Nell'epoca dei remake e delle remaster che surclassano i giochi nuovi, il genere dei cosiddetti boomer shooter è in un certo senso la ciliegina sulla torta. Di fatto è l'affermazione di una fetta di videogiocatori ultra hardcore che per ritrovare certe sensazioni date dagli sparatutto in prima persona, o FPS che dir si voglia, bisogna guardare al passato, poiché i titoli moderni non riescono nemmeno a sfiorare il coinvolgimento offerto da un Doom o da un Duke Nukem 3D (due esempi tra i tanti fattibili).
Inoltre l'utilizzo delle vecchie tecnologiche, o di nuove usate per imitare le vecchie, consente uno sviluppo più umano, con team relativamente piccoli che non devono affrontare costi eccessivi e che possono accontentarsi di vendere decine di migliaia di copie, invece di milioni, per sopravvivere. Come tutti i generi però, anche quello dei boomer shooter rischia di inflazionarsi, così alcuni sviluppatori stanno tendando di percorrere delle strade leggermente differenti, come quella intrapresa da Terminist Arcade per Hyperviolent, che abbiamo provato aspettandoci qualcosa che però, a conti fatti, non è.
System che?
Abbiamo risposto a una chiamata di soccorso della base mineraria Commodus Asteroid 27-C. Arrivati sul posto sapevamo che potevano esserci problemi, ma non immaginavamo che tutti gli abitanti fossero diventati dei mostri assetati di sangue. Che cosa è successo? Questa la semplice premessa di Hyperviolent, che come avrete capito dall'introduzione è un FPS classico alla Doom con sprite 2D che affollano scenari 3D. In realtà all'inizio ci ha dato delle forti sensazioni da System Shock: atterrati nella base ci siamo infatti ritrovati senza armi ad affrontare l'ignoto. Raccolta una torcia e una pistola con pochissime munizioni, abbiamo imparato a poter impugnare due oggetti contemporaneamente, siano essi armi o strumenti utili. Abbiamo quindi scoperto di avere un inventario e di dover selezionare di volta in volta cosa usare. L'atmosfera della base ci è sembrata subito quella giusta: oscura e labirintica, traboccante di nemici dietro a ogni angolo. Il pensiero è volato libero verso il capolavoro di Doug Church e Warren Spector e abbiamo immaginato per qualche minuto di essere di fronte a una specie di immersive sim dallo stile retrò, per poi rimanere in buona parte delusi.
Quello che non sei
Il grosso problema di Hyperviolent è proprio nello strano fraintendimento creato da alcuni dei suoi sistemi di gioco, che portano il giocatore più volte a pensarlo per ciò che non è. Ad esempio all'inizio prendiamo la già citata torcia elettrica, che ci serve a illuminare le zone più buie della base. D'impatto si immagina che sia stato implementato un qualche sistema stealth, visto anche che siamo andati all'avventura senza portarci armi, ma presto si capisce che non è così e che i nemici si attivano semplicemente quando si entra nel loro raggio d'azione, a prescindere dal fare o meno rumore. Quindi a pagare è solo l'approccio diretto, per così dire, quello che porta a studiare il modo più efficace per ucciderli. Lo stesso dicasi per l'inventario: averne uno con caselle in cui piazzare gli oggetti fa pensare a una gestione più complessa del bottino rispetto all'FPS medio, che però non arriva mai, almeno nella versione attuale del gioco (è ancora in accesso anticipato). Di fatto ci si limita ad andare in giro e a cercare chiavi colorate per aprire le porte, come in un DOOM qualsiasi, con alcuni momenti alla Descent che sono i più frenetici, ma anche i più riusciti perché risultano essere esattamente quello che suggeriscono sin da subito.
Il terzo sistema contraddittorio è quello che guarda ai survival horror, con le munizioni per le armi da fuoco che sono sempre molto scarse e i nemici che assorbono tanti colpi prima di cadere (sempre che non gli si spari in testa). In linea teorica il tutto dovrebbe favorire un approccio più cauto e avrebbe anche senso se poi il nostro personaggio non avesse dei pugni d'acciaio, che fanno più danni delle pallottole, e i nemici non seguissero degli schemi d'attacco prevedibilissimi. In che senso? Nella sostanza basta indietreggiare e prenderli a pugni per non dover sprecare munizioni, usando le stesse solo con gli avversari dotati di armi da fuoco. Insomma, ogni volta che Hyperviolent prova a usare un verbo diverso da "spara", sembra sbagliare coniugazione, finendo per farfugliare e non portare da nessuna parte, tanto che all'inizio il giocatore ha più problemi a risolvere le contraddizioni del gameplay che a giocare.
Quando si fa pace con l'idea che ci troviamo di fronte a uno sparatutto puro, con solo l'odore di altri generi, si comincia ad apprezzare di più, anche se un certo amaro in bocca rimane. Anche perché avanzando nell'avventura un po' ci riprova a essere altro, introducendo meccaniche da gioco di ruolo come il potenziamento delle armi e alcuni PNG con cui interagire. Purtroppo sembra rimanere tutto un po' troppo in superficie, per convincerci davvero che ci si trova di fronte a un titolo più complesso di un FPS che fa il cosplay di un immersive sim.
Hyperviolent dovrebbe per prima cosa provare a fare chiarezza con se stesso: è uno sparatutto che ti illude di poter essere un immersive sim, ma senza crederci fino in fondo. Propone quindi alcune meccaniche contraddittorie, che consentono di godersi il gioco solo quando si capisce che non porteranno nella direzione che si pensa. Vedremo come si evolverà nel corso dell'accesso anticipato, sperando che risolva al più presto i suoi conflitti interni.
CERTEZZE
- L'atmosfera sembra essere quella giusta
- Veloce e dinamico, quando si spara
DUBBI
- Sembra voler essere qualcosa, ma si rivela qualcos'altro