Sin dai tempi della ION Storm di John Romero, quando delle firme di successo decidono di abbandonare i rispettivi publisher per dar vita ad una software house indipendente, sistematicamente i riflettori dei media vengono puntanti sul primo progetto attorno al quale maturano le immancabili ed elevate aspettative. Il copione si è ripetuto con Outlast di Red Barrells, società canadese fondata da Philippe Morin (Prince Of Persia: The Sands Of Time, Uncharted: Drake's Fortune), David Chateauneuf (Splinter Cell: Conviction, Assassin's Creed) e Hugo Dallaire (Army Of Two).
Il milione di visualizzazioni registrato dai contatori di Youtube sulle pagine del teaser trailer è un valido indicatore per misurare i livelli di attesa creatisi sul titolo annunciato nell'ottobre del 2012 a Montreal. Lo scopo dei nostri è quello di suscitare delle emozioni forti, tali da rimanere vive anche una volta terminata la sessione di gioco: per tale motivo la scelta è ricaduta sul genere dei survival horror. La storia, francamente banale e pretestuosa, viene raccontata senza l'ausilio di costose cutscene, ma affidandosi alle sole annotazioni del giornalista d'assalto Miles Upshur, intrufolatosi nel fatiscente manicomio di Mount Massive, in Colorado, da poco riaperto dalla multinazionale Murkoff Corporation per progetti di ricerca. Peccato che i metodi utilizzati non siano propriamente ortodossi e che le povere anime intrappolate nella magione, sottoposte ad ogni tipo di esperimento psichico, si siano trasformate in spaventose ed inafferrabili macchine da guerra. Peccato soprattutto che il nostro beniamino non abbia approfittato delle ampie possibilità offerte da questo Stato degli USA (uno dei più liberali in materia di commercio d'armi) e abbia deciso di avventurarsi nei corridoi del terribile complesso munito della sola handycam a raggi infrarossi la cui indispensabilità sarà ben presto palese non solo per orientarsi nei tanti meandri oscuri in cui barricarsi per salvarsi dagli attacchi dei neo-zombie, ma anche perché certi indizi relativi alla storia vengono annotati nel taccuino solo dopo che sono stati catturati dall'occhio della videocamera.
Outlast è un buon survival horror, ma con i nomi in ballo l'asticella era più alta
Non aprite quella porta… o meglio, chiudetela
I primi minuti sono sufficienti a prendere le misure dell'essenziale interfaccia di gioco: il pulsante sinistro del mouse serve per agire in modo più o meno violento sulle porte e per raccogliere gli oggetti (tra cui le salvifiche pile stilo), mentre quello destro è demandato ad un massiccio utilizzo dell'idrovorico strumento di registrazione, il cui zoom è regolato dalla rotellina centrale.
L'assenza di HUD non si fa sentire e, anzi, gioca a favore dell'immedesimazione. Quando un militare impalato, esalando le ultime parole, riuscirà a rinsavire l'incosciente Miles, sarà ormai troppo tardi e il reporter si troverà imprigionato all'interno di lugubri stanze imbrattate di sangue e arredate con resti umani (immancabile la classica testa mozzata nel water): lo scopo è quello di uscirne indenni senza dare troppo nell'occhio ai molesti ospiti della magione, cercando magari di capire quali esperimenti abbiano potuto portare all'incredibile situazione. Compito più facile a dirsi che a farsi: ogni singolo anfratto può infatti celare un maniaco pronto a mettere a dura prova le coronarie del giocatore. Tanto è scriptata la struttura del gioco da chiedersi se sia corretto catalogarlo come videogame o piuttosto come esperienza interattiva. A differenza di Amnesia: The Dark Descent, a cui i ragazzi di Montreal devono più di qualcosa, in Outlast non ci sono puzzle da risolvere, ma una semplice serie di compiti da portare a termine in sequenza, con il classico "trova-la-chiave-e-apri-la-porta" a farla da padrone. Gli unici ostacoli che si interpongono tra il giornalista e la via d'uscita sono "alcuni" ospiti del manicomio, il cui comportamento è ben definito: nella maggior parte dei casi sarà sufficiente scoprire il percorso che seguono per evitare di entrare nel loro raggio di azione, magari nascondendosi dentro ad armadietti o sotto i letti, per poi sgattaiolare furtivamente verso l'obbiettivo successivo; in altri bisognerà darsi alla fuga cercando di raggiungere, nel minor tempo possibile, delle posizioni inaccessibili al nemico.
Questi frangenti risultano in prima battuta estremamente adrenalinici, grazie alla brillante possibilità di guardarsi alle spalle mentre si continua a correre nella direzione opposta ed alla presenza di ostacoli da evitare in stile Mirror's Edge, coordinando con precisione la i comandi per saltare e abbassarsi, e soprattutto richiudendo tutte le porte alle proprie spalle per rallentare l'avanzata dei maniaci di turno. Tuttavia, la ricerca del percorso "giusto", resa spesso difficoltosa dalla mancanza di illuminazione, può richiedere diversi tentativi durante i quali l'effetto paura diminuisce inevitabilmente la propria carica. La tensione si mantiene invece sempre su livelli elevati nelle lente fasi esplorative, in cui l'attesa che succeda qualcosa frequentemente culmina col classico salto sulla sedia. Il rischio di perdersi nella labirintico edificio è comunque ridotto dalla presenza di numerose porte chiuse o stanze di volta in volta irraggiungibili. Lodevole la dedizione alla causa del team di sviluppo che, per rendere più credibile l'esperienza, si è affidato alla consulenza di un'associazione dedita all'aiuto di persone realmente affette da patologie psichiatriche: potrà così capitare di imbattersi in altri sopravvissuti apparentemente disinteressati alla presenza del reporter... ma fino a quando?
Curiosità
Outlast sarà uno degli apripista per la nuova console Sony: l'uscita è prevista per i primi mesi del prossimo anno, ma i programmatori non hanno promesso differenze rispetto alla controparte PC. Curioso notare che, selezionando il joypad come periferica primaria, viene visualizzata l'icona del controller dell'Xbox 360. La versione da noi testata era afflitta da alcuni bug che hanno richiesto di riprendere l'azione dal checkpoint precedente perché gli eventi non erano correttamente attivati; tuttavia, considerando la linearità del gioco, ci attendiamo delle risposte in tempi estremamente rapidi. Dal punto di vista prestazionale nessun problema a raggiungere frame rate elevati in full HD e con tutti i dettagli al massimo con la configurazione di prova; tuttavia, considerando l'engine, è realistico ritenere che con i requisiti consigliati dagli sviluppatori sia già possibile raggiungere la miglior resa visiva senza rallentamenti.
Buoni i fondamentali, ma poca originalità
La direzione artistica ha lavorato con furbizia sulle fondamenta del genere horror, relegando il giocatore nell'oscurità per una buona parte del titolo e "sporcando", tramite l'effetto "graining" noto dai tempi di Silent Hill, le riprese delle videocamera il cui utilizzo è praticamente costante anche nelle zone illuminate. Attivando la visione a infrarossi il pathos esplorativo raggiunge l'apice e in più di un'occasione sembrerà di vivere una scena del film REC; alla fine dei conti, ne scaturisce un coinvolgimento tanto soddisfacente da far perdonare la scarsa originalità nella scelta e nella realizzazione del fittizio ospedale psichiatrico teatro della vicenda. Il comparto auditivo, contraddistinto da un ottimo posizionamento dimensionale, non solo svolge un ruolo portante nella riuscita dell'atmosfera horror, ma risulta essenziale anche ai fini del gameplay vero e proprio. Ogni singolo passo è accompagnato da uno scricchiolio che fa temere di essere stati sentiti da qualcuno o, peggio ancora, di non aver avvertito qualche rumore provenire da distante; lo stesso Upshur sottolinea la propria angoscia con un respiro perennemente affannato e con le immancabili imprecazioni che contribuiscono ad innalzare il tasso di terrore. La colonna sonora dinamica, composta per la maggior parte da effetti ambientali, è un altro fiore all'occhiello di questo survival. Per l'impianto grafico, Red Barrels è andata sul sicuro affidandosi alla collaudata terza versione del motore di Unreal che ha permesso di realizzare un titolo visivamente dignitoso, sebbene ci si attendesse qualcosa di più da dei programmatori tanto blasonati. Fortunatamente, come sottolineato poc'anzi, la qualità di texture (nella media) e animazioni (fin troppo robotiche), che penalizza la resa degli ospiti del manicomio, passa in secondo piano proprio per i continui giochi di luce ed ombra che avvolgono il protagonista. Il livello di difficoltà, non selezionabile, è alla portata di chi riesca a sopportare lo stress emotivo a cui viene sottoposto tra un checkpoint e l'altro; tuttavia bisogna ammettere che, una volta presa l'abitudine, non sarà poi così difficile portare il reporter ai titoli di coda: il tour della villa di Mount Massive può impiegare poco più di cinque ore, al termine delle quali rimarrà impresso nei ricordi del giocatore un titolo certamente gradevole, ma non così memorabile come nelle intenzioni dei programmatori.
Requisiti di Sistema PC
Configurazione di Prova
- La redazione usa il Personal Computer ASUS CG8250
- Processore: Intel Core i7 860 a 2.8 GHz
- Memoria: 8 GB di RAM
- Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 670
- Sistema operativo: Windows 7 a 64 bit
Requisiti minimi
- Processore 2.2 GHz Dual Core
- 2 GB Ram
- Scheda video NVIDIA GeForce 9800GTX O ATI Radeon HD 3800
- 5 GB di spazio su disco
Requisiti consigliati
- Processore 2,8 GHz Quad Core
- 3 GB Ram
- Scheda video NVIDIA GeForce GTX 460 o AMD Radeon HD 6850
Conclusioni
Outlast merita senza dubbio l'attenzione degli appassionati del genere horror, ai quali viene offerta un'esperienza di buon livello. Chi cerca emozioni forti le troverà soprattutto durante le prime partite; tuttavia, una volta entrati nelle meccaniche di gioco, si perde leggermente la tensione emotiva a causa di numerosi script e di strade da percorrere in maniera univoca per poter proseguire. In definitiva un buon titolo, ma con i nomi in ballo le aspettative erano un po' più elevate.
PRO
- Atmosfera coinvolgente
- Comparto audio eccezionale
- Alcuni momenti cinematografici
CONTRO
- Eccessiva linearità
- Realizzazione tecnica nella media
- Scarsa originalità nella scelta dell'ambientazione e delle tematiche trattate