Chi in passato amava restare informato sui videogiochi, il più delle volte si trovava di fronte ad argomenti abbastanza leggeri. Anche se non sono mai mancati approfondimenti sul nostro passatempo preferito, è innegabile che esso sia pur sempre qualcosa di frivolo se paragonato ad altri che fanno parte delle nostre vite di tutti i giorni. Tuttavia, col passare del tempo, l'importanza sempre più grande del medium ha portato elementi di particolare complessità anche nel mondo di quelli che erano solo "giochini". La diversità di idee, gusti e orientamenti, tanto per fare qualche esempio, ma gli argomenti di una certa importanza di cui parlare in chiave videoludica sono ormai davvero tanti. Per questo motivo, non c'è affatto da stupirsi se discutendo di una notizia legata ai videogiochi si arriva a farlo in correlazione con il tema profondo della complessità dell'essere umano e delle faccende che lo riguardano, come accaduto nel caso del licenziamento di Alison Rapp da parte di Nintendo of America. La serie di eventi occorsi prima e dopo l'allontanamento della donna dall'azienda giapponese ha infatti dipinto un quadro in cui il nero del torto e il bianco della ragione si sono fusi sempre di più, formando una zona grigia dai contorni molto difficili da decifrare. Di pari passo, le attività di chi fa parte di determinati "movimenti" nel mondo dei videogiochi ci spingono a tornare sull'argomento, per affrontarne insieme gli ultimi sviluppi.
Alison Rapp è ancora al centro dell'attenzione dopo il suo licenziamento da parte di Nintendo of America
Nota importante
Nonostante l'obiettivo di far cacciare via Alison Rapp sia stato raggiunto da chi l'aveva presa di mira, l'attività inquisitoria nei suoi confronti ha continuato ad andare avanti incessante. È stato quindi confermato ancora una volta il modus operandi di chi va alla ricerca di scheletri nell'armadio, trovando anche in questo caso materiale rilevante da dare in pasto alla folla rabbiosa. Se torniamo a parlare della vita di Alison Rapp non è per ficcare il naso nell'esistenza di una persona che si è ritrovata sotto la lente d'ingrandimento per motivi ingiusti (è bene ricordarlo), ma perché in seguito agli ultimi dettagli emersi ci siamo sentiti in dovere di riaffrontare alcune delle considerazioni fatte in precedenza.
Il secondo lavoro
Chi dovesse essere all'oscuro sulla sequenza di eventi che ha portato Alison Rapp a essere licenziata dalla divisione americana di Nintendo, può trovarne un riassunto nel nostro speciale precedente, dal quale ripartiamo per provare a capire qualcosa in più su quanto è accaduto. Tra gli aspetti meno chiari della vicenda, compariva quello legato all'effettiva natura del lavoro svolto dalla donna nel tempo libero. Quello che in inglese viene definito "moonlighting", intendendo con questo termine il fatto che il datore di lavoro principale non sa dell'attività secondaria svolta nelle ore in cui il lavoratore non si trova in ufficio. Una situazione comune a tanti dipendenti, che però nel caso di Alison Rapp si è trasformato nel motivo per il quale è stata licenziata.
Secondo le dichiarazioni di Nintendo successive al provvedimento, la donna non sarebbe stata mandata via per il semplice fatto di arrotondare lo stipendio, ma perché il suo secondo lavoro non era in linea coi principi dell'azienda. Dando un'occhiata superficiale al profilo Twitter di Alison Rapp, molti (compreso noi) hanno creduto che tale lavoro consistesse nella posa per alcune fotografie sexy, non particolarmente scandalose ma sufficienti ad avere un impatto sull'immagine e sulle attività di Nintendo. Soprattutto tenendo in considerazione il fatto che la mansione principale di Alison Rapp nell'azienda era nel campo del marketing, mettendola quindi in contatto diretto con l'esterno. Su questo elemento abbiamo costruito il nostro ragionamento precedente, prima che da Internet i soliti personaggi tirassero fuori nuovi dettagli sulla vita della donna, svelando quella che sarebbe la natura del suo secondo lavoro: una vera e propria attività da escort. Resta attualmente poco chiaro quale sia stata la miccia che ha innescato tutto il meccanismo, ma fatto sta che qualcuno è riuscito a risalire al sito web di tale Maria Mint, escort operante in quel di Seattle, confrontandone i tatuaggi presenti sul corpo nelle foto piccanti pubblicate sul sito mariamint.com (messo offline poco dopo la scoperta) con quelli nelle immagini pubblicate da Alison Rapp senza l'uso di pseudonimi. A ulteriore testimonianza, sono poi stati confrontati anche i dati Exif delle immagini, lasciando spazio a ben pochi dubbi per un colpo difficilissimo da assorbire, in grado di stravolgere ipotesi e considerazioni fatti in precedenza. Bisogna comunque tener presente che la certezza al 100% su questo elemento non esiste, e che gli unici soggetti in grado di confermare la seconda identità di Alison Rapp come Maria Mint sono due: la diretta interessata ed eventualmente Nintendo, che con la dichiarazione successiva al licenziamento ha sottinteso di essere al corrente di fatti non conosciuti all'esterno, nel momento in cui esso è avvenuto. Senza dilungarci in tecnicismi, quello che possiamo dire è che o si è trattato di un falso realizzato davvero ma davvero bene, oppure dello scheletro nell'armadio a lungo cercato.
La zona grigia
Il primo ragionamento sul quale ci sentiamo di tornare, a questo punto, è proprio quello che riguarda Nintendo. Senza falsi moralismi, visto che per quanto ci riguarda una volta uscita dall'ufficio Alison Rapp poteva diventare Maria Mint o chiunque altro. Ma con l'emergere dell'attività da escort, il ruolo di addetta al marketing è apparso a dir poco incompatibile, per motivi più che ovvi in un'azienda che più di ogni altra ha come target dei propri prodotti famiglie e bambini. Del resto lo avevamo già detto: se Alison Rapp ha violato qualche regolamento interno di Nintendo, la società ha avuto pieno diritto di mandarla via.
Da questo punto di vista, quindi, i nuovi dettagli non cambiano molto la situazione. Dove si può aprire ad altre considerazioni è invece nel modo in cui Nintendo ha gestito l'intera faccenda. Visto che le molestie occorse per mesi ai danni di Alison Rapp sono partite dalle accuse infondate di essere l'autrice della censura di alcuni giochi, siamo ancora convinti che il silenzio non sia stata la scelta migliore, ma siamo certi che Nintendo abbia veramente avuto la possibilità di scegliere un modo giusto di agire? Quasi sicuramente, le opzioni a disposizione erano tutte sbagliate in qualche senso, portando quindi la società di fronte alla necessità di buttarsi sul classico male minore. Immaginiamo che la decisione di Nintendo sia maturata dopo aver saputo della reale natura del secondo lavoro di Alison Rapp: l'ipotesi più probabile è che qualcuno nell'azienda sapesse, e abbia riportato la cosa a chi di dovere. Il tutto sarebbe quindi potuto accadere anche nel caso in cui la donna non sia stata oggetto delle molestie, visto che nonostante l'uso dello pseudonimo per l'attività da escort, anche via Twitter Alison Rapp non ha mai mostrato particolare cautela nelle proprie esternazioni. L'idea che abbia dato modo a qualche ex collega di scoprire la verità appare più che plausibile, così come lo è l'ipotesi banale secondo la quale sia stata riconosciuta da un "cliente". Almeno a partire da un certo punto, pur senza condividerlo possiamo quantomeno comprendere il silenzio di Nintendo: esporsi per difendere Alison Rapp sarebbe stato forse giusto dal punto di vista umano, ma sapendola coinvolta in una situazione del genere da una prospettiva aziendale si sarebbe finiti per calarsi in un mare di guai. Per questi motivi, chi ha attaccato Nintendo senza concederle il beneficio del dubbio dovrebbe rivedere le proprie convinzioni.
La cultura della vergogna
"Più riempiamo la nostra cultura di vergogna pubblica, più diventa accettata, più vediamo comportamenti come il cyberbullismo, il trolling, gli attacchi informatici e la molestia online. Perché? Perché hanno tutti al centro l'umiliazione.
Questo comportamento è sintomo della cultura che abbiamo creato". Queste parole provengono dal TED Talk di Monica Lewinsky, autodefinitasi a ragione "il paziente zero a perdere la reputazione su scala globale quasi istantaneamente" a causa del suo rapporto erotico con Bill Clinton nel 1998. Il fatto che Alison Rapp abbia lavorato come escort non giustifica niente di tutto quello che è successo prima e dopo il suo licenziamento da Nintendo, unico vero prezzo da pagare per aver portato avanti due attività incompatibili tra loro. Così come le molestie a Monica Lewinsky sono andate avanti per anni, nel caso di Alison Rapp la decisione dell'azienda non è bastata a placare le attività di chi evidentemente più che una qualche forma di giustizia pretende di vedere solo soffrire l'obiettivo della propria ossessione. Come ricordavamo in occasione dell'articolo precedentemente dedicato alla faccenda, l'anonimato di Internet non fa che peggiorare le cose, generando una mancanza di empatia dettata dall'assenza di una forma di contatto e confronto visivo con l'oggetto delle proprie molestie. Prima ancora di apprendere le ultime novità, a far prendere di mira Alison Rapp erano state le sue visioni controverse in materia di femminismo e pedofilia, in base alle quali alcuni individui avevano deciso di autoproclamarsi giudici e allo stesso tempo anche carnefici, nell'infliggere la massima pena della pubblica vergogna. È un modo di pensare e agire che non è possibile giustificare, soprattutto perché il passo successivo consiste nel travalicare i confini del mondo online, passando alla vita reale e agli affetti personali. A causa delle abitudini sessuali della coppia e della stessa attività da escort, per esempio anche il marito di Alison Rapp è finito nel bel mezzo delle centinaia di commenti e tweet sull'argomento, mentre altri familiari sono stati disturbati solo per avere un legame di sangue con lei. Di insulti e minacce fisiche indirizzati direttamente alla sua persona, non ne parliamo neanche. La cultura della vergogna pubblica sta portando le persone a trarre un malsano piacere nel trasformarsi nella folla che corre a lapidare l'adultera, quando è ben noto che il diritto di scagliare la prima pietra appartenga in realtà a pochi individui.