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A Hideo Kojima game

Dopo un lungo periodo di gestazione, Metal Gear Solid V arriva per mettere un punto sull'epica saga firmata Kojima

RECENSIONE di Antonio Fucito e Vincenzo Lettera   —   24/08/2015
Metal Gear Solid V: The Phantom Pain
Metal Gear Solid V: The Phantom Pain
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Il triennio 1997-1999 è stato fondamentale per la "rivoluzione" videoludica attuata dai giochi in tre dimensioni, con PlayStation e PC sugli scudi e l'arrivo di grandiose e sfortunate console quali Nintendo 64 e Dreamcast. Un periodo incredibilmente prolifico nel quale c'era ancora il giusto mix di idee, sostenibilità dei costi di sviluppo ed entusiasmo all'interno di logiche di pubblicazione meno pressanti, fondamenta che al giorno d'oggi ancora reggono il peso di dinamiche profondamente mutate.

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Al tempo, se vi ricordate, le uscite all'interno dei tre grandi mercati principali - Giappone, Stati Uniti, Europa - erano distanziate anche di parecchi mesi ed in questi tre anni Half Life, Tomb Raider II, Gran Turismo, Shenmue, Xenogears e tanti altri - ci vorrebbe un articolo apposito - hanno fatto innamorare milioni di persone al punto da convertirle al culto del giocare. Metal Gear Solid, a nostro modo di vedere, è stato il titolo più dirompente arrivato in quel periodo - badate, non il migliore in assoluto - il vero e proprio leader di quella rivoluzione che citavamo poc'anzi, perché in grado di stravolgere i classici canoni dell'epoca e rivoltarli come un calzino, aggiungendo un taglio cinematografico finalmente sublimato dalle tre dimensioni, ma anche da tante idee innovative che avevano diretta applicazione sulle meccaniche del gameplay. Dopo due Metal Gear meno "mediatici" su MSX, il Solid aggiunto nel titolo stava ad indicare il nome del protagonista principale e la creazione di un mondo pieno e corposo in 3D, che basava le sue premesse su una trama semplice e lineare, ma che rapidamente si sovrapponeva ad un messaggio antinucleare, mischiando accadimenti reali con la fantascienza e buttando nel piatto filosofia, morale, doppi e tripli giochi: comprendere appieno il substrato narrativo della saga di Metal Gear Solid è impresa ardua, ma anche per questo è riuscita ad appassionare milioni di giocatori.

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Solid Snake, inizialmente con texture in bassa (anzi, bassissima) risoluzione a raffigurare il suo volto, ha scalato rapidamente le classifiche di gradimento fino a diventare uno dei personaggi videoludici più carismatici di tutti i tempi, e trascinare la saga di Metal Gear Solid nell'Olimpo delle produzioni videoludiche: nel 2011 è stata eletta addirittura come la migliore di tutti i tempi nel sondaggio compilato dai lettori di Multiplayer.it. È stato anche il primo titolo nel quale il creatore ha ostentato con forza la sua impronta, al punto da identificarsi a doppia mandata - quasi come una condanna - e diventarne il padre-padrone, scavalcando agli occhi dei giocatori qualsiasi altro collaboratore e pure quella Konami che in fondo detiene la proprietà del brand. E lo affermiamo con un po' di mestizia, perché come in un classico copione già scritto, le belle storie d'amore possono essere destinate a finire, perdersi in un bicchiere d'acqua per incomprensioni e punti di vista differenti. Non sapremo mai esattamente il punto nel quale l'ego e la preponderanza mediatica di Kojima hanno soverchiato la scarsa pazienza e lungimiranza da parte di Konami, ma è giusto tenere fuori dal discorso faccende "personali" per concentrarsi sul prodotto finito. Opera, possiamo assicurarvelo, che è frutto di Hideo Kojima e dei suoi collaboratori in seno a Kojima Production. Metal Gear Solid V: The Phantom Pain rappresenta un punto di svolta cruciale e fondamentale per la saga, perché arriva a distanza siderale dal quarto capitolo, è completamente inedito nella struttura e ambizioso come sempre ai massimi livelli. Anche se alcuni di voi furbacchioni avranno già letto il voto in calce all'articolo, è il momento di dedicare qualche migliaio di caratteri all'opera di uno sviluppatore destinato a fare la storia, nel bene e nel male.

Il nostro verdetto su Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, l'ultima grande opera di Kojima

Trofei PlayStation 4

Metal Gear Solid V: The Phantom Pain mette a disposizione 43 trofei, dei quali una buona parte nascosti perché legati alla complessa trama del gioco. Gli altri sono sicuramente fattibili, ma richiedono ore ed ore per essere sbloccati. Per ottenere il tanto agognato Platino, infatti, bisogna ad esempio portare a termine tutti i compiti di tutte le missioni, completarle con grado S, costruire le piattaforme della Mother Base nella loro interezza, sviluppare 300 o più oggetti.

Una strada che porta a tante strade

Per comprendere appieno Metal Gear Solid V, Peace Walker e Ground Zeroes possono essere una buona base di partenza. Solo come scintilla, però, perché la struttura di The Phantom Pain esplode letteralmente aumentandone scopo e grandezza, fino a regalare un gameplay se vogliamo inedito per la serie, indubbiamente più vario e appagante, che ha l'arduo compito di confrontarsi con una componente narrativa da sempre marchio di fabbrica e con alcune scelte perlomeno curiose, che approfondiremo più avanti nel nostro articolo. Facciamo un passo indietro, ad ogni modo, perché The Phantom Pain comincia come i precedenti capitoli, mediante un prologo lineare e dalla durata di un'ora che si riallaccia al finale di Ground Zeroes, nove anni dopo all'interno di quell'ospedale più volte visto nei trailer. Non vogliamo addentrarci in dettagli specifici, ma possiamo tranquillamente affermare di esserci trovati dinnanzi ad alcune tra le sequenze più crude ed esaltanti mai apparse in un videogioco, un concentrato di emozioni che mettono in pista gran parte dei personaggi chiave della trama - ma non tutti - e travolgono completamente il giocatore.

A Hideo Kojima game
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Mescolano sapientemente tutti gli ingredienti cardine per il risultato perfetto, grazie ad un tripudio di colpi di scena e il solito taglio magistrale in termini di regia, telecamera, potenza visiva. Giocare il prologo di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è un esperienza soddisfacente, al punto che bisogna fermarsi un attimo per metabolizzarlo prima di buttarsi sul protagonista indiscusso e più evidente di questo quinto capitolo: la natura sandbox del gameplay e la possibilità di affrontare le missioni proposte con una libertà mai sperimentata prima. La corretta dicitura per sintetizzarlo potrebbe essere quella di un free roaming di infiltrazione, perché ovviamente tutte le variabili offerte sono orientate a questa caratteristica e alla necessità di portare a termine una serie di compiti di svariato genere. Il come è lasciato al giocatore: di giorno o di notte, in maniera silenziosa oppure alla John Rambo, esplorando e recuperando materiali o andando dritti al punto. Ovviamente la soddisfazione sarà differente a seconda della propria attitudine e, come scoprirete più avanti, è cosa buona e giusta non sottovalutare le attività secondarie. Tale libertà d'approccio è magnificata dalle opzioni presenti nel menu principale, che permettono di disattivare ad esempio la mira assistita, alcuni elementi dell'interfaccia e la modalità riflessi. Quest'ultima si "attiva" nel momento in cui si viene scoperti da un singolo avversario e mette a disposizione qualche secondo per colpirlo, rallentando il tempo (ovviamente senza fare rumore!) prima che questi avvisi i propri compagni. Nell'economia di gioco è una caratteristica utile: meglio un elemento che abbassa leggermente il realismo anziché trasformare la missione sempre e comunque in uno scontro a fuoco campale ogni qualvolta si viene individuati. Anche perché Kojima Production per questo quinto capitolo ha scelto un approccio ibrido sia per quanto riguarda il realismo che l'intelligenza artificiale, abbandonando ogni velleità di simulazione completa perché non sarebbe stato divertente né probabilmente fattibile. Il risultato raggiunto rappresenta un buon compromesso, ad ogni modo, nel quale è necessario scervellarsi per affrontare l'obiettivo con successo ed eventualmente indebolire le difese avversarie per portare a casa la missione. Quando avvistati bisogna far perdere le proprie tracce, oppure nascondersi per bene quando scatta l'allarme, nell'attesa che lo stato d'allerta si riduca e poi finisca. Non ci sono strafalcioni e nemmeno esempi di astuzia incredibile, quindi, per un risultato che riteniamo soddisfacente nel proporre la giusta dose di difficoltà senza minare il divertimento e garantendo qualche "licenza poetica" piuttosto divertente.

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Il centro delle operazioni è la Mother Base, che ricopre un ruolo fondamentale nell'economia di gioco: in seguito all'esplosione della vecchia base e dell'organizzazione mercenaria creata insieme a Miller, Ocelot e Venom Snake - il cui corpo è martoriato da frammenti che hanno raggiunto cuore e cervello dopo l'esplosione - hanno creato i Diamond Dogs, con la base operativa nel mare delle Seychelles. Da qui si parte col proprio elicottero in Afghanistan - corposa ambientazione iniziale, ma non l'unica - dopo aver selezionato il proprio equipaggiamento e la spalla che darà supporto durante la missione. In linea teorica qualsiasi punto della mappa è raggiungibile e si può decidere come detto se affrontare da subito l'obiettivo principale, dedicarsi anche all'indebolimento delle linee di comunicazione oppure all'esplorazione. Il gioco propone una grande coerenza nell'evoluzione della mappa, poiché non ci sono escamotage particolari come l'arrivo costante e indefinito degli avversari: nel momento in cui si viene scoperti questi, infatti, richiederanno supporto aereo o via terra da basi vicine. Per evitare che accada è possibile ad esempio disattivare la corrente, distruggere le radio, abbattere i satelliti nemici, in maniera da rendere la situazione più semplice da affrontare anche nelle missioni successive, che vengono influenzate per l'appunto da cosa si è fatto in precedenza. In teoria è possibile affrontarle in sequenza senza tornare alla base ma selezionandole dal menu apposito; ci saranno dei momenti in cui tornare sarà obbligatorio per esigenze narrative, in realtà non di rado è consigliato farlo perché le attività da compiere all'interno della Mother Base sono parecchie, le personalizzazioni utili o anche solo divertenti da provare.

Metal Gear Legacy

"Posso giocare Metal Gear V senza aver provato i precedenti capitoli?" La risposta è "sì, no, boh!" perché la trama di Metal Gear è un vero e proprio casino, così complessa e su diversi piani temporali da aver dato vita a fan-site, gruppi di discussione e perfino due libri nel tentativo di spiegarla. Ovviamente aver giocato almeno qualcuno dei titoli principali è un plus molto importante in termini di contesto e immedesimazione; siamo altresì sicuri che il passare del tempo necessiti di una infarinatura per la maggior parte delle persone. Uno "sforzo" minimo da fare è quello completare Ground Zeroes (tra l'altro è stato reso gratuito sia su PlayStation 4 che Xbox One rispettivamente nel Plus e Games with Gold, su PC è disponibile ad un prezzo più basso), per il resto vi consigliamo di ripassare perlomeno per punti la storia, all'interno delle pagine più complete dedicati alla serie (in inglese): a questo indirizzo c'è quella di Big Boss fino a The Phantom Pain, a quest'altro, invece, un'interpretazione completa. Per amor di completezza, ecco una timeline dei giochi principali dedicati alla serie, in ordine di periodo storico narrato e non di uscita; magari in futuro ci torneremo con uno speciale dedicato!

Metal Gear Solid 3: Snake Eater (1964)
Metal Gear Solid: Portable Ops (1970)
Metal Gear Solid: Peace Walker (1974)
Metal Gear Solid V: Ground Zeroes (1974/1975)
Metal Gear Solid V: The Phantom Pain (1984)
Metal Gear (1995)
Metal Gear 2: Solid Snake (1999)
Metal Gear Solid (The Twin Snakes) (2005)
Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty (2007/2009)
Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots (2014)
Metal Gear Rising: Revengeance (2018)

Un oceano di personalizzazioni

La comunicazione e l'interazione tra Snake e la Mother Base avviene mediante iDroid, una sorta di computer iper tecnologico mediante il quale si accede alle missioni, alla richiesta di equipaggiamento sul campo, al potenziamento della base stessa. Ci ritorneremo a breve, nel frattempo è possibile richiamarlo mediante la pressione in basso a destra del touch pad del DualShock 4; in missione permette anche di selezionare uno o più punti da raggiungere e ottenere eventualmente informazioni aggiuntive sugli obiettivi disponibili. Il binocolo (associato ad R1) è il gadget fondamentale, perché permette di avere una panoramica della posizione dei nemici e "marcarli" con un triangolino rosso in maniera permanente, così da poter affrontare al meglio la fase di infiltrazione o combattimento.

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Nelle opzioni è possibile selezionare un sistema di controllo d'azione e uno da sparatutto, che in pratica invertono le funzioni dei tasti frontali. Noi abbiamo scelto la seconda configurazione: con R2 si utilizza il combattimento corpo a corpo CQC oppure si spara in congiunzione con la mira associata ad L2; con X è possibile accovacciarsi e poi distendersi, col quadrato si attiva il sistema Fulton per inviare oggetti e nemici alla base, si trasportano i corpi e si raccolgono oggetti; col triangolo si scavalcano ostacoli; col cerchio, infine, si corre e salta in avanti per ripararsi. A cavallo, che prendiamo come esempio in quanto prima spalla del gioco, si galoppa velocemente col tasto quadrato, è possibile utilizzare senza problemi le armi e con X decidere se posizionarsi ai lati del destriero per nascondersi. Il sistema di controllo è abbastanza fluido, c'è bisogno di un po' di tempo per memorizzare tutte le variabili disponibili ma dopo qualche ora non abbiamo avuto particolari problemi nel compiere tutte le azioni che avevamo in mente. Non manca però qualche problema, ad esempio quando capita di raccogliere oggetti nelle vicinanze invece che i corpi, o quando gli ostacoli da superare non sempre vengono "agganciati" automaticamente in seguito alla pressione del tasto triangolo. Qualche grattacapo lo abbiamo avuto infine al comando dei carri armati, visto che l'attacco passa ai dorsali superiori demandando ad R2 l'accelerazione. Quando si comincia una missione dalla propria base, come detto, è possibile selezionare le armi, i gadget e la spalla di supporto; sul campo di battaglia invece chiedere rinforzi in termini di munizioni e non solo, grazie alla spesa di fondi GMP. Risorse fondamentali in questa sorta di gioco nel gioco in cui la Mother Base è espandibile nel corso del tempo, grazie ad una serie di piattaforme completamente esplorabili - stracolme di chicche e mini attività di svariato genere - e dipartimenti fondamentali per accedere a armi inedite, gadget e personalizzazioni. Abbiamo tra le altre l'unità medica, quella di spionaggio, di supporto, perfino il dipartimento dedicato alla conservazione degli animali: per ognuno vanno assegnati degli ingegneri contraddistinti da un grado per ciascuna abilità, caratteristica che apre il fianco ad una sezione gestionale nella quale bisogna scegliere chi assegnare a cosa. Le prime espansioni per la Mother Base si ottengono seguendo la storia e le missioni principali, quelli migliori vanno scovate nelle secondarie oppure esplorando gli avamposti. Per analizzarne le abilità si utilizza egualmente il binocolo, ma solo dopo averlo potenziato come accade per gli altri gadget come il sigaro, i tranquillanti, le iconiche scatole. Per scovare più facilmente il posizionamento esatto degli obiettivi piuttosto che di eventuali materiali utili, è possibile interrogare i nemici dopo averli immobilizzati; non tutti parleranno e alcuni lo faranno in una lingua inizialmente incomprensibile.

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Volete una traduzione? Basta completare una Side Ops e inviare un ingegnere russo al dipartimento apposito, così da poter tradurre la lingua in tempo reale. Volete potenziare il sistema Fulton in maniera tale da mandare alla base jeep, carri armati o nemici particolarmente ostici? Allora dovete sviluppare il dipartimento apposito con ingegneri più numerosi, quindi utilizzare i fondi GMP per applicare il potenziamento. E così per i tranquillanti, le armi più forti, silenziatori e decine di altre personalizzazioni, comprese quelle divertenti o puramente estetiche. Un bel colore fucsia per la propria Mother Base è proprio quello che ci vuole, una nuova musica di sottofondo per l'elicottero idem: volete mettere atterrare sul campo di battaglia con in sottofondo la Cavalcata delle Valchirie? Non stiamo nemmeno a raccontarvi, poi, delle personalizzazioni dedicate a Snake e ai compagni, alcune puramente estetiche, altre funzionali e legate ad esempio al braccio del protagonista principale oppure ai fucili da cecchino di Quiet; comprese le immancabili tute naked e fetish giapponesi, interamente dorate e argentate. Bisogna dire che tutte queste possibilità sono addirittura soverchianti, poiché l'interfaccia di iDroid è piuttosto confusionaria e si fa fatica a memorizzare i menu presenti e le cose che si possono fare. Nulla di grave, per carità, ma anche dopo qualche decina di ore abbiamo continuato a perderci tra le opzioni.

Curiosità

Quanto dura il gioco?
Per completare Metal Gear Solid V tra missioni primarie, secondarie obbligatorie e un po' di quelle facoltative assieme allo sviluppo della Mother Base, ci vogliono perlomeno dalle 40 alle 50 ore, quelle che abbiamo passato sul codice finale. Facile spenderne molte di più se si vuole portare a termine tutti i contenuti.

A quale frame rate e risoluzione gira?
In accordo ai dati di Konami, 4K/60 su PC, 1080p/60 su PS4 (oggetto della nostra prova), 900p/60 su Xbox One, 720p/30 su PlayStation 3 e Xbox 360.

Quante missioni e tracce musicali ci sono?
Non possiamo dare il numero preciso, ma sono diverse decine quelle principali, ancora di più le secondarie. Idem per le tracce musicali, Metal Gear Solid V non difetta di certo dal punto di vista numerico.

Quando si sblocca l'assalto e la difesa alla Mother Base?
Dopo la missione 22.

È possibile utilizzare più spalle in contemporanea?
No, è possibile selezionarne solo una alla volta.

V has come to

Torniamo sul campo di battaglia, per raccontarvi di qualche missione nello specifico e della loro suddivisione: abbiamo le principali, le Side Ops e quelle "automatiche" nelle quali si inviano i propri militari allo scopo di recuperare il materiale necessario per espandere la Mother Base. Partendo dalle prime, ce ne sono diverse di raccordo senza particolari evoluzioni della storia, se non per la comparsa di armi inedite o potenziamenti per il protagonista; poi abbiamo quelle che introducono personaggi e accadimenti chiave per la storia. Lo scontro con Quiet, ad esempio, avviene dopo circa dieci missioni di relativa calma, con solo la sesta che propone un incontro ravvicinato con i Teschi a suon di bazooka; tali frangenti sono quelli più divertenti e arrembanti, perché spezzano la struttura classica del gameplay e regalano momenti inediti ed esaltanti. Nel caso di Quiet bisogna ridurre la sua barra vitale a zero, evitando al contempo la sua rapidità e abilità da cecchino, che faranno sudare le proverbiali sette camice. In seguito al combattimento entrerà a far parte in pianta stabile della storia e come spalla; (molto) più avanti ci sarà Emmerich, che permetterà di accedere alla costruzione del D-Walker, il mech bipede più volte visto negli screenshot. Il cane D-dog lo abbiamo trovato invece in una Side Ops: stranamente alcune di queste sono obbligatorie per proseguire nella storia, oltre ad essere fondamentali per potenziare Venom Snake, la Mother Base e perfino nell'ottica del finale vero e proprio. Il resto delle missioni si sviluppa proponendo obiettivi sempre più complessi e magari scontri con carri armati ed elicotteri, il tutto sempre con un'ampia libertà di approccio e opzioni per salire di difficoltà o ridurla grazie al mitico cappello da pollo, che permette di essere avvistati fino a tre volte e deve essere oggetto di pubblico sfottò se utilizzato. Le attività da compiere non vengono mai a noia e tale libertà di scelta paga, perlomeno fino a quando c'è lo scontro piuttosto corposo col boss che chiude il primo capitolo e parte della storia, dopo aver superato ampiamente metà gioco. Quando comincia il secondo e ultimo capitolo, però, le cose si fanno "strane", perché una percentuale maggioritaria delle missioni sono identiche a quelle già completate, semplicemente con alcune regole che le rendono più difficili da affrontare. I "modificatori" sono di tre tipi: in Full Stealth se si viene scoperti la missione finisce all'istante; in Subsistance (sopravvivenza) si comincia senza equipaggiamento e bisogna recuperarlo nel luogo della missione, senza modalità riflessi, cappello da pollo, spalla e supporto aereo; in Extreme infine ci si confronta con un livello di difficoltà ancora più elevato, con le armi a disposizione dall'inizio ma con le stesse le limitazioni di Subsistance. Queste tipologie sarebbero state accettabili se fossero state inserite come extra e non come barriera per concludere il gioco e vederne il finale completo, invece aumentano di molto la frustrazione, minano il bilanciamento e sono completamente ingiustificate dal punto di vista narrativo. Dover affrontare nuovamente Quiet con le stesse sequenze di intermezzo e col rischio di morire al primo colpo, non è una scelta condivisibile né particolarmente logica. Un altro effetto negativo è quello di portare forzatamente a "grindare" per potenziare il proprio personaggio, anche se si sono già completate una parte delle missioni secondarie; il consiglio che possiamo dare per mitigare questa problematica è quello di completare un bel po' di Side Ops in contemporanea con le principali, così come potenziare la Mother Base costantemente senza dimenticarsela per ore.

A Hideo Kojima game
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Un peccato non veniale, ad ogni modo, il quale va a braccetto con una narrazione che per larghi tratti si perde nelle tante missioni di raccordo, e riappare solo ad intervalli irregolari dopo quel prologo assolutamente fuori di testa. Kojima Production ha deciso inoltre di separare gli accadimenti più importanti della storia, proposti anche a livello visivo, dalla parte di approfondimento, accessibile grazie ad una serie di podcast audio che propongono dialoghi tra i protagonisti e rivelazioni aggiuntive; una vera e propria enciclopedia, la cui consultazione non solo diventa consigliabile per capire davvero tutto quello che sta succedendo, ma fondamentale per accedere al finale del gioco, una vera e propria "Kojimata" in pieno stile. Laddove, infatti, la vicenda Konami-Kojima ha tenuto in apprensione tantissimi giocatori innamorati della saga di Metal Gear Solid e del designer giapponese, non sembra aver inficiato particolarmente la sua firma all'interno del gioco: il nome del designer giapponese è presente ovunque, ogni missione è accompagnata da veloci titoli di testa e di coda, i poster e le citazioni si sprecano. Come quelle a "Moby Dick" e al "Signore delle Mosche" di William Golding, perfino una sequenza che sembra presa dall'Alba dei Morti Viventi: costumi, frasi particolari ed elementi visivi dimostrano la grande cultura cinematografica e letteraria di Hideo Kojima. Impronta che raggiunge il picco, dicevamo, nella parte finale. Sappiate solo che per accedere all'ultima-non-ultima missione, quella che apre al finale completo del gioco, non basta seguire solo la trama principale: ascoltate podcast dai nomi curiosi, esplorate la Mother Base, preparatevi a un colpo di testa in stile P.T. e poi godetevi un finale davvero e finalmente importante in termini narrativi, che a quanto pare regala il classico momento "WTF" e la chiusura del cerchio su una buona parte delle faccende rimaste in sospeso. La mano del talentuoso designer giapponese, insomma, rappresenta quel tocco di vernice che eleva l'opera verso vette di eccellenza letteraria, un prodotto tutt'altro che banale destinato a far parlare di sé per i momenti topici, i colpi di scena e la trama nella sua interezza, che quando presente è raccontata benissimo e propone parecchi spunti sullo scenario bellico che crea le motivazioni dei suoi protagonisti. Questo non toglie che, tornando sulla terra, una serie di deficienze in termini di gameplay e design vadano a minare il giudizio complessivo, per un titolo indirizzato non solo ai fan più accaniti della serie - i quali forse perdoneranno queste mancanze e le molte pause in termini narrativi - ma anche a tanti altri giocatori che troveranno un titolo dalla qualità molto altalenante, soprattutto nella seconda parte.

A Hideo Kojima game
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Non ci siamo dimenticati del vestito e Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è incastonato in un comparto tecnico che esalta lo scenario di guerra pensato dagli sviluppatori, con il Fox Engine in grado di "girare" a 1080p e 60 fotogrammi per secondo, non sempre granitici soprattutto nelle sparatorie più frenetiche. La profondità visiva è eccellente, la pulizia dell'immagine buona, la mole poligonale esalta soprattutto i protagonisti principali. L'altro fiore all'occhiello è rappresentato dal sistema di illuminazione e dal ciclo giorno-notte, in grado di regalare un impatto assolutamente in linea con le migliori produzioni di questa generazione di console. C'è però anche una parte che denota la natura cross-gen del progetto, legata alla qualità delle texture - che in rarissimi casi appaiono anche in ritardo - e al dettaglio per quanto riguarda le strutture e gli avamposti nemici, decisamente meno impressionante del resto. Aspetti i quali per fortuna vengono mitigati dalla eccellente qualità artistica del titolo, che da tradizione della serie lavora in simbiosi con la regia e il taglio cinematografico per offrire un linguaggio visivo di livello. Di pari passo va il doppiaggio, in un inglese impeccabile e dall'alto valore produttivo. I testi in italiano sono di tendenzialmente buoni, è apprezzabile la scelta di non aver tradotto i termini più importanti quali Mother Base, Fulton e FOB, mentre siamo incappati in alcuni errori come il plurale al posto del singolare oppure il femminile al posto del maschile. Dulcis in fundo il comparto musicale, che propone una quantità impressionante di tracce inedite oppure prese in prestito dagli anni '70 e '80; la selezione è semplicemente ottima, denotando un ottimo gusto musicale da parte di Hideo Kojima e dei suoi collaboratori. Ci è stato chiesto di non rivelare i nomi delle tracce, ma ne rimarrete soddisfatti. Note conclusive per FOB e l'online: non li abbiamo potuti provare e quindi li tratteremo in un articolo dedicato a partire dal 6 ottobre, data di rilascio per Metal Gear Online.

Conclusioni

Versione testata PlayStation 4
Multiplayer.it
8.8
Lettori (838)
8.8
Il tuo voto

Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è un titolo mastodontico, con una struttura inedita per la serie particolarmente riuscita nel dare ampia libertà d'approccio al giocatore. La moltitudine di cose da fare è impressionante al netto di un po' di confusione generale; l'inizio è scoppiettante ed esaltante, il finale chiude il cerchio in una maniera che solo in pochi, geniali creatori come Hideo Kojima sanno fare. Nel corposo mezzo, una storia che viene elargita a piccole dosi e spesso si confonde nel mare magnum delle attività di raccordo. Soprattutto, la scelta di introdurre missioni fotocopia semplicemente a difficoltà accresciuta allunga inutilmente il brodo, aumenta la frustrazione e non è giustificata a livello narrativo. Non fraintendeteci, The Phantom Pain è un signor gioco e il voto è lì a testimoniarlo; spesso e volentieri è la perfetta emanazione del suo creatore e continuerà a far parlare di sé per tanto tempo a venire perché è un titolo lontano anni luce dall'essere banale. Un giudizio onesto e complessivo però ci impone di affermare che, se questa sarà davvero la conclusione della saga, perlomeno per come siamo stati abituati a conoscerla, allora si può essere soddisfatti, ma non completamente se si prende in esame il gioco in tutti i suoi aspetti.

PRO

  • Il gameplay migliore della serie
  • Una quantità incredibile di cose da fare
  • All'inizio e alla fine la storia coinvolge, esalta, sorprende
  • Regia, tecnica e sonoro di grande fattura

CONTRO

  • Le scelte di design nella seconda parte dell'avventura minano il bilanciamento, la progressione della trama e aumentano la frustrazione
  • Al di là di inizio e fine, la storia fa fatica ad emergere nel mare di missioni disponibili