con i vari sequel si è cercato di battere strade che potessero portare ad un rinnovo dell’interesse da parte dei giocatori
In questo nuovo American Wasteland, già uscito su console e in arrivo anche su PC, il processo di rinnovamento della struttura portante non si è fermato. Per la prima volta, infatti, alla classica presenza della tavola su quattro ruote si affianca quella delle BMX, le quali sembrano offrire a loro volta una bella dose di divertimento. A differenza dei due capitoli precendenti, lo story-mode può vantare una trama più articolata ed interessante, e si è provato a riunire i vari livelli di gioco in un unico, grande stage di Los Angeles nel quale si può visitare tutta l’area disponibile senza imbattersi in caricamenti che spezzino il ritmo della partita (almeno sulla carta).
Lo story mode mette il giocatore nei panni di uno skater senza nome che si trasferisce a Los Angeles per provare a sfondare. Le peripezie cominciano appena scesi dal pullman, quando inizia la spirale che porterà il novellino a diventare un campione suburbano, con tanto di “crew” di teppistelli al seguito e uno skatepark personale.
All’inizio lo skater virtuale sarà piuttosto debole, e come ogni novellino che si rispetti non saprà eseguire la maggior parte delle manovre che sono ormai nel DNA della serie (come manual e compagnia bella) finché non riuscirà ad impararle. Per arrivare a padroneggiare le tecniche più difficili, ci vorrà parecchio tempo (e ce ne vorrà parecchio anche al giocatore in caso non possegga un joypad, magari col layout di quello PlayStation 2).
Il dubbio, però, non risiede nello story mode, bensì nell’appeal generale che questo capitolo può offrire avendo alle spalle ben sei prequel. Le BMX sono un discreto incentivo ad andare avanti, e la giocabilità è la solita alla quale i fan sono abituati. Ma forse è proprio questo il problema: le meccaniche di gioco cominciano a sentire un po’ il peso degli anni, e a lungo termine c’è l’impressione che American Wasteland non abbia i numeri per catalizzare a dovere l’attenzione dei veterani. Nonostante i propositi di rinnovamento, il rischio che molti possano pensare “è sempre la solita minestra” incombe.
le meccaniche di gioco cominciano a sentire un po’ il peso degli anni
Dal punto di vista grafico, la versione da noi provata è comunque di discreta fattura, e si distingue per una maggior cura nei dettagli secondari rispetto ai capitoli precedenti. Le aree di gioco sono mediamente più grandi di quanto visto l’anno scorso, ma non fedeli alle dimensioni che Neversoft vorrebbe far credere nei comunicati stampa. Molti degli effetti sonori sono stati riciclati dai vecchi Tony Hawk, e non è difficile indovinare lo stile della colonna sonora, fedele ai canoni della serie.
Per saperne di più su Tony Hawk’s American Wasteland, vi rimandiamo all’imminente recensione di Multiplayer.it.
Non c'è sei senza sette
Quello del campione di skateboard Tony Hawk è ormai un franchise fortemente consolidato nel panorama dei videogiochi: dal 1999 sono infatti usciti ben sette diversi titoli, i quali hanno coperto praticamente qualsiasi piattaforma sul mercato. Il primo capitolo “Tony Hawk’s Pro Skater”, uscito su PlayStation, è stato una vera e propria sorpresa, un fulmine a ciel sereno che ha colpito milioni di giocatori in tutto il mondo grazie ad un’ottima grafica, una colonna sonora particolarmente azzeccata ed adrenalinica e, ultimo ma non meno importante, un sistema di trick già piuttosto ben studiato che assicurava vette di giocabilità altissime. Con i vari sequel a cadenza annuale, soprattutto negli ultimi tempi, si è cercato di battere strade che potessero portare ad un rinnovo dell’interesse da parte dei giocatori, e si è quindi cominciato ad inserire sistemi di trick sempre più complicati (e meno realistici), modalità aggiuntive come lo story-mode, nonché nuovi testimonial carismatici come Bam Margera, skateboarder professionista diventato idolo dei teenager americani grazie a trasmissioni televisive come “Jackass” o “Viva la Bam”.