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El Shaddai: Ascension of the Metatron, recensione

Magico, ipnotico, a tratti mistico: tutto questo e molto di più è El Shaddai

RECENSIONE di Massimo Reina   —   19/09/2011

Versione testata: PlayStation 3

Ci sono giochi che prescindono dalla grafica o dagli aspetti tecnici in generale, appassionando gli utenti spesso esclusivamente per il loro gameplay. Altri invece, che esulano dagli elementi appena descritti, facendo innamorare di sé per la loro trama o l'aspetto visivo, permettendo spesso di sorvolare, entro certi limiti, su quegli aspetti legati alla giocabilità nuda e cruda, a dispetto perfino di eventuali, piccoli difetti. El Shaddai: Ascension of the Metatron, gioco d'azione con elementi platform sviluppato da Ignition Entertainment e prodotto da Konami, potrebbe tranquillamente rientrare proprio in quest'ultima categoria di prodotti. Come vedremo più avanti infatti, esso è per certi versi un gioco a sé, un qualcosa da valutare nell'insieme tenendo in grande considerazione lo stile grafico particolare adottato da Sawaki Takeyasu, artista che vanta nel curriculum lavori di indubbio prestigio quali i disegni per Okami e la serie di Devil May Cry, e le tematiche.

El Shaddai: Ascension of the Metatron, recensione

D'altronde il gioco già dal titolo lascia intuire quanto sia particolare in questo senso. El Shaddai infatti, è uno dei nomi ebraici che nella Bibbia vengono utilizzati per indicare Dio. E anche la trama alla base del prodotto parla chiaro: ispirato al libro di Enoch, testo apocrifo di tradizione giudaica, essa racconta di Enoch, un monaco/scriba guerriero alla ricerca, per conto di Dio, di sette angeli ribelli, i quali hanno scatenato praticamente l'inferno sulla terra influendo negativamente sugli esseri umani. Queste creature devono essere fermate entro un certo lasso di tempo e riportati nel Regno dei cieli, prima che si scateni una sorta di diluvio universale in grado di spazzare via l'umanità, colpevole di essersi in gran parte ribellata a Dio. Per portare a termine questo difficile compito, il nostro eroe sarà accompagnato nell'avventura da Lucifel, uno strano angelo in giacca e cravatta costantemente impegnato a parlare al cellulare, nel ruolo di guida e pure di punto di salvataggio, e dai quattro arcangeli Raffaele, Uriel, Gabriele e Michele, in un lungo viaggio che lo porterà ad affrontare non solo i sette angeli caduti di cui sopra, ma anche una folta schiera di loro servi e perfino sé stesso, moralmente in bilico, per certi versi, tra oscurità e luce.

Azione continua

La storia sinteticamente accennata nel paragrafo precedente serve da pretesto agli sviluppatori per confezionare un action game in terza persona con telecamera fissa che potremmo definire dai contenuti visionari, un prodotto fondamentalmente privo di una struttura di gioco classica, condita da toni onirici che incantano coloro che decidono di provarlo a fondo almeno una volta. Il fulcro dell'intera esperienza videoludica sono i combattimenti. Essi avvengono solitamente contro nemici dal look particolare come spesso ritroviamo in molti anime giapponesi, un insolito mix tra demoni della tradizione nipponica e angeli dell'immaginario collettivo cattolico, spesso vestiti con tanto di t-shirt.

El Shaddai: Ascension of the Metatron, recensione

E presentano una struttura atipica: pur poggiando su un sistema di controllo classico basato sullo sfruttamento di due tasti che ospitano rispettivamente l'attacco e il salto, più due dorsali adibiti alla parata e a una mossa per lanciare i nemici in aria (in combinazione col tasto Quadrato) o, in certi frangenti, a rubare le armi, gli scontri danno sfoggio di dinamiche del tutto originali.
Dopo aver stordito gli avversari con qualche colpo e avergli distrutto buona parte dell'armatura che li protegge, infatti, Enoch può sottrargli l'arma e utilizzarla contro di loro, magari eseguendo qualche combo particolare.
Tale mossa non ha un valore prettamente estetico, nel senso che non serve solo per rendere un tantino più spettacolare la battaglia, ma ha funzioni tattiche assolutamente importanti visto che concede al giocatore il doppio vantaggio di rendere gli oppositori inoffensivi e di aumentare loro il danno procurato. Particolare inoltre il fatto che questi strumenti vanno purificati prima di poterli utilizzare, premendo un tasto dedicato (L1): operazione che va ripetuta con una certa costanza anche per le tre armi standard del protagonista, pena la perdita di efficacia a causa del Male che viene assorbito dalle stesse man mano che colpiscono i demoni. Mal che vada si possono sempre usare comunque le care, vecchie mani e i classici calcioni. Il gioco comunque non è, come può apparire di primo acchito, un semplice button mashing. E' vero che tutto è immediato e che l'esecuzione di attacchi combinati avviene rapidamente e in maniera variegata con la diversa pressione in durata e velocità dei tasti. Ma è altrettanto vero che progredendo nell'avventura, con l'incremento delle difficoltà generali, del numero di avversari e della tipologia degli stessi, specie i boss, tutto cambia e non basta premere pulsanti a casaccio oppure forsennatamente per abbatterli.

Difficile quanto basta

Tra l'altro, a conferma ulteriore di tutto ciò e dell'originalità del suo gameplay, El Shaddai: Ascension of the Metatron non prevede alcun indicatore su schermo, per cui ad esempio lo status della salute di Enoch può essere intuito dal giocatore solo dal numero di pezzi di armatura che ricoprono il suo petto. Ma addirittura, sempre in tema di combattimenti, non essendoci segnali visivi o altro, sta al videogiocatore capire da solo quando premere il pulsante adatto a eseguire un determinato contrattacco, una parata o una mossa combinata.

El Shaddai: Ascension of the Metatron, recensione

Persino gli interventi degli arcangeli come Uriel che giungono in aiuto di Enoch durante particolari situazioni di gioco, come per esempio per rigenerare l'armatura o, se serve, per rinforzare gli attacchi e consentire all'eroe di scatenare un attacco devastante che cambia in base all'arma utilizzata, pur se determinati dal completamento di ricarica di una apposita barra (invisibile anch'essa), vengono segnalati e preannunciati solo dalla voce delle creature stesse. Senza contare il fatto che bisogna poi gestire, e saperlo fare, le proprie mosse nonché le armi a disposizione. A seconda dell'equipaggiamento, infatti, cambia anche l'approccio alle battaglie stesse, poiché Enoch è in grado di portare con se solo uno strumento per volta. Ed eventualmente per sostituirli bisogna attendere di incrociare apposite icone che cambiano durante il percorso o, come già detto, rubandole. Ma quali sono queste armi? Esse sono tre per tutta la durata della storia: abbiamo l'Arch, che è un arco luminoso dotato di una lama energetica sulla parte ricurva, che il protagonista usa infatti come fosse una spada. Poi abbiamo il Gale, uno strano oggetto circolare posizionato dietro la schiena dell'eroe, che consente di scagliare un insieme di proiettili addosso al nemico, e infine il Veil, due oggetti luminosi che Enoch può indossare come fossero dei guantoni e unire fra loro per formare uno scudo protettivo circolare, o per attaccare, donando così più forza fisica ai suoi pugni. Questi strumenti sono gli unici fissi a disposizione dell'eroe per l'intera storia. Ovviamente il titolo non è esente da difetti: fra tutti spiccano a nostro parere proprio la telecamera a inquadrature fisse che citavamo all'inizio, che a volte può creare qualche problema di visuale. Poi l'assenza di una opzione per agganciare i nemici, il che non può non rendere un po' frustranti alcune situazioni che prevedono un certo numero di avversari da affrontare contemporaneamente. Infine una discreta ripetitività di fondo dovuta a una non certo ampia varietà di nemici e di cose da fare.

El Shaddai: Ascension of the Metatron, recensione

Trofei PlayStation 3

El Shaddai: Ascension of the Metatron può contare sulla bellezza di cinquanta Trofei da sbloccare, alcuni dei quali segreti. Essi sono così suddivisi: 1 di Platino, 2 d'Oro, 8 d'Argento e 39 di Bronzo. Per ottenerli bisogna soddisfare le richieste del gioco, come per esempio sconfiggere 500 nemici o ultimare i vari capitoli per quelli più semplici, oppure ottenere il punteggio G finendo ogni livello in modalità Hard o senza subire game over per quelli più difficili, fino all'agognato Platino, per avere il quale occorre ottenere tutti gli altri premi.

Pittura digitale

Per ovviare in parte al rischio monotonia durante le sette-nove ore circa che servono per portare a termine l'avventura, visto che nel gioco mancano delle vere e proprie fasi esplorative, gli sviluppatori hanno inserito diverse sessioni tipicamente platform, sia bidimensionali sia pseudo 3D, che in qualche modo bilanciano una giocabilità che altrimenti potrebbe stancare alla lunga. Queste fasi sono difficili il giusto, ma mai frustranti, e dal punto di vista generale possiamo definirle a dir poco spettacolari, grazie a uno stile che riprendono fedelmente, per certe meccaniche, il meglio dei classici del genere, e alla scelta dei programmatori di adattare quanto appena descritto al contesto narrativo e visivo del prodotto. Enoch saltella e plana, sfruttando anche le sue armi, su piattaforme di nubi o roccia, cavalcando quando serve delle altissime onde, con sullo sfondo un'esplosione di colori ed effetti che catturano lo sguardo di chi gioca. E' indubbio, infatti, che, al di là di tutto, il punto forte di El Shaddai: Ascension of the Metatron è rappresentato da una veste grafica difficile da descrivere a parole.

El Shaddai: Ascension of the Metatron, recensione

Si tratta di uno stile unico, particolare, artistico al punto da sembrare un quadro in continuo movimento.
Scenari ipnotici che sembrano essere stati partoriti dalle fantasie di un pittore d'altri tempi, rappresentati con tinte acide e dai contorni non definiti, e che spaziano da ambientazioni in cui dominano il nero e i colori fosforescenti a sezioni dai toni più soffusi, morbidi, quasi acquerellati, in una successione che nonostante il contrasto di schemi cromatici non disturba e anzi, ammalia. Già solo il character design è qualcosa di assolutamente originale: il protagonista è, come detto, un giovane scriba/monaco con dei lunghi capelli biondi che veste un'armatura bianca e un paio di jeans, la sua guida è in pratica, nome a parte, Lucifero in persona, qui rappresentato come uno di quei frenetici e stressati manager nostrani. In un connubio di sacro e profano, di elementi tipicamente giapponesi e altri più occidentali. In tale contesto non poteva mancare un doppiaggio sia in lingua inglese che in giapponese (sottotitolati entrambi in italiano) davvero ben realizzato, a parte ogni tanto la poca sincronia col labiale dei personaggi, e soprattutto una colonna sonora epica, con musiche in alcuni frangenti molto ispirate, specie durante i combattimenti più importanti.

Conclusioni

Multiplayer.it
8.5
Lettori (43)
7.5
Il tuo voto

In un panorama stantìo in termini di novità come a volte è quello dei videogiochi, fa sempre piacere trovare ogni tanto progetti fuori dagli schemi come questo El Shaddai: Ascension of the Metatron. Così, con le dovute proporzioni e i dovuti distinguo del caso, il titolo di Ignition Entertainment può essere affiancato ai capolavori di Fumito Ueda, ai quali si avvicina, pur con concept diversi, per la qualità intrinseca dell'ambientazione, per la capacità a suo modo di coinvolgere, emozionare, catturare l'attenzione del giocatore, immergendolo in un mondo colorato e affascinante.
E' vero che, rispetto al sopraccitato Ueda, gli sviluppatori qui sembrano essersi più concentrati proprio sull'aspetto estetico e quasi mistico del gioco piuttosto che sul gameplay, rifinito meglio il quale si sarebbe gridati al capolavoro, ma certo è che lo stesso El Shaddai ha "quel certo non so che" che, come detto poc'anzi, coinvolge, appassiona, ammalia al punto da far soprassedere su alcuni difetti di giocabilità.

PRO

  • Concept interessante
  • Aspetto visivo unico e ammaliante
  • Combattimenti difficili e affatto scontati nell'esito
  • Ipnotico e visionario

CONTRO

  • Gameplay un po' ripetitivo
  • Tutorial poco approfonditi
  • Nemici poco vari