Il mondo dei videogiochi non è stato per niente un bel posto negli ultimi mesi. Il riferimento va ovviamente al famigerato #GamerGate e a tutto ciò che ne è scaturito all'interno dell'industria videoludica: una vera e propria tempesta, fatta di paranoie una più grande dell'altra e incredibili mancanze di rispetto all'essere umano in quanto tale. Mentre alcuni dei diretti interessati, esposti alla pubblica gogna, continuano ad avere brutte ripercussioni sulle loro stesse vite, dopo avervi raccontato tutti gli eventi salienti che hanno tenuto banco dall'estate a oggi non torneremmo neanche a usare questo hashtag, se non fosse per il ruolo che la stampa videoludica si è ritrovata a ricoprire dopo essere stata messa esattamente nel mezzo del #GamerGate. Quest'ultimo è dunque lo spunto dal quale vogliamo partire, per fare una riflessione su ciò che realmente è il giornalismo dedicato all'intrattenimento elettronico, in un momento in cui sembra essere sempre meno chiaro anche a chi afferma di essere un giornalista. Un'attività in ambito videoludico relativamente giovane e in costante evoluzione, influenzata dall'ascesa di figure come blogger, youtuber e così via, con le quali quella del giornalista va ormai a fondersi e a scontrarsi contemporaneamente.
#GamerGate, YouTube e giornalisti: una riflessione sul ruolo di chi scrive di videogiochi
Giornalismo ≠ rappresentanza
Una delle principali accuse mosse ai media videoludici durante il #GamerGate è stata quella di non aver dato voce a quanto riportato da chi fa parte del movimento, almeno fino a quando quest'ultimo non ha assunto delle dimensioni in grado di costringere più o meno tutti a occuparsi della cosa, anche se non dal punto di vista che i sostenitori delle accuse a Zoe Quinn avrebbero sperato.
A molti il motivo sembrerà banale, eppure c'è chi si è convinto della volontà dei giornalisti di insabbiare tutto quanto in nome di chissà quale accordo sotto banco su scala mondiale: molto più semplicemente, compito del giornalista è quello di raccogliere tutti quanti i dati a sua disposizione, verificando affermazioni e fonti differenti per cercare di dare ai propri lettori un'informazione completa e oggettiva dei fatti. Nel caso in cui trovi dei riscontri, è giusto che egli ci vada giù anche duro, ma viceversa non può assolutamente costruire le proprie tesi su delle semplici illazioni. Che si parli di videogiochi, di tostapane o di qualsiasi altra cosa, il giornalista ha inoltre l'obbligo di mettere da parte qualsiasi pregiudizio, sia esso nei confronti di persone o di cose: nel caso in cui non sia in grado di farlo, smetterebbe di essere tale. Il #GamerGate ha richiesto maggiore integrità all'interno del giornalismo videoludico, ma quando i giornalisti hanno verificato i fatti prima di spiattellarli, il movimento ha risposto con violenza accusandoli di complotto, pensando evidentemente di avere il diritto di essere rappresentato dai media a priori. Tradotto in parole povere, che il giornalista non debba avere pregiudizi è un concetto chiaro (quasi) a tutti, ma nel momento in cui la sua attività si scontra con chi invece di pregiudizi ne ha, scatta la caccia alle streghe.
Professionalità in dubbio?
Finita ormai nell'occhio del ciclone, la stampa videoludica ha dovuto difendersi da dossier più o meno seri che mettevano in dubbio la professionalità e l'integrità dei giornalisti, presi d'assalto dalle teorie più fantasiose un po' da chi voleva attirare clic al suo mulino, un po' da chi magari pur credendo davvero nella causa non aveva però ben chiaro in mente cosa voglia dire essere giornalisti. Neanche a farlo apposta, mentre scrivevamo queste righe è scoppiato pochi giorni fa il cosiddetto #SonicGate.
Dall'intera vicenda appare però evidente come sfuggano le basi del giornalismo videoludico, fatto come ci suggerisce Wikipedia di cicli reveal-preview-review, in cui la recensione è solo il passaggio finale di una copertura reportistica su un determinato titolo, sulla quale si è lavorato insieme ai PR, fantomatiche creature che alcuni dipingono con le corna in testa e la coda a punta. Sfugge altresì come, per il giornalista così come per PR, sviluppatori e tutti gli altri addetti, alla base di tutto debbano esserci rispetto e professionalità nei confronti di persone che fanno il loro lavoro, sul quale si basano ovviamente una vita, uno stipendio e spesso una famiglia. Tutto questo continuando ovviamente a tenere presente che se si scrive, lo si fa per i lettori, verso i quali deve esserci sempre la massima trasparenza visto il loro diritto di sapere come stanno realmente le cose. Un conto è però essere informati dei fatti e alzare la mano, facendo da "gola profonda" come TotalBiscuit nel famoso caso delle recensioni de L'Ombra di Mordor, un altro sollevare ipotesi anche contraddittorie ("la recensione non c'è per dispetto verso il PR", "la recensione non c'è perché il gioco fa schifo e si fa un piacere al PR"), con le quali si mette in dubbio la professionalità dei giornalisti. Rimanendo in tema recensioni, esistono per esse interpretazioni talvolta deviate: a chiunque abbia scritto articoli di questo tipo, è sicuramente capitato di finire sotto accusa per via di qualche decimale in più o in meno nel voto, magari dopo aver sviscerato il gioco di turno in ogni suo aspetto e descritto per filo e per segno tutto quanto attraverso 30.000 caratteri. A seconda delle aspettative di chi legge, si finisce così per diventare un fanboy o un hater senza alcuna professionalità, o peggio ancora gente con un conto in banca rimpinguato dai publisher. Idealmente, ai giornalisti si chiede il massimo dell'oggettività nello scrivere le recensioni, ma come vedremo nella vita di tutti i giorni si finisce poi per dare spazio alla soggettività e ai pregiudizi di cui sopra. Il mondo di YouTube ne è un esempio lampante: non essendo popolato da figure associabili a quella del giornalista, sembra non importare quasi a nessuno che dietro a certi video ci siano sponsorizzazioni e accordi con relativi pagamenti, talvolta dichiarati e talvolta no. Non è un caso, a questo proposito, che la Federal Trade Commission americana di recente abbia preso di mira non solo la stampa, ma anche YouTube, per garantire una maggior trasparenza verso il pubblico da parte di chi produce contenuti.
Nessuno è perfetto
Quanto scritto finora non vuole essere una difesa aprioristica dell'attività giornalistica: per questo motivo, dobbiamo dire anche che spesso ci sono situazioni poco chiare, dove a volerne sapere di più si fa sicuramente bene. A questo punto, dobbiamo anche considerare che a differenza di altre forme d'arte e d'intrattenimento, il videogioco è decisamente più giovane, così come la forma di critica che a esso si associa.
Nonostante siano passati ormai decenni dal primo articolo giornalistico dedicato a un videogioco, alcuni processi restano dei cantieri aperti, all'interno dei quali le persone che lavorano cercano di fare del loro meglio, rispettando i canoni di professionalità di cui abbiamo parlato in precedenza. Nessun giornalista che scrive di videogiochi ha mai vinto un Pulitzer per la Critica, così come probabilmente al mondo non esiste ancora nessun critico videoludico che possa essere anche lontanamente paragonabile a figure che si sono occupate di cinema ad altissimi livelli, come il compianto Roger Ebert o Stephen Hunter. Ci sono semplicemente persone che giocano, parlano e raccontano con occhio critico l'oggetto della loro passione, sperando di non diventare nemici di coloro ai quali si rivolgono. Come a chiunque, anche ai giornalisti può capitare di sbagliare, ma l'importante è farlo mantenendo sempre buona fede e trasparenza, elementi coi quali si nutre la credibilità nei confronti dei lettori. Perché di una cosa è possibile starne certi: quando c'è veramente qualcosa di marcio sotto, la puzza si manifesta solitamente in modo evidente. Potrà aiutare il MyMediaCritic di cui si parla tanto a separare i buoni dai cattivi? L'idea di un sito dove esprimere il proprio parere sui giornalisti videoludici non sembra completamente campata in aria, ma il valore di un mezzo del genere sarà decretato dall'uso che si farà di esso: la violenza scatenata dal #GamerGate non lascia ben sperare, ma staremo a vedere.
Il futuro del giornalista videoludico
In queste ultime righe, vogliamo lasciarci le polemiche alle spalle, per cercare di capire come sta cambiando l'attività del giornalista che si occupa di videogiochi. Il mondo di YouTube sta avendo un effetto inequivocabile sul giornalismo, che gli inglesi amano definire disruptive: lo dicono gli impressionanti numeri di PewDiePie e di tanti altri "let's play", anche italiani, che vanno assolutamente al di là della portata della stragrande maggioranza dei siti specializzati.
Dalla critica oggettiva di cui parlavamo sopra, il pubblico si sta spostando verso chi invece fa del soggettivo la sua bandiera: perché continuare con il modello della stampa classica, a questo punto, quando da YouTube è possibile raggiungere un numero maggiore di persone, coinvolgendole anche di più? Forse è tutto conseguenza dell'information overloading: di fonti che diano la stessa notizia è ormai pieno l'universo, per cui si cerca qualcuno che al marketing di serie da comunicato stampa contrapponga un modo di vedere le cose di pancia. Pur condividendo lo stesso spazio del giornalista, questo qualcuno non si professa come tale, ma anzi rivendica la sua provenienza dallo stesso pubblico al quale si rivolge, ottenendo come dicevamo in cambio un coinvolgimento elevatissimo e una sorta di lasciapassare su argomenti spinosi come quelli di cui abbiamo parlato in precedenza. Il potere degli youtuber non è stato forse dimostrato dallo stesso #GamerGate, in cui alcuni di essi hanno svolto un ruolo fondamentale, schierandosi da entrambi i lati della barricata? Tutto ciò sta spingendo inevitabilmente i giornalisti a cercare modi alternativi per continuare a parlare al loro pubblico: c'è chi abbraccia il modello di pancia di cui sopra, perdendo talvolta di vista il punto dal quale è partito, mentre c'è chi prova a mantenere la componente informativa classica dell'attività giornalistica, aggiungendovi un po' del pepe fornito da YouTube. Distinguere tra giornalisti, blogger e youtuber perderà progressivamente il proprio senso: la speranza è che comunque ci si professerà, chi legge, ascolta o vede possa continuare a stare davanti a tutto e tutti.