Che l'utilizzo di software di terze parti all'interno di PUBG fosse un problema di grosse dimensioni in Cina era cosa nota, ma probabilmente non ci si aspettava una situazione così grave.
Il problema infatti non è tanto legato ai cheater, che sono comunque una piaga importante per l'equilibrio dell'ambiente di gioco, quanto piuttosto alle derive di hacking che l'utilizzo di software per il cheating comporta: in diversi casi, questi software che dovrebbero facilitare le performance all'interno di PUBG contengono virus di tipo trojan o simili che portano al furto di dati e altri crimini informatici. Il fenomeno ha raggiunto un livello tale da spingere il governo cinese ad agire col pugno di ferro in collaborazione con Tencent, che fa da publisher al gioco in Cina, eseguendo operazioni su vasta scala che sono giunte e numerosi arresti.
Al momento siamo arrivati a 141 arresti effettuati nelle operazioni finora, con 200 dispositivi hardware sequestrati tra PC, USB drive e smartphone. Da notare peraltro come questo fenomeno sia concentrato in maniera particolare in Cina, dove sono stati effettuati il 99% dei ban eseguiti nel corso dell'anno per PUBG. Allen Zheng di Tencent ha riferito di recente che contrastare i cheater è "una battaglia senza fine", anche perché i sistemi per aggirare i dispositivi di sicurezza si evolvono in continuazione.