Il livello di difficoltà dei giochi From Software, per quanto riguarda la produzione di soulslike è simili, ha iniziato a mettere in piazza la discussione sull'accessibilità dei giochi ma sembra che l'argomento sia esploso in maniera definitiva con l'uscita di Sekiro: Shadows Die Twice. Questo può avere varie spiegazioni, dalla fama internazionale ormai raggiunta dal team, i cui titoli sono ormai trattati quasi come i colossal di produttori come Rockstar e Sony, all'importanza di quest'ultimo gioco in particolare, giunto nel momento della maturità di questo pseudo-genere (sebbene Sekiro se ne discosti in buona parte) e dunque più portato all'attenzione del grande pubblico. Tuttavia, la ragione principale risiede probabilmente nella natura stessa del gioco e nelle sue distintive peculiarità che lo differenziano anche dai titoli precedenti di Hidetaka Miyazaki e compagni. Anche all'interno dei cosiddetti "maso-core", ovvero quei giochi che sembrano voler puntare sulla difficoltà per attrarre i giocatori più accaniti, Sekiro si differenzia per degli aspetti particolari.
La differenza maggiore è probabilmente data dalla mancanza di un qualsiasi tipo di livellamento o progressione del personaggio, cosa che rende, di fatto, ogni vita persa "inutile" ai fini dell'evoluzione palese del personaggio, cosa che non succedeva in Dark Souls e che aumenta il senso di frustrazione sia per la mancanza di un meccanismo di grinding che può portare a risultati migliori con la semplice perseveranza, sia perché appunto aumenta il senso di sconfitta ad ogni morte del protagonista, poiché questa non lascia nulla in mano al giocatore. Inoltre, la presenza delle evocazioni rappresentava una sorta di rete di sicurezza che poteva fornire un bell'aiuto nei momenti di maggiore difficoltà, sempre meglio che non avere assolutamente nulla a cui aggrapparsi. Tuttavia, questo potrebbe essere semplicemente un ritorno alle meccaniche più classiche dei videogiochi: l'evoluzione di questi e l'allargamento del pubblico ci hanno abituato a meccanismi che evitano in ogni modo la frustrazione e consentono una progressione costante, come l'inserimento di skilltree e simili in praticamente qualsiasi tipologia di gioco, lo sblocco di perk e abilità attraverso l'accumulo di esperienza e altri espedienti che servono per arricchire il bagaglio dell'avatar nel gioco durante ogni singola partita, quasi a prescindere dai risultati ottenuti. Questo consente sia di far evolvere il protagonista e renderlo più capace, dunque aumentando le possibilità di superare le avversità, sia di "dare un senso" a ogni singola sessione di gioco.
In Sekiro questo non avviene, o almeno l'arricchimento non avviene in maniera "palese" all'interno del gioco, perché come ai vecchi tempi degli action a 8 a 16-bit, o ancora di più in sala giochi, ad ogni sessione si può arricchire solo l'esperienza del giocatore stesso e la sua abilità derivante dall'addestramento continuo. Questo comporta ovviamente tempi più lunghi e una maggiore quantità di pazienza, propensione e dedizione per poter ottenere dei risultati ed è una caratteristica particolarmente apprezzabile e rispettabile per un videogioco, proprio nell'ottica della fedeltà a una tradizione classica del medium in questione. Tuttavia, c'è da chiedersi se davvero un ampliamento delle opzioni di gioco, con la possibilità di renderne le dinamiche più facilmente assimilabili da una maggiore quantità di persone, possa essere una cosa negativa. Parlare di tradimento della visione creativa originale di From Software può essere esagerato, dal momento che Sekiro si propone comunque come un viaggio affascinante, che i giocatori intraprendono non soltanto per sbattere la testa contro i muri rappresentati dai boss ma anche per esplorare quell'ottima reinterpretazione del Giappone dell'epoca Sengoku che gli sviluppatori hanno messo insieme.
Sarebbe dunque cosa buona e giusta consentire a più persone di goderne appieno e soprattutto evitare che molti abbandonino l'impresa a causa della frustrazione e si perdano dunque la maggior parte di quel mondo. Da una parte, bisogna dire che proprio questo alto livello di difficoltà funge da cifra stilistica per From Software e ha ormai, probabilmente, anche una vera e propria valenza promozionale, dunque è difficile dire se la selettività sia veramente un freno al successo di questi giochi o funzioni invece all'opposto. Dall'altra è indubbio che non siano i titoli più accessibili del mondo e su questo potrebbero essere trovate delle soluzioni anche senza tradirne lo spirito, come fatto da un altro titolo citato in questi giorni come esempio di gioco difficile ma con una particolare attenzione all'accessibilità, ovvero Celeste. Anche Cory Barlog, director di God of War, è entrato nella discussione affermando che l'accessibilità non rappresenta un limite con la sua visione dei videogiochi, ma è chiaro come l'action di Santa Monica sia un prodotto essenzialmente diverso da Sekiro, con presupposti e target differenti, dunque dal suo punto di vista la questione appare più semplice.
Da parte sua, Hidetaka Miyazaki non è entrato direttamente nella questione ma considerando le caratteristiche dei suoi giochi è facile vedere il perseverare di una visione che sembra offrire poche possibilità di apertura per coloro che non hanno modo o intenzione di entrare nelle dinamiche profonde dei suoi giochi. In sostanza, è il giocatore che deve entrare in sintonia con Sekiro (così come accadeva con i Souls) e non viceversa, ed è una posizione rispettabile, come detto in precedenza. Si dovrebbe magari analizzare il concetto stesso di accessibilità applicato a questo caso: se si parla di veri impedimenti tecnici o fisici, l'inserimento di alcune opzioni aggiuntive potrebbe venire incontro a utenti che vorrebbero giocare Sekiro ma sono effettivamente impossibilitati a sottostare alle sue richieste, ma in qualsiasi altro caso si tratta semplicemente di predisposizione del giocatore all'inflessibile addestramento del gioco e su questo potrebbe aver ragione chi dice che l'aggiunta di una modalità facile equivarrebbe a sminuirne il valore, anche se il discorso in questo senso assume spesso un tono elitista che non è per nulla simpatico.