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Da oggi i videogiocatori sono tutti dei malati di mente?

Cerchiamo di capire perché l'inclusione della dipendenza da videogiochi nell'ICD-11 non è un atto di accusa, ma solo una necessità

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   19/06/2018

Il fatto: l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha incluso la dipendenza da videogiochi nell'ICD-11 (International Classification of Diseases).

Apriti cielo! I videogiocatori, dopo aver preso una laurea lampo in psicanalisi (bastano un paio di click sui siti giusti), si sono scagliati in massa contro questa decisione al grido "non siamo dei malati mentali!" E chi lo avrebbe mai detto? Non certo l'OMS

Buona norma suggerirebbe, per un caso così complesso, che coinvolge delle discipline specialistiche, di provare prima a capire di cosa si stia parlando e solo poi aprire bocca, fisicamente o metaforicamente. Ad esempio prima di stracciarsi le vesti si sarebbe potuto andare a guardare fisicamente (in senso lato) l'ICD-11; non per leggerlo, ma solo per osservarlo. L'ICD è un manuale tecnico di centinaia di pagine in cui vengono classificate tutte le malattie diagnosticabili. Non è una piacevole lettura da fare prima di addormentarsi, ma è un testo che serve a specialisti e professionisti come riferimento per individuare una patologia partendo da sintomi riconosciuti. L'ICD non è nemmeno un Vangelo, visto che nel corso degli anni viene costantemente aggiornato e modificato, così da includere le nuove patologie o rivedere le vecchie, in caso di nuove scoperte scientifiche.

A rischio di semplificare troppo la questione, cerchiamo di capire come funziona (ovviamente sono bene accetti tutti gli interventi che possano arricchire l'argomento con maggiore competenza della nostra): mettiamo che qualche mese fa il piccolo Pierpaolo fosse stato portato da papà Pianesani dallo psichiatra perché non riusciva più a staccarsi da Candy Rush. Il giovane Pierpaolo passava una quantità eccessiva di tempo con il gioco, tanto da compromettere il suo benessere (studi, famiglia, affetti, salute, carriera nel porno). Già da prima dell'aggiornamento dell'ICD lo psichiatra avrebbe definito il piccolo Pierapaolo dipendente dai videogiochi, anche perché secondo il nostro esempio lo è nei fatti. E allora a cosa serve dargli un nome, se già poteva essere diagnosticata? A molto, sia a livello medico, perché così si ha una base comune cui tutti gli aderenti all'OMS possono fare riferimento (per rimanere al nostro esempio: senza una classificazione universalmente riconosciuta, uno psichiatra avrebbe potuto definire il disturbo del giovane Pierpaolo "dipendenza da Candy Rush", un altro "dipendenza da giochi con caramelle colorate" e un altro ancora "dipendenza da videogiochi casual brutti"), sia a livello giuridico, perché in questo modo i tribunali possono fare riferimento all'ICD per aiutarsi a stabilire alcune verità processuali (rimanendo al nostro esempio: il giovane Pierpaolo potrebbe decidere di denunciare il produttore di Candy Rush per aver indotto la sua malattia, ora riconosciuta come tale, ottenendo magari un risarcimento). Insomma, dove lo vedete l'attacco al mondo dei videogiochi in quello che è un semplice strumento tecnico? Come dicevamo, nell'ICD sono classificate migliaia di patologie, comprese ad esempio quelle sessuali. Vi risulta che qualcuno abbia vietato il sesso negli ultimi anni? Il sesso è splendido, ma può diventare problematico. Riconoscerlo non equivale a demonizzarlo, ma solo accettare che spinto oltre certi limiti finisce per comprometterti la vita. Allo stesso modo, riconoscere l'esistenza del rischio di sviluppare una dipendenza da videogiochi non significa affermare che i videogiochi siano una problema in quanto tali, ma solo che superare certi limiti è pericoloso per la salute.

Insomma l'alzata di scudi dei videogiocatori ci sembra in questo caso il frutto di un semplice fraintendimento, più che la reazione a un rischio reale.

Invece non è così per l'ESA (Entertainment Software Association), che invece ha tutto l'interesse a non far includere la dipendenza da videogiochi nell'ICD. Per tutelare il mondo dei videogiochi? Quasi, ma sarebbe più corretto dire "per tutelare i grandi publisher e il loro soldi."

Ritorniamo all'esempio del giovane Pierpaolo: mettiamo che il ragazzo vinca la causa e che il tribunale riconosca che la sua dipendenza sia stata indotta anche dal design del gioco. Mettiamo che, a catena, qualcuno decida di denunciare tutti i publisher che hanno lanciato prodotti studiati in modo simile, ossia per stimolare dipendenza nei soggetti deboli in modo da fargli spendere fortune in microtransazioni e affini...

Capito perché l'ESA teme la classificazione? Riconoscere un disturbo significa anche studiarne le cause, cause che qualcuno potrebbe poi chiedere di rimuovere o di regolamentare in modo più severo.