Probabilmente a causa del periodo natalizio, ai più è sfuggita una notizia rilevantissima per il nostro settore: l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) sta per inserire la dipendenza da videogiochi tra i disturbi comportamentali da dipendenza. La bozza dell'ICD-11, undicesima revisione della "Classificazione internazionale delle malattie, dall'inglese "International Classification of Diseases" che, come riporta il sito ufficiale del Ministero della Salute: "fornisce un linguaggio comune per codificare le informazioni relative alla morbilità e mortalità in modo da disporre di dati comparabili per le statistiche e il monitoraggio epidemiologico," stabilisce tre criteri fondamentali per diagnosticare il cosiddetto "Gaming disorder": 1) mancanza di controllo sull'atto del videogiocare ( es. inizio, frequenza, intensità, durata, termine, contesto); 2) priorità crescente data al videogiocare rispetto ad altre attività quotidiane; 3) continuazione o escalation dell'attività del videogiocare, nonostante il manifestarsi di conseguenze negative.
Ovviamente viene riconosciuto un disturbo quando il comportamento dell'individuo va a compromettere significativamente la sua vita (rapporti sociali, famigliari e lavorativi) per un lasso di tempo rilevante (parliamo di mesi, non di giorni). Come già detto, per ora l'articolo è ancora una bozza, liberamente consultabile online, quindi potrebbe essere modificato nelle prossime settimane (la pubblicazione della versione definitiva dell'ICD-11 è prevista per il 2018).
La materia è complicata e non vogliamo metterci a fare gli psichiatri d'accatto, quindi non vi daremo una nostra opinione, andando oltre le nostre competenze. Ciò che conta in questo contesto è capire bene di cosa si stia parlando, evitando magari di fare come quei commentatori da social che, partendo dall'esperienza di un cugino di quinto grado o di un amico di un amico, hanno già emesso le loro sentenze anti-Oms.
Chiariamo: i videogiochi in quanto tali non vengono colpevolizzati. Ossia, nessuno sta affermando che videogiocare sia di suo un comportamento patologico o che causi automaticamente dipendenza. Come del resto mangiare non rende automaticamente bulimici o apprezzare il vino non trasforma necessariamente in alcolisti. Qui si parla di situazioni in cui il videogiocatore perde completamente il controllo e non riesce a smettere di giocare, andando a compromettere in modo importante la sua vita.
Per un quadro più accurato delle conseguenze che si possono avere sviluppando una dipendenza, leggiamo quanto scritto dallo psichiatra Tonino Cantelmi nel secondo numero del 2004 (periodo maggio / agosto) della rivista Psicobiettivo:
"A livello economico si manifesta spesso una diminuzione del patrimonio familiare dovuta alle spese che riguardano direttamente il comportamento oggetto della dipendenza o dovute alla perdita del proprio posto di lavoro a causa dei comportamenti compulsivi interferenti con l'attività lavorativa.
Le conseguenze emotive più frequenti ed evidenti sono relative alla repressione dei sentimenti e delle emozioni, o all'incapacità di gestirli ed integrarli, con una conseguente interruzione della crescita emotiva. Parallelamente si sviluppano sentimenti negativi come senso di colpa e vergogna, depressione, perdita dell'autostima, perdita di scopi per la propria vita. Un blocco delle proprie emozioni implica anche un progressivo isolamento sociale in quanto le nostre relazioni intime si basano fondamentalmente su uno scambio ed una comprensione emotivi.
A livello cognitivo i dipendenti manifestano problemi di attenzione (mancanza di concentrazione, di acuità mentale, di vivacità e vigilanza, intrusione di pensieri e fantasie non volute), distorsioni sui modo di pensare (mentire, negare, razionalizzare, minimizzare e proiettare) e convinzioni di base disfunzionali (riguardo se stessi, i propri bisogni, le relazioni e il comportamento dal quale dipendono)."
Come avrete capito, stiamo parlando di problemi ben più gravi di quelli causati da qualche intensa sessione di gioco. Per dire, se avete passato una notte a giocare a World of Warcraft non siete malati, ma se ci avete passato sedici ore al giorno per un anno di fila, isolandovi completamente dal resto del mondo, iniziate pure a farvi qualche domanda.
Insomma, i videogiochi non sono sotto attacco, come vorrebbe qualcuno. Anzi, era ora che qualcuno istituzionalizzasse una problema conosciuto da tempo e che va crescendo nelle dimensioni a causa del diffondersi dei nuovi modelli di videogioco, pensati per una fruizione ossessiva e illimitata (pensate a come sono concepiti moltissimi free-to-play).