Deliri evangelici con echi brechtiani a parte, pensate a quanto sarebbe bello un mondo senza esclusive come preconizzato da Phil Spencer. Guardi la presentazione di un qualsiasi gioco e non ti devi preoccupare di attendere la fine per leggere se tra le piattaforme supportate ci sia anche la tua. Quando devi scegliere quale hardware da gioco acquistare non devi stare lì a lambiccarti di quali giochi ci gireranno e quali no. Che tu abbia speso cento o duemila euro puoi comunque giocare in maniera degna grazie al cloud. I cambi generazionali diventano più sfumati, quasi impercettibili. Nessuna console war sui social o sui forum. Al massimo ci sono i fan di questo o di quell'editore, in base ai propri gusti personali, ma sono meno molesti dei fan delle piattaforme perché maggiormente dispersi.
Non sarebbe un mondo da favola? Meno conflitti, meno questioni insulse di cui preoccuparsi, più possibilità di gioco per tutti. Purtroppo ottenerlo non è facile, almeno non quanto desiderarlo, ma la strada imboccata dall'industria sembra essere questa. Il motivo è che non è più conveniente per nessuno dividere l'utenza in fazioni. Ai nuovi modelli di gioco, in particolare a quelli live service, servono grossi numeri, numeri che non si riescono più a fare facilmente con le singole piattaforme. Così Bungie impone a Sony tra i termini dell'acquisizione di rimanere uno studio multipiattaforma e Microsoft si guarda bene di togliere il supporto a PlayStation con Call of Duty, per motivi contrattuali sicuramente, ma anche per convenienza: più giocatori ci sono, più un gioco è coinvolgente. Come spiegava Elias Canetti in Massa e Potere, le masse non godono del messaggio che ascoltano, ma principalmente delle loro dimensioni.
Certo, tutti questi sono solo dei piccoli segni, ma la strada sembra già essere tracciata, ed è quella che Phil Spencer sta seguendo ormai da anni. Sinceramente più che per l'idea avuta, in realtà derivata dall'osservazione del mercato mobile, gli va dato il merito di averla spinta in un settore squisitamente conservatore come quello console.
Mentre stavamo tutti lì a preoccuparci del numero di esclusive annuali di questo o quel produttore, l'industria cambiava sotto ai nostri occhi senza che ce ne accorgessimo. O senza che ce ne volessimo accorgere. Un certo modo di concepirla è invecchiato di colpo e non abbiamo potuto farci niente.
Leggendo con attenzione le parole pronunciate da Spencer ai microfoni di Bloomberg, è facile accorgersi che per lui quel mondo esiste già, bisogna solo adeguare l'industria:
"Magari capita che a casa vostra abbiate acquistato una Xbox e io abbia acquistato una PlayStation, ma i nostri figli vogliono giocare insieme e non possono soltanto perché abbiamo comprato il pezzo di plastica sbagliato da collegare al televisore. Ci piacerebbe davvero poter accogliere nuovi utenti e ridurre le frizioni, fare in modo che la gente si senta al sicuro quando gioca, che possano trovare gli amici, giocare con loro a prescindere dal tipo di dispositivo."
I figli, piccoli e ancora non avvelenati dalla console war e da altre tragedie mentali simili, vogliono solo giocare insieme. I consumatori di videogiochi del presente e dell'immediato futuro hanno già scelto. Vogliono accendere un telefono e giocare con i loro amici. Vogliono sedersi sul divano, accendere una console e poter fare lo stesso. Il concetto di piattaforma è un limite, così come lo è quello di esclusiva, perché spesso gli impedisce di esaudire quello che è un desiderio naturale, quasi scontato a una certa età, che è condividere un'attività ludica con i propri pari.
L'industria sa che oggi desiderio frustrato equivale a meno consumo o a un consumatore che guarda altrove. Quindi si sta adeguando.