17

Francesco Antolini: dall'Italia a Just Cause

Dopo tanti anni in Ubisoft, Francesco Antolini è infine arrivato in Canada dove è diventato game director di Just Cause, ideando e progettando gli ultimi due capitoli della serie

INTERVISTA di Claudio Camboni   —   22/09/2019

Multiplayer.it: Buongiorno Francesco e benvenuto sulle pagine di Multiplayer.it. Con questo continuiamo un ciclo di incontri con tutti i nostri connazionali che lavorano a progetti importanti all'estero, e confidiamo di averti proposto questa intervista anche perché molti lettori ce l'hanno esplicitamente chiesta attraverso il nostro forum. Direi di saltare velocemente la canonica parte delle "presentazioni" anche perché pare che qua ormai ti conoscano veramente tutti, e passare a domande più specifiche. Hai iniziato "dal basso", passando per Ubisoft e ora Avalanche Studios. La tua carriera è al top, oppure credi che sia possibile lavorare a progetti ancora più ambiziosi?
Francesco Antolini: Buongiorno, che onore apparire sulle vostre pagine! Dritti al punto: no, decisamente non considero che la mia carriera abbia raggiunto l'apice. Anche se ho avuto la fortuna e il piacere di lavorare su titoli e personaggi che amo, il sogno è quello di arrivare a lavorare su una proprietà intellettuale originale. Ancor di più (l'hai messa in ballo tu l'ambizione!), ogni tanto mi piace immaginarmi al timone d'uno studio intero: Hideo Kojima e il suo Kojima Productions sono definitivamente un modello di riferimento.

Thumbnail 3Dfe2D1Bfd6A41B2A667C280D265Cf0C

Con l'irruzione dei famosi Battle Royale sul mercato, è cambiata la concezione delle nuove produzioni action e sparatutto?
Il successo di PUBG prima, e Fortnite immediatamente a seguire ha di certo inaugurato un paio di tendenze interessanti. Innanzitutto, Battle Royale è assurto a genere di per sé, con titoli interamente concepiti e dedicati proprio alla sue meccaniche di base. Cosa che sta in realtà stimolando ad andare al di là di quelle basi per privilegiare dinamiche psicologiche ed interpersonali proprie del Battle Royale. Penso per esempio a Darwin Project (Scavenger Studio), dove un giocatore, scelto a rotazione, assume il ruolo di "show director" ottenendo visione e controllo degli eventi su tutta la mappa; o al recentissimo The Cycle (Yager), dove puoi creare momentanei "contratti di collaborazione" con altri giocatori per poi romperli a tradimento... o no. Seconda (ed ovvia) tendenza: dato che è relativamente semplice implementare una modalità Battle Royale in un gioco che già ha dinamiche competitive e un'architettura multiplayer, e a seguito del suo immenso successo, il mercato si sta saturando velocemente (in questo preciso momento, tra Battle Royale a sé stanti e produzioni che semplicemente includono una modalità Battle Royale, come ad esempio Call of Duty: Black Ops 4 o Battlefield V, contiamo più di 30 titoli!), con il pericolo che soltanto titoli sostenuti da grossi budget tanto in termini produzione quanto di marketing vengano effettivamente notati. Sfortunatamente, per tradizione quelli son anche i titoli meno interessanti da un punto di vista di game design ed innovazione; più soldi ci sono dietro a una produzione, minore è il suo "quoziente d'innovazione": innovare vuol dire rischiare, e nessun vuol rischiare quando dalle centinaia di migliaia si passa ai milioni di dollari. Il che è in evidente contrasto con quanto dicevo prima, e riassume un problema centrale a tutta l'industria: maggior il supporto economico un titolo riceve, migliore la sua qualità e diffusione, ma anche maggiore il suo conformarsi a schemi predefiniti.

C'è ancora spazio per i giochi sand-box come li abbiamo sempre intesi, oppure secondo te sarà necessario adattarli ai gusti delle nuove generazioni cresciute con Fortnite?
Le nuove generazioni stanno in realtà crescendo con Minecraft e Roblox, due sandbox condivisi da, rispettivamente, 90 e 100 milioni d'utenti attivi al mese. Il che rappresenta un vasto orizzonte di speranza per ogni possibile declinazione di sandbox tu possa immaginare: avvicinarsi sin da bambini ad ambienti videoludici che prediligono la creatività non può che formare menti prone ad annoiarsi nel momento in cui l'elemento creativo venga a mancare... o così mi piace pensare! Anche da tenere a mente: son proprio elementi sandbox a conferire longevità alla maggior parte dei mondi aperti, e difatti ne troviamo in praticamente tutte le grandi produzioni open world degli ultimi anni. Per concludere: è abbastanza evidente che non solo penso che i sandbox non moriranno mai, ma anche che elementi sandbox saranno sempre più presenti in ogni titolo, indipendentemente dal genere..

Quali sono i maggiori problemi in fase di progettazione che un gioco open world come Just Cause impone al Game Director?
Difficile far una selezione! Dopo il primo pitch tutto è importante, e forse lo scoglio più grande sta proprio nel dare una priorità ai vari problemi che inevitabilmente ti ritrovi ad avere, e decidere quanto sforzo dedicare a ognuno di essi. Ma se proprio devo farla, una selezione, queste son le sfide che evidenzierei: innanzitutto realizzare le basi per meccaniche di gioco e sistemi percepibili come un insieme coerente e sensato, anche e soprattutto da un punto di vista narrativo. Il rischio, molto comune (a conferma, vedi il game design post-mortem di Horizon Zero Down che Eric Boltjes ha presentato durante la GDC 2018: Video qua ), è di ritrovarsi con una miriade di prototipi individualmente divertenti, ma completamente separati l'uno dall'altro e difficili da giustificare nel contesto del mondo che hai in mente. Bisogna poi concepire tali basi in funzione del Team che effettivamente lavorerà sul gioco: per esempio, senza programmatori specializzati in ottimizzazione della fisica, ottimi programmatori grafici, ed esperti di effetti speciali, non ha senso proporre un tornado per un Just Cause. Serve inoltre stabilire criteri chiari che aiutino nella prioritizzazione delle scelte che inevitabilmente si porranno in produzione (cosa tenere, cosa tagliare, cosa realizzare in maniera accettabile e cosa fare alla perfezione). C'è poi da presentare le proprie idee di modo che siano appetibili a chi effettivamente finanzierà lo sviluppo del gioco (Square Enix nel nostro caso) e creare consenso in merito alla creatività tra vari stakeholder, tanto interni quanto esterni. Il CEO della compagnia dev'essere intrigato da quanto proponi, così come il tuo Art Director, ecc. Infine va imbastito un piano di produzione creativa a lungo termine, che tenga conto dei vari rischi ed abbia pronte strade alternative nel caso la strada principale perda di viabilità.

Just Cause 4 Leak 06 10 18 009

Parlaci di qualcosa che avresti voluto implementare in Just Cause 4 e che non è stato possibile fare per limiti tecnici...
Il Multiplayer! Francamente, è la sola cosa che ci è stata impedita per motivi puramente tecnici: anche se Apex era già in grado di gestire modalità multiplayer, mancava delle capacità necessarie a gestire un sandbox come Just Cause, dove non solo è necessario sincronizzare posizione di giocatori, veicoli e proiettili, ma anche la complessa e granulare fisica che governa il mondo, i suoi oggetti, e la loro distruzione. Ci sono poi una miriade di feature che avremmo voluto implementare, e che di fatto avevamo ben progettato - ma che abbiamo dovuto tagliare non tanto per motivi tecnici, quanto per motivi di risorse e di tempo. Ad esempio i Creative Bonuses: il gioco analizza in tempo reale quanto il giocatore sta facendo, e assegna dei bonus di conseguenza. Per esempio, se causi distruzione in maniera creativa usando gli attachment del grappino piuttosto che sparare. Poi i Feat Ghosts: le Feats sono una grossa componente del nostro sistema di multiplayer asincrono, e quanto volevamo era la possibilità di vedere nel tuo mondo come i campioni di ogni Feat avevano raggiunto il loro titolo, riproducendone le azioni attraverso un'avatar traslucido, in maniera simile a come Dark Soul ti mostra come altri giocatori hanno incontrato la propria morte. Le condizioni climatiche dinamiche in mare aperto, che influenzano il comportamento dell'acqua. In realtà, abbiamo accarezzato a lungo l'opportunità di un quinto evento climatico estremo: uno tsunami! Il vento dinamico: il vento popola il mondo in maniera dinamica e non sempre prevedibile, un po' come accade in Zelda: Breath of the Wild. I convogli di veicoli: Rico avrebbe avuto la possibilità di farsi seguire da automezzi guidati da altri ribelli. Una maggiore varietà nelle missioni secondarie e negli obiettivi associati alle varie regioni in mano alla Mano Nera. È una la lista che potrebbe continuare a lungo: l'ambizione di un team e la volontà d'arrivare a un prodotto perfetto son sempre fortissime, ma arriva sempre un momento in cui bisogna fermarsi e tirare le conclusioni. Ed è sempre preferibile far meno e meglio: di fatto, tornando indietro, probabilmente taglierei ancor di più!

E adesso vorremmo sapere quale è l'ostacolo più grande che siete riusciti a superare nella sua progettazione, qualcosa che inizialmente pensavate di non poter implementare e che invece, alla fine, è venuto fuori alla grande
Il tornado, senz'ombra di dubbio! Considera che si tratta di una prima assoluta nell'universo videoludico: non il primo tornado ad apparire in un videogioco, ma di certo il primo a non essere giusto un elemento di scena ma un vero e proprio "mostro fisico": tutti gli elementi dinamici presenti nel mondo di gioco vi reagiscono e tra le varie conseguenze, anche la necessità di aggiungere un nuovo sistema d'aerodinamica al nostro motore fisico. La pressione, nel realizzarlo, fu altissima. Si trattava infatti d'un elemento che non potevamo tagliare a nessun costo, e che volevamo essere di fortissimo impatto sia dal punto di vista visivo che da quello della meccanica di gioco. Di fatto, direttamente o indirettamente, tutto lo studio ha avuto a che fare con il suo sviluppo. Per chi voglia approfondirne i segreti e qualche vicissitudine, consiglio l'articolo che il nostro Jacques Kerner ha scritto al proposito: Qua il video.

Qualche anno fa sembrava che la tecnologia del 3D fosse il futuro, sia nel campo del cinema che in quello dei videogiochi. Poi cosa è successo?
A mio parere la spinta a cercar di vendere qualcosa di nuovo alimentò un'iperbole di pubblicità a fronte di una tecnologia decisamente ancora non matura, scomoda da usare, e priva di un vero standard di riferimento. Più nello specifico: per poter fruire di contenuti 3D era necessaria una certa spesa e preparazione in termini di hardware: un lettore Blu-Ray 3D e un televisore capace di riprodurre contenuti 3D e un paio di occhiali per ogni spettatore -- la tecnologia "3D senza occhiali" non ha mai ben funzionato al di là del 3DS, limitando la visione a posizioni e distanze definite e spesso forzando a star immobili ché a ogni movimento si perdeva l'allineamento tra le due immagini (un po' come accadeva con il 3DS prima del New 3DS). I contenuti stessi non eran sempre di grande qualità... pochissimi film per esempio eran girati interamente in 3D (Avatar, per esempio), ma la maggior parte si limitava a specifici momenti girati in 3D, per il resto si trattava di 2D convertito a 3D. In maniera simile, pochissimi giochi vantavano un refresh rate abbastanza alto da poter offrire un 3D di qualità. Anche il semplice 3D a molti dà problemi di nausea e mal di testa: ancora oggi ci sono moltissimi spettatori che anche al cinema preferiscono evitare la versione 3D di un film per godersi un più "user friendly" 2D. In altre parole, penso si trattasse di una tecnologia D.O.A.: dead on arrival, mancando proprio delle premesse che ne avrebbero potuto decretare il successo.

Cosa ti aspetti dalle prossime generazioni di console, tralasciando i freddi dati tecnici e di potenza?
Mi aspetto un vocabolario e un'insieme di possibilità per noi creativi ancor più vasti di quanto già abbiamo. In particolare, sono estremamente affascinato dalla promessa di caricamenti istantanei, e nella sua opportunità di tradursi nel passaggio tra luoghi e/o dimensioni diverse in un batter d'occhio. Immagina per esempio di camminare in una foresta, per ritrovarti all'improvviso nel mezzo di una città, e dopo poco in un Atlantide sottomarina, e poi su un anello di Saturno! Ma dato che mi chiedi di tralasciare dati tecnici, forse quello che intendi è quanto mi aspetti dalla prossima generazione di giocatori. Dato che siamo sempre di più, e sempre più eterogenei, mi aspetto di certo una maggior varietà in termini di giochi prodotti, ed una sempre più forte preponderanza di elementi multiplayer, tanto sincroni quanto asincroni. Riguardo quest'ultimi, di fatto, sono estremamente impaziente di scoprire cosa farà Death Stranding... anche se parliamo di generazione corrente.

Siamo curiosi di sapere da te a cosa giochi abitualmente... quali sono i tuoi titoli preferiti, e se c'è un genere che proprio non ti va giù.
In generale, penso che all'interno di qualsiasi genere ci sia almeno una perla che valga la pena di essere giocata. Per quanto riguarda le mie abitudini videoludiche, ovviamente prediligo sandbox e open world, e, rullo di tamburi, sono un grandissimo appassionato di shoot'em up (non sparatutto 3d, ma shoot'em up in senso classico: 1942, Panzer Dragoon, Ikaruga... quel genere di titoli) forse perché li considero espressione dell'essenza videoludica al suo stato più puro. Ciò detto, la verità è che mi piace variare, un po' lo stesso approccio che noi italiani abbiamo verso la cucina. Mangiamo pasta quasi tutti i giorni, ma a parte la varietà infinita della pasta in sé, c'è un'incredibile diversità di altri primi, e poi secondi e contorni, e frutta e dessert, e caffè e ammazzacaffè (a differenza d'altre culture dove, per dire, si mangiano hamburger e fish and chips e poco altro). Più nel concreto, considerando le due settimane appena passate: ho finito Rage 2, per ovvie ragioni (e anche perché ero autorizzato a giocarlo in ufficio). Ho passato qualche ora su Breath of the Wild, come ogni settimana d'altronde. Si tratta d'un rituale che ha quasi del religioso. Breath of the Wild è quanto più s'avvicina alla perfezione in termini videoludici e di mondi aperti, e non smetto mai di imparare qualcosa di utile e di nuovo dal suo design. Ed ovviamente, è un piacere unico da giocare. Ho preso buone razioni giornaliere di Yakuza 0: c'è sempre un mondo aperto tra i titoli che sto giocando in ogni determinato periodo (al di là di Breath of the Wild). Forse per reazione ai grandi spazi di Just Cause, adoro l'approccio al mondo aperto di Kamurocho: relativamente piccolo ma estremamente denso. E la narrativa, assolutamente eccelsa, e tutta una serie di attività che oltre a conferire varietà all'esperienza di gioco fa un ottimo lavoro nell'immergerti nella fantasia d'esser parte di questa mafia giapponese. E ovviamente, un dettaglio fondamentale: da Yakuza 0 puoi anche giocare a Out Run e a Space Harrier, il che soddisfa quel bisogno di retrogaming che pure è ingrediente essenziale nella mia dieta videoludica. The Evil Within 2, l'avevo perso e l'ho appena riscoperto. Amo gli horror. Amo gli open world. E ammiro tantissimo Shinji Mikami: a tal proposito Resident Evil 4 va sicuramente citato tra i miei favoriti di sempre. Ti stupirà invece sapere che non ho ancora giocato Red Dead Redemption 2: a quanto pare si tratta di un titolo che richiede tanto impegno quasi fosse un lavoro, e per il momento preferisco godermi l'estate. I prossimi titoli in lista d'attesa son invece Outer Wilds (Mobius Digital) - come ogni game designer che si rispetti ho la mia fascinazione per il concetto d'anello temporale - e Fire Emblem: Three Houses: Fire Emblem è una delle mie serie favorite in termini di giochi di strategia

Il mondo dell'industry videoludico è piccolo e tutti conoscono un po' tutti. Siamo anche consapevoli anche che, a differenza del cinema, questo ancora non "brilli" di star mondiali che abbiano un'esposizione mediatica a 360 gradi, a parte rarissimi casi (pensiamo a Miyamoto, ad esempio). E sappiamo anche che questo mondo sia fatto da tantissimi ottimi professionisti che lavorano quasi nell'anonimato. C'è qualcuno che, quando hai iniziato, ti ha ispirato particolarmente? Oppure, qualcuno che hai conosciuto durante la tua carriera che ti ha particolarmente colpito a livello sia umano che professionale?
Decisamente sì. Il primo personaggio ad aver influenzato la mia filosofia di design in maniera radicale è stato Davide Soliani, in Ubisoft Milano. Passando a Ubisoft Québec, ho avuto preziosissimi insegnamenti in termini di approccio alla produzione da Marc-Alexis Côté e Fredreric Gagné, e un primo approccio alla direzione creativa da parte di Mario Lord. In Avalanche Magnus Nedfords, la mente che ha concepito Just Cause 2 e la filosofia alla base di tutti I giochi Avalanche; Michael Cheng, level designer "extraordinaire", ora in Sony Santa Monica; e Joe Ishikura, il miglior game designer con cui abbia mai avuto il piacere di lavorare, e sfortunata vittima delle idiosincrasie della nostra industria, ora lavora in Google.

Tra quanti anni vedrai il nostro paese diventare protagonista nello sviluppo di videogiochi?
Per cominciare, vedo segnali assai positivi: guarda al successo di Mario + Rabbids Kingdom Battle, e alla varietà di studi indipendenti lungo tutta la penisola, come Invader Studio, che sta per lanciare un horror, Daymare, che sto aspettando con grande curiosità e speranza! Siamo tra i popoli più creativi e culturalmente ricchi sulla faccia della pianeta, e penso proprio che riusciremo ad affermarci sulla scena videoludica internazionale nel giro dei prossimi anni.!