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Quanto convengono le esclusive?

Dopo la chiusura di Evolution e Lionhead, riflettiamo sui rischi che si corrono a produrre titoli in esclusiva per un solo sistema

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   27/03/2016

Ultimamente sono state chiuse due software house che apparentemente hanno poco in comune. Lionhead era diventata famosa per una serie di giochi di ruolo d'azione fantasy, i Fable, senza dimenticarsi dei "god game" e di un titolo sperimentale come The Movies, mentre Evolution Studios era dedita ai giochi di corse, come i World Rally Championship e i Motorstorm.

Nonostante i problemi iniziali, DRIVECLUB è un ottimo gioco
Nonostante i problemi iniziali, DRIVECLUB è un ottimo gioco

Eppure il loro destino è stato per molti versi simile: entrambi gli studi si sono ritrovati a essere first party di un grande produttore hardware (Microsoft per Lionhead e Sony per Evolution) ed entrambi sono stati chiusi nonostante fossero al lavoro su dei titoli esclusivi per le rispettive console. Da notare anche che si trattava di due grosse realtà del Regno Unito, con un vasto retroterra e un ricco portfolio alle spalle. Come saprete, Lionhead era al lavoro su Fable Legends, un MMORPG per Xbox One e PC che doveva essere il principale banco di prova del cross-play tra le due piattaforme tramite Windows 10, mentre Evolution si stava dedicando ai DLC di DRIVECLUB, gioco di guida uscito a fine 2014 su PlayStation 4, oltre che a una nuova versione dello stesso per PlayStation VR, il visore per la realtà virtuale di Sony in uscita a fine 2016. Entrambi gli studi erano quindi impegnati su progetti concreti, già presentati alla stampa e al pubblico. Eppure Microsoft e Sony non si sono fatte problemi a chiuderli. In entrambi i casi si è trattato di decisioni improvvise e traumatiche, decisamente inattese. Non che esista un modo gentile per dire a qualcuno che ha perso il lavoro, ma almeno suggerirgli con qualche settimana di anticipo di cercarsene un altro perché le cose vanno male sarebbe un comportamento gradevole. Comunque, bando all'umanità e cerchiamo di capire come mai in questa generazione sembra che gli studi più a rischio siano proprio quelli che teoricamente sarebbero più coperti, ossia quelli first party, e perché le esclusive sono diventate un affare scomodo.

Che rischi corrono gli studi first party? La chiusura di Lionhead e Evolution apre nuove prospettive...

C’erano un tempo le esclusive

Fino alla generazione di Xbox 360 e PlayStation 3 le console potevano tutte vantare un gran numero di titoli esclusivi nel loro catalogo. Quando parliamo di "esclusiva" intendiamo un videogioco che esce su una singola macchina.

Bello o brutto poco importa: Fable Legends non arriverà mai sul mercato
Bello o brutto poco importa: Fable Legends non arriverà mai sul mercato
Negli anni passati realizzare titoli esclusivi costava molto meno
Negli anni passati realizzare titoli esclusivi costava molto meno

Non parliamo solo di sistemi di successo come NES, Mega Drive o PlayStation, per fare qualche esempio, ma anche di quelli fallimentari come il Jaguar, il 3DO o il Lynx. Chiariamo anche che non si parla di esclusive first party, ma di prodotti finanziati, realizzati e pubblicati da terze parti. Tanto per dire, molte delle migliori esclusive di PlayStation One non erano di Sony (non solo). Ad esempio titoli come Silent Hill, Final Fantasy IX o Xenogears, (ce ne sarebbero decine di altri, ma possiamo accontentarci), erano di produttori terzi. Cos'è cambiato nel frattempo? Facile: i costi di sviluppo e le aspettative del pubblico. I primi sono autoesplicativi: attualmente per produrre un tripla A si spendono decine di milioni di dollari, contro le decine o centinaia di migliaia che si spendevano negli anni '90. All'aumento dei costi, corrispondono ovviamente un maggior numero di copie da vendere per raggiungere il pareggio. Anche in questo caso la forbice è spaventosa, visto che in quegli anni si parlava di successo quando si riuscivano a vendere decine di migliaia di copie, mentre oggi un titolo come Alien: Isolation viene considerato fallimentare dopo averne vendute più di due milioni. Se innestiamo le aspettative del pubblico in un quadro del genere, otteniamo una situazione difficile da affrontare. Giustamente i videogiocatori si aspettano ormai una certa qualità produttiva dai titoli tripla A, qualità che non ammette passi indietro. Non è possibile per l'industria dei videogiochi affermare ad alta voce che il modello economico che l'ha resa florida non è più sostenibile. Ossia, non lo è ai ritmi tenuti finora. Il risultato è che ciò che non è stato dichiarato esplicitamente, è avvenuto nei fatti, con la riduzione del numero di produzioni, la morte di quelle medie sostituite dai titoli indipendenti e la desertificazione delle esclusive di terze parti, diventate rare come l'intelligenza. Ora, con il fallimento di Lionhead ed Evolution, inizia a chiudersi anche il cerchio sulle esclusive first party, che sicuramente non svaniranno, ma che evidentemente non sono più l'approdo felice che si pensava che fossero. Da notare che attualmente le console con più esclusive in assoluto non sono quelle casalinghe, ma quelle portatili (Nintendo 3DS e PlayStation Vita), nonostante la crisi del settore dovuta all'affermarsi degli smartphone come macchine da gioco. Il motivo è quello già espresso: produrre un videogioco per una console portatile costa infinitamente meno del farlo per una console da salotto.

Ma i titoli esclusivi vendono ancora le console?

Forse è il caso di iniziare a rivedere il luogo comune che vuole le console vendute dai titoli esclusivi. Quantomeno bisogna ridimensionarlo inserendolo in un quadro più complesso, composto da diversi fattori. Se ad esempio prendiamo le vendite delle esclusive più forti di quella che attualmente è la console più venduta di questa generazione, ossia PlayStation 4, otteniamo un quadro decisamente anomalo.

Nintendo Wii U ha alcune delle esclusive migliori degli ultimi anni, eppure...
Nintendo Wii U ha alcune delle esclusive migliori degli ultimi anni, eppure...

DRIVECLUB ha venduto circa due milioni di copie, inFAMOUS: Second Son e Bloodborne quasi tre, ma The Order: 1886 sembra sia andato molto male. Eccezioni a parte, paiono numeri di tutto rispetto, ma evidentemente non è così, visto che proprio DRIVECLUB ha segnato la fine di Evolution. Oltretutto, se sommiamo le vendite di tutte queste esclusive (aggiungendoci magari anche KillZone: Shadow Fall e Knack), non raggiungiamo quelle di titoli come Fallout 4 o Call of Duty: Black Ops III. Con questo non vogliamo affermare che le esclusive vadano sempre male, solo che sono estremamente più rischiose rispetto a un multipiattaforma di una serie ben rodata e, a quanto pare, meno interessanti per il grande pubblico, che gli preferisce altro. Prendiamo ad esempio una console come Wii U, fallimentare nonostante sia piena di esclusive di grandissimo valore (Bayonetta 2, Xenoblade Chronicles X, Super Smash Bros., Mario Kart 8 e così via). Parlando con molti videogiocatori, è chiaro il motivo per cui non l'hanno considerata: mancano i giochi delle terze parti. Insomma, mancano i brand famosi, quelli di cui si parla in continuazione, quelli che vanno per la maggiore. Le esclusive contano, ma conta di più avere ciò che ha la propria cerchia di conoscenze e amicizie. Con questo non vogliamo affermare che le esclusive spariranno; soltanto facciamo fatica a non scorgere alcune crepe in quel modello che le vedeva come fiori all'occhiello di una singola macchina, visto che i produttori hardware hanno iniziato a farsi pochi problemi nel tagliare interi studi in caso di vendite o di prospettive di vendita scarse, ribaltando in parte l'idea, diffusissima, che con i first party siano disposti a caricarsi i rischi dei progetti esclusivi. First party che, di loro, sono costretti a produrre per un singolo sistema, riducendo di molto la base installata cui si rivolgeranno con i loro titoli. Per Sony e Microsoft è diventato più conveniente spingere su videogiochi di terze parti molto attesi dai giocatori, ad esempio Destiny e Call of Duty: Black Ops III per la prima, The Division la seconda, invece di investire direttamente in prodotti propri, che non garantiscono più i ritorni sperati e che spesso sono i videogiocatori stessi a snobbare.