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The Last of Us: il podcast ufficiale. Cosa abbiamo appreso dalla prima puntata

La prima puntata del podcast di The Last of Us è apparsa in rete. Ecco cosa abbiamo scoperto ascoltandola.

VIDEO di Aligi Comandini   —   09/06/2020

Con The Last of Us: Part 2 in avvicinamento, la macchina mediatica di Sony e dei Naughty Dog ha iniziato a muoversi in vari modi. Uno di questi è un interessante podcast ufficiale sul primo The Last of Us, di cui è uscita la puntata pilota da pochissimo. L'episodio si concentra sulle prime fasi del gioco, e vi consigliamo l'ascolto se siete interessati a un po' di sana analisi delle motivazioni dei personaggi e della loro caratterizzazione, dato che Troy Baker e Ashley Johnson sono coinvolti assieme a Neil Druckmann (e spiegano piuttosto nel dettaglio come hanno deciso di tratteggiare caratterialmente i protagonisti). Noi però oggi vogliamo concentrarci su alcune informazioni interessanti legate allo sviluppo del titolo e al suo apprezzatissimo prologo, che vengono svelate durante la puntata.

Proprio parlando del prologo, pare che inizialmente fosse molto diverso: la fase iniziale doveva essere nei panni di Joel, partire da una visita al vicino infettato, e - poi dopo la prima vera uccisione del gioco - riportare a casa il protagonista a recuperare la figlia Sarah. Rendendosi conto però che si trattava di qualcosa di già visto (oltre a poter essere potenzialmente molto più di impatto), gli sviluppatori hanno deciso di mettere il giocatore nei panni della ragazzina. La scelta si è rivelata perfetta non solo per la forza del tutto, ma anche perché Sarah è la ragione per cui Joel è il personaggio che è, quindi risulta un utile rimando per capire dove vada poi a parare la storia. L'orologio rotto di Joel e la scena del regalo sono peraltro pensati per rafforzare ancor di più l'insieme: l'oggetto è un simbolo di quella relazione che Joel porta sempre con sé.

Altra curiosità? Pare che The Last of Us sia una storia di prospettiva ispirata da una questione politica israeliana, durante la quale il primo ministro accettò di salvare un soldato rapito scambiandolo con un centinaio di miliziani di Hamas. Quando Druckmann chiese al padre se questa fosse stata secondo lui una scelta giusta, questi rispose "me lo stai chiedendo come primo ministro o come padre del soldato? Perché la risposta sarebbe completamente diversa". Come primo ministro la scelta può anche venir vista come errata, ma come padre saresti disposto a tutto pur di salvare quel soldato; è una questione di prospettive.

Anche Troy Baker è poi intervenuto, parlando della preparazione mentale per la scena della morte di Sarah. Sapeva che sarebbe arrivata e ha avuto tempo per prepararsi, ma una volta giunto il momento ha letteralmente perso la testa, e l'ha descritta come "mettere la bocca su un idrante". A un certo punto non c'è più Joel in quella scena, c'è solo un Troy distrutto. L'attore a quel punto credeva di aver recitato alla perfezione, eppure Druckmann gli ha detto di rifarla addirittura altre cinque volte, provocandogli non poco fastidio. Un mese dopo, gliela hanno fatta rifare ancora, nonostante lui fosse piuttosto adirato e convinto della bontà del primo take. Pare però che Druckmann lo abbia convinto, spiegandogli che nelle scene lui era riuscito ad essere un credibile uomo distrutto, ma non era ciò che serviva al gioco, e facendogli capire che la parte importante della scena era in realtà il disperato tentativo di salvare la figlia e di risolvere una situazione irrisolvibile. Quello che mancava era, parole del director: "il cosa sta succedendo, sta succedendo questo, posso sistemarlo, non sta funzionando, se n'è andata, ora sono distrutto". Qui Baker ha realizzato che Druckmann era il miglior director con cui avesse lavorato. Il podcast continua concentrandosi sui 20 anni dopo e la scena dell'uomo infettato da uccidere con Joel e Tess. Qui Druckmann spiega che The Last of Us non è un gioco con scelte morali precise che modificano il personaggio, ma un gioco in cui il role playing è più importante, perché Joel è ben definito ma sta al giocatore interpretarlo. Un esempio è proprio quella scena, in cui si può sparare all'uomo con Joel, ma se si aspetta troppo ci pensa Tess. Piccoli dettagli che cambiano molto (Baker, curiosamente, non sembrava sapere della possibilità dell'intervento di Tess durante la scena). A questo punto si passa alla prima scena con Ellie, e al rapporto col personaggio di Ashley Johnson, che spiega di essere molto possessiva per quanto la riguarda. La cosa più importante per l'attrice è stata mostrare tutti i lati caratteriali della ragazza, anche le vulnerabilità, perché è questo a rendere un personaggio femminile interessante. Ellie inoltre, stando a Druckmann, è una finestra molto interessante sul gioco, perché Joel viene da un mondo normale che anche noi conosciamo, ma lei conosce solo il mondo dopo la pandemia. È in pratica un modo per rendere speciali cose che noi diamo per scontate.

Staccandoci momentaneamente dalle caratterizzazioni dei personaggi, altre informazioni interessanti uscite riguardano gli infetti, poiché pare che inizialmente ci fossero solo Clicker, e sia stato Bruce Straley - co director del gioco - a cambiare le cose molto in là nella produzione, dividendo in quattro tipologie gli infetti. Gli Stalker in particolare sono stati aggiunti a soli due mesi dalla conclusione, ed è plausibilmente questo il motivo per cui fanno parte di soli due encounter. Un bel quantitativo di informazioni in questa prima puntata insomma e, come detto, ce ne sono molte altre sul ruolo di Tess e la visione degli attori coinvolti.

Trovate l'intero episodio del podcast ufficiale di The Last of Us su Spotify.

The Last of Us: il podcast ufficiale. Cosa abbiamo appreso dalla prima puntata