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Ribellatevi!

Frutto di uno sviluppo a dir poco travagliato, Homefront: The Revolution arriva finalmente nei negozi

RECENSIONE di Tommaso Pugliese   —   17/05/2016
Ribellatevi!

Il primo Homefront non aveva riscosso particolare successo, ma THQ credeva nel franchise e pensò di confermare la produzione di un sequel. Poi però c'è stata quella che si suol dire "una serie di sfortunati eventi": il team di sviluppo originale, Kaos Studios, ha chiuso i battenti nel 2011 e il lavoro è passato prima nelle mani di THQ Montreal e poi in quelle di Crytek UK; nel 2012 la stessa THQ è fallita e Crytek ha acquistato i diritti di Homefront per realizzarne un seguito internamente, cambiando peraltro la visione del gioco da sparatutto lineare a open world; nel 2014 Crytek ha avuto qualche problemino finanziario e ceduto il franchise a Deep Silver, che ha affidato la realizzazione del progetto a Dambuster Studios. Dall'annuncio all'arrivo nei negozi di Homefront: The Revolution sono dunque cambiati più volte gli sviluppatori, i director e la stessa struttura del prodotto: un marasma che ha lasciato intatti solo la componente narrativa, incardinata nello scenario di un'America invasa dall'esercito coreano del KPA, e la location di Philadelphia, da dove avrà inizio la nostra rivoluzione.

Homefront: The Revolution è un titolo discreto, spesso anonimo ma capace di offrire una sfida intensa

Contro un muro

Ribellatevi!

Nel gioco vestiamo i panni di Ethan Brady, un membro della Rivoluzione che opera appunto nella zona di Philadelphia. Mentre ci troviamo insieme ad alcuni compagni, all'interno di una postazione che pensavamo sicura, veniamo catturati da un gruppo di soldati del KPA, che uccidono senza troppi giri di parole i nostri amici quando si rifiutano di fornirgli informazioni e si accingono a fare lo stesso con noi. A un certo punto, però, nella stanza irrompe Benjamin Walker, il leader carismatico dei ribelli, che ci salva in extremis ma viene ferito a una gamba. Incapace di muoversi, ci consegna uno smartphone dotato di un avanzato sistema di decrittazione e ci manda a liberare una postazione da cui contattare i vertici dell'organizzazione per ordinare un'operazione di recupero. Purtroppo i soldati nordcoreani lo intercettano e lo catturano prima del nostro ritorno, lasciandoci soli e in un mare di guai: sospettati di essere una spia, veniamo presi da un gruppo di ribelli e lasciati alle cure di Dana Moore, una ragazza tutt'altro che equilibrata, che passa il proprio tempo a torturare soldati nemici per carpire qualsiasi informazione utile. Per fortuna veniamo sottratti al suo trattamento giusto in tempo, riabilitati e arruolati nella squadra di punta della Ribellione, naturalmente con il compito prioritario di trovare Walker e liberarlo: senza il suo carisma difficilmente gli abitanti di Philadelphia troveranno la determinazione per sollevarsi e attaccare il KPA.

Bruci la città

La ribellione assume in Homefront: The Revolution un ruolo molto ben definito, che procede di pari passo con la liberazione dei quartieri dal controllo dei nordcoreani, seguendo l'indicatore dell'achievement "Cuori e Menti".

Ribellatevi!

Per farlo salire bisogna accendere radio, salvare persone, sabotare impianti e così via: quando si raggiunge il 100%, i cittadini agiscono in massa e riconquistano il territorio, trasformando lo scenario in un luogo decisamente meno pericoloso da esplorare, seppure più inquietante da vedere, con l'ordine apparente della dittatura totalitaria sostituito da blindati in fiamme, cadaveri per le strade e persone che girano armate per strada. La completa liberazione della mappa non è obbligatoria e rientra nelle missioni facoltative di una campagna che può essere portata a completamento in meno di quindici ore se si procede dritti, ma che arriva tranquillamente a trenta ore nel momento in cui ci si dedica appunto alle quest secondarie e alle eventuali missioni su commissione. Occhio: a differenza di altri sandbox, in Homefront: Revolution bisogna completare le missioni facoltative prima di accedere all'ultimo capitolo, perché dopo non ci si potrà tornare. La cosa, ad ogni modo, viene chiarita da un avviso. Tornando appunto alle quest secondarie, manca purtroppo la varietà: da una parte ci sono quelle in cui bisogna semplicemente eliminare un certo numero di bersagli in una specifica zona della mappa, dall'altra le missioni ci controllo di un edificio che passano per sezioni platform dov'è necessario individuare le zone d'accesso a tetti e finestre. Il comparto multiplayer cooperativo, dal canto suo, consente di comporre una squadra di quattro giocatori e partecipare insieme a spedizioni punitive per la conquista di una zona o alla difesa di un quartiere dall'assalto delle truppe ostili.

Questa cosa non mi è nuova

Dopo un primo impatto non proprio amichevole, più che altro perché non ci aspettavamo la presenza di meccaniche survival così spietate (ma anche perché si parte in quarta e con poco spazio per tutorial dettagliati), l'esperienza di gioco rivela subito un paio di influenze evidentissime: da una parte la struttura e le atmosfere di inFAMOUS: Second Son, che ritroviamo negli ambienti asettici dei quartieri sotto il controllo del KPA e nel design di svariati asset, dai veicoli ai soldati nemici, nonché nell'impostazione di una mappa le cui zone cambiano colore a seconda dell'influenza o meno dell'esercito nordcoreano; dall'altra l'approccio survival di Dying Light, con il bottino molto spinto su cadaveri e oggetti, da cui trarre le risorse necessarie per costruire al volo esplosivi, petardi e disturbatori elettronici, ma anche una capacità di corsa illimitata e qualche concessione a un parkour che purtroppo non funziona sempre come dovrebbe.

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In giro per la mappa ci sono anche delle moto, che possiamo utilizzare per coprire rapidamente la distanza che ci separa dal prossimo obiettivo. Sì, come nell'espansione The Following, ma con una differenza sostanziale: in sella alla moto non solo non possiamo investire i soldati ostili (farlo si traduce in una reazione fisica ridicola), ma ci esponiamo eccessivamente alle attenzioni delle pattuglie che perlustrano l'area, col rischio di allertarle. Si tratta però solo di una delle tante contraddizioni presenti nel design di Homefront: The Revolution, che mette tanta carne al fuoco ma alla fine risulta incapace di trarne gli auspicati benefici. Per dirla in parole povere, il titolo di Dambuster Studios è un inFAMOUS: Second Son senza i poteri, un Dying Light senza gli zombie, viziato da una cronica mancanza di personalità che si riflette anche e soprattutto negli scenari. Philadelphia di per sé non vanta scorci immediatamente riconoscibili, ma anche se ci fossero il gioco non li valorizza a sufficienza, alternando invece anonimi quartieri urbani a zone periferiche devastate dai bombardamenti. Il ciclo giorno / notte, più rapido che nel già citato Dying Light, modifica dinamicamente l'aspetto dei paesaggi, ma anche qui ci sono delle contraddizioni: a che pro utilizzare il letto per riposare nei rifugi e far scorrere le ore, se poi la presenza o meno di luce non cambia le carte in tavola?

Spara, muori, riprova

Abbiamo accennato in precedenza a meccaniche survival spietate, e il perché è presto detto: Homefront: The Revolution ci mette in mano un arsenale discretamente ricco ma anch'esso viziato da importanti criticità, su tutte l'obbligo di sottostare a determinate limitazioni: si può essere efficaci dalla breve distanza, portandosi dietro un fucile a pompa e una mitragliatrice leggera, oppure dalla media e lunga distanza, preferendo il fucile d'assalto, ma non si possono avere entrambe le cose.

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La conversione al volo delle armi, che possono essere rapidamente trasformate in qualcos'altro (la prima cosa che facciamo, non a caso, è modificare la pistola di default in un SMG), è un'idea molto interessante, ma che nella pratica non viene sfruttata praticamente mai: il gioco evita di metterci di fronte a situazioni in cui sarebbe il caso di passare da una configurazione all'altra, e così si finisce per utilizzare sempre gli stessi strumenti. Peraltro perché privarsi del lanciarazzi quando le pattuglie nemiche spesso e volentieri vengono accompagnate da un potente blindato? Ed ecco dunque che ci si ritrova a fare scelte praticamente obbligate. È però soprattutto la gestione dei danni a rendere l'esperienza una vera sfida, in cui è da stupidi affrontare gli avversari a viso aperto o andare in giro senza una scorta di medikit. Bastano poche raffiche di un soldato del KPA per incorrere nel game over, e anche migliorare al massimo la resistenza del personaggio non produce sostanziale vantaggi in tal senso. Finire sotto i riflettori delle truppe nemiche, peraltro, produce un assedio virtualmente infinito, da cui è possibile sottrarsi solo fuggendo a gambe levate e nascondendosi finché l'allarme non rientra. Una meccanica che di tanto in tanto diventa protagonista, nelle missioni in cui dobbiamo aggirarci in incognito all'interno delle aree presidiate, liberando prigionieri e, come detto, portando il sentimento comune a innescare una ribellione. Quanto all'intelligenza artificiale, fondamentalmente è quella che ci si aspetterebbe da uno stealth game, ma non da uno sparatutto: le unità nemiche sono miopi e sorde quanto basta per evitare frustranti localizzazioni istantanee, ma nei combattimenti conclamati rimangono ugualmente distratte, gestiscono discretamente l'offensiva frontale ma senza guardarsi attorno.

Niente di rivoluzionario

Il gioco utilizza il CryEngine, e si vede: i modelli poligonali dei personaggi vantano un livello di dettaglio superiore alla media, dunque è un peccato che le loro animazioni siano così generiche. Purtroppo non è semplice caratterizzare in modo forte e deciso lo stile grafico di un prodotto di questo tipo, e infatti Homefront: The Revolution finisce per essere spesso anonimo, con qualche glitch di troppo (il mare nero, nel nostro caso specifico, ma anche il puntamento assistito da sistemare) e un'impalcatura che si regge unicamente sulla qualità dell'effettistica e sulle prestazioni, entrambe figlie del motore sviluppato da Crytek.

Ribellatevi!

La resa delle luci è buona, così come le riflessioni sulle pozze d'acqua, ma come già detto i quartieri di Philadelphia si somigliano un po' troppo, l'interattività è scarsa e c'è un riciclo di materiali piuttosto evidente. Sulla configurazione di prova, ad ogni modo, il gioco gira a 1080p con tutti gli effetti al massimo (con l'unica eccezione delle ombre) sfiorando i sessanta frame al secondo. Bisogna anche dire che l'open world non viene caricato in modo trasparente, ma per passare da un quartiere all'altro bisogna attendere un breve caricamento (su SSD nell'ordine di pochi secondi). Rimanendo nell'ambito tecnico, la direzione ci è sembrata spesso manchevole, perdendo l'occasione di rendere in maniera più intensa determinate scene: sulle prime ci sono forti riferimenti alla tortura, cosa del tutto adeguata a un prodotto del genere, ma poi ci si perde un po' nei meandri della contrapposizione fra violenza e ragionevolezza, discorso che ha un suo perché ma non viene sviscerato fino in fondo, rimanendo una delle tante incompiute del progetto. L'ambiente sonoro è povero e poco coinvolgente. Ci sono addirittura sequenze tragiche in cui i suoni della battaglia finiscono per essere misteriosamente annullati e si fa un gran caos con i livelli dei dialoghi; il che è un peccato, perché alcune prestazioni meritano: Marco "Certezza" Balzarotti nei panni del medico ribelle che vorrebbe far ragionare i suoi compagni, un eccellente interprete per Jack Parrish (se conoscete il nome dell'attore, fatecelo sapere), specie nell'intensità del finale, e la voce di Dana Moore che si muove fra alti e bassi: efficace nei dialoghi diretti, decisamente opaca nel ruolo di narratrice.

Requisiti di Sistema PC

Configurazione di Prova

  • Processore: AMD FX 8320 @ 4 GHz
  • Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 970 Jetstream
  • Memoria: 8 GB di RAM
  • Sistema operativo: Windows 10

Requisiti minimi

  • Processore: Intel Core i5 4570T, AMD FX 6100
  • Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 560 Ti, AMD Radeon R7 260X
  • Memoria: 6 GB di RAM
  • Hard disk: 38 GB di spazio richiesto
  • Sistema operativo: Windows 7, Windows 8, Windows 10 a 64 bit

Requisiti consigliati

  • Processore: Intel Core i5 2500K, AMD FX 8320
  • Scheda video: NVIDIA GeForcr GTX 760, AMD Radeon HD 7870
  • Memoria: 8 GB di RAM
  • Hard disk: 38 GB di spazio richiesto
  • Sistema operativo: Windows 7, Windows 8, Windows 10 a 64 bit

Conclusioni

Versione testata PC Windows
Digital Delivery Steam, PlayStation Store, Xbox Store
Prezzo 59,99 €
Multiplayer.it
7.2
Lettori (35)
7.0
Il tuo voto

Con uno sviluppo così travagliato, è già un piccolo miracolo che Homefront: The Revolution sia arrivato nei negozi. Purtroppo in questi casi il progetto finisce per incorporare tante idee differenti, spesso poco coerenti l'una con l'altra, e nella fattispecie il risultato è un prodotto privo di una precisa caratterizzazione, spesso anonimo e generico, apparentemente voglioso di introdurre tante meccaniche ma incapace poi di valorizzarle. Il gioco propone una sfida tutt'altro che banale, qualche situazione interessante nelle sue sfaccettature platform, un arsenale che costringe a fare scelte precise e una struttura ricca nei numeri (sebbene non nella varietà) per un'esperienza duratura, che potrebbe certamente coinvolgervi, ma a cui manca la solidità necessaria per spiccare.

PRO

  • Sandbox corposo e duraturo
  • Interessanti sezioni platform
  • Approccio survival intenso e spietato

CONTRO

  • Design anonimo per personaggi, nemici e ambientazioni
  • Diverse meccaniche scarsamente valorizzate
  • Missioni secondarie poco varie e ispirate