. Il gioco era disponibile tramite GameStorm, una delle prime aziende a offrire un servizio a pagamento mensile per il gioco in rete. Per soli 9.95$, gli utenti potevano così combattere cruente battaglie schierandosi a scelta con le fazioni umane o aliene. In ogni mappa erano presenti una Regina xenomorfa e un marine esperto, i due personaggi più potenti del gioco. Questi erano controllati dall'intelligenza artificiale, ma potevano essere gestiti anche da giocatori umani, a patto che questi ultimi avessero un elevato punteggio di ranking. Ma nonostante il discreto seguito di pubblico, i server vennero chiusi dopo appena due anni, dopo che GameStorm venne acquisita da Electronic Arts. Come regalo d'addio, agli abbonati furono inviati una copia gratuita di Ultima Online e un abbonamento di un mese. Questo però non servì a placare gli animi dei fan più intransigenti, che decisero di clonare il loro gioco preferito utilizzando il motore di Half-Life, prima di abbandonare il progetto a seguito delle minacce di un'azione legale per violazione del copyright da parte di Fox Interactive.

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Gli anni 2000

Il nuovo millennio non iniziò nel migliore dei modi per il franchise. Nell'autunno del 2000 infatti, arrivava sugli scaffali nord americani ed europei il tie-in di Alien: Resurrection per PlayStation. Rimandato per quasi tre anni, privato della spinta trainante della pellicola, con un motore 3D male ottimizzato e privo di creatività a giustificarne l'esistenza, il titolo finì ben presto per cadere nel dimenticatoio. Andò un po' meglio l'anno dopo a THQ con il suo Aliens: Thanatos Encounter per il Gameboy Color di Nintendo, uno sparatutto d'azione con visuale a volo d'uccello ispirato ad Aliens, nel quale bisognava liberare dalle grinfie degli xenomorfi alcuni marine. Tralasciando titoli di poco conto come Aliens: Unleashed per telefonini cellulari, per vedere davvero risollevati gli animi dei fan di Alien bisognò attendere fino al 2006 e un altro cabinato, firmato questa volta dalla californiana Global VR.

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Con Aliens: Extermination infatti, tutta l'atmosfera e la tensione tipica della saga cinematografica riprendeva forma e vita davanti agli occhi dei videogiocatori. Tredici anni dopo Alien 3: The Gun, due avventori potevano nuovamente affrontare i mercenari della Weyland-Yutani e decine e decine di terrificanti mostri partoriti dagli incubi di Hans Rudolf Giger. Solo che questa volta potevano contare su delle mitragliatrici a impulsi in plastica montati sul cabinato al posto della classiche pistole. Il successo del gioco fu talmente grande che negli anni a venire l'arcade troneggiò da protagonista in molte sale, come per esempio il famoso Trocadero di Londra. Ma è Aliens: Infestation di SEGA a segnare forse, uno dei punti più alti dell'intero franchise, perché a dispetto della grafica bidimensionale e della sua struttura "vecchio stile", diventò ben presto uno dei titoli dedicati alla saga di Alien più amati dai fan. Uscito nel 2011 in esclusiva per Nintendo DS, il gioco era un'avventura che richiamava l'epoca dei 16-bit, proponendo un gameplay alla metroidvania sicuramente retrò, ma non certo anacronistico né limitato. L'unica pecca, se così si può dire, fu che il prodotto venne rilasciato quando il ciclo vitale di Nintendo DS era praticamente esaurito, limitandone in parte la visibilità e un maggior numero di vendite. L'ultimo gioco su Alien in ordine di tempo è stato, nel 2013, Aliens: Colonial Marines, uno sparatutto in prima persona per Xbox 360, PlayStation 3 e PC Windows sviluppato da Gearbox Software e pubblicato ancora una volta dall'iperattiva SEGA.

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Ambientato a livello temporale tra le pellicole Aliens - Scontro Finale e Alien 3, sulla carta il gioco vantava una campagna con un sistema dinamico di drop-in/drop-out all'interno di una modalità multiplayer in cooperativa fino a quattro giocatori online, o due in locale tramite split screen. Ma in realtà fu un disastro totale: le critiche sul gioco si sprecarono, concentrandosi su praticamente ogni singolo aspetto della produzione. Svariati bug, una pessima intelligenza artificiale e una scarsa qualità grafica furono fra i maggiori motivi dell'insuccesso. Un'ulteriore conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, che adattamenti videoludici degni di questo franchise ce ne sono stati davvero pochi. Fra questi, a risollevare le speranze dei fan, c'è l'ambizioso progetto di SEGA e The Creative Assembly intitolato Alien: Isolation. La nostra recensione, curata da Andrea Centini e con un sonoro 9.0 a torreggiare nel commento, dimostra quanto il survival horror realizzato dalla software house che si è fatta un nome in tutt'altro genere, la serie strategica Total War, abbia non solo confermato le aspettative ma anche proposto un gameplay piacevole e carico di incredibile tensione. Quale sarà il futuro del franchise e dei suoi tie-in resta da vedere, con quel Prometheus che ancora non è stato portato sui nostri schermi ma che non ha saputo convincere neanche i fan cinematografici della serie. Noi rimaniamo in attesa, convinti che questo Alien: Isolation non sarà l'ultimo videogioco con protagonista lo xenomorfo.

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