Sul desolato pianeta di Lorian, una Deadsuit si risveglia da un lungo sonno, senza avere memoria di quale sia la propria missione né ricordi sul luogo che la circonda. Non è nemmeno sicura di cosa sia essa stessa, in effetti: un umanoide? Un androide con intelligenza artificiale? L'unico modo per ottenere delle risposte è iniziare l'esplorazione del pianeta, all'interno del lungo e tortuoso dungeon che si svela progressivamente come in ogni buon metroidvania che si rispetti. La recensione di Ghost Song può procedere sostanzialmente come quella di uno qualsiasi dei tantissimi giochi di questo genere che stanno uscendo in questi anni, eppure diciamo subito che questo titolo ha qualcosa di differente dai molti altri: non necessariamente migliore, perché ci sono giochi meglio bilanciati o caratterizzati da un sistema di combattimento più intrigante, ma la sua strana atmosfera e lo stile grafico disegnato in 2D riescono subito a catturare il giocatore e trascinarlo nei misteri di Lorian.
Si scopre subito che il pianeta è abitato da creature ostili ed è irto di ostacoli e trappole di vario tipo, ma tutto è immerso in un'atmosfera malinconica che, in qualche modo, rende affascinanti anche le caratteristiche più inquietanti e oscure che si scoprono nei suoi meandri.
Il disegno, la strana luce che pervade le caverne e l'accompagnamento audio compongono un quadro fantascientifico che richiama da una parte il leggendario Super Metroid e dall'altra una certa tradizione del fumetto fantascientifico d'autore, riuscendo ad affermare una propria identità specifica e diversa da qualsiasi altro emulo dello storico action adventure Nintendo. Oltre a questa straordinaria atmosfera, Ghost Song cerca anche di arricchire la formula ibrida con alcune pensate piuttosto peculiari, che guardano verso il genere souls-like e che convincono solo fino a un certo punto, ma riescono sicuramente a caratterizzare il gioco con un piglio originale, pur mostrando chiaramente varie derivazioni dai modelli presi come fonte d'ispirazione.
Tra esplorazione, scoperta e introspezione
Il protagonista non è animato da grandi ideali o da una specifica missione nella storia di Ghost Song e anche questo è un elemento molto particolare. L'inizio del suo viaggio è un semplice vagare alla scoperta dei dintorni, poi diventa la risposta a un richiamo d'aiuto di cui si fa carico quasi automaticamente, ma senza mai capirne precisamente il perché e senza un vero trascinamento emotivo verso l'impresa epica. Tutto diventa una specie di viaggio alla scoperta di sé stessi, perché il personaggio principale, che non ha nemmeno un vero e proprio nome, non ha idea di cosa sia né se ci sia davvero qualcuno all'interno della Deadsuit. È una creatura "nuova" e bizzarra, capace di usare armi letali contro i nemici e poi cogliere con meraviglia gli aspetti più affascinanti dell'ambiente alieno, sciogliendo la tensione in momenti più emotivi e delicati, anche se vissuti sempre con il distacco di un'entità probabilmente poco umana. Insomma il "mistero" del protagonista è un elemento che funziona bene e soprattutto risulta coeso con il modo in cui viene rappresentato tutto il mondo di Lorian, a metà tra l'inquietudine profonda e la bellezza malinconica.
D'altra parte, è un costrutto che torna anche utile per spiegare la struttura tipica del metroidvania, con la Deadsuit che ottiene progressivamente ulteriori poteri e strumenti per avanzare in nuove parti della mappa, conquistando (o riprendendosi?) armi ed equipaggiamenti che fanno scaturire nuove possibilità di spostamento e attacco. È insomma lo schema classico di questi giochi, che prevedono il backtracking come parte integrante dell'esperienza, una volta che la conquista del doppio salto, dello sprint o delle armi in grado di abbattere pareti possono aprire nuove strade prima precluse. Nel caso di Ghost Song, la scarsa chiarezza sugli utilizzi di alcune strumentazioni e la ripetitività di alcuni scenari non rendono semplice la navigazione, che a volte risulta anche frustrante, quando per esempio viene precluso il viaggio rapido o siamo costretti a cercare una delle rare "statue" che consentono la riparazione dell'armatura, ma si può dire che tutto questo sia "parte del gioco".
Una tuta per ogni evenienza
Dotata di un cannone innestato nel braccio con diverse tipologie di fuoco, la Deadsuit è uno strumento altamente qualificato per il combattimento, con il protagonista che può alternare vari tipi di attacco passando in ogni momento dal fuoco a distanza ai colpi corpo a corpo. A questo proposito è da notare una meccanica interessante che rappresenta un'altra caratteristica peculiare di Ghost Song: il fuoco a ripetizione surriscalda il cannone rendendolo meno efficace alla lunga, ma contemporaneamente questo problema può essere sfruttato come un vantaggio, perché rende più potenti gli attacchi melee, aggiungendo un piccolo ma interessante elemento tattico allo scontro. A questo va aggiunto anche lo studio dell'equipaggiamento da utilizzare, visto che sono diverse le possibilità in termini di arsenale e oggetti di supporto da attivare ma ci sono dei limiti al loro impiego.
Oltre alla scelta dell'arma secondaria, la gestione dell'equipaggiamento si basa sull'attivazione di moduli che cambiano le statistiche del protagonista e le sue abilità. I moduli si conquistano avanzando nel gioco, ma la loro attivazione richiede energia, che può essere fornita solo in quantità limitata dalla tuta: questo costringe a scegliere quali attivare, consentendo così anche un po' di personalizzazione sulla costruzione del personaggio. Aumentando il livello della Deadsuit si ampliano anche le capacità energetiche, consentendo l'attivazione di una maggiore quantità di moduli contemporaneamente, ma una selezione resta sempre necessaria.
Metroidvania e souls-like
Se l'ambientazione generale e anche alcune caratteristiche del protagonista richiamano chiaramente Metroid, diversi aspetti legati al combattimento e alla progressione del personaggio ricordano più Hollow Knight, ma qui scorgiamo anche delle idee nuove e interessanti. Oltre all'alto livello di sfida posto dai nemici e soprattutto dai diversi boss che si incontrano sul cammino, gli elementi souls-like hanno a che fare con il sistema di avanzamento per livelli e la gestione della morte del protagonista. Ogni nemico eliminato consente di conquistare varie quantità di "nanogel", una sostanza che può essere usata come una sorta di valuta, in grado di consentire il passaggio di livello, di acquistare oggetti presso una specie di mercante o di riparare i danni persistenti alla tuta. Funziona insomma come le rune di Elden Ring, per fare un esempio, ed esattamente come nei giochi FromSoftware la morte del protagonista comporta la perdita di tutto il nanogel conquistato, che può essere però recuperato tornando nel luogo dell'eliminazione.
La crescita della Deadsuit, al di là degli strumenti che si trovano avanzando nel gioco, è in gran parte legata alla conquista del nanogel, dunque i combattimenti diventano indispensabili in questo senso: l'investimento in "vigore", "decisione" e "potenza di fuoco" può essere fatto solo al cospetto di alcune "statue" (antichi e misteriosi androidi semi-spenti) sparse per la mappa, che consentono anche il viaggio rapido e la riparazione.
Quest'ultimo elemento è legato a un'altra dinamica originale di Ghost Song, ovvero la presenza di danni permanenti. A ogni risveglio dopo la morte, oltre all'azzeramento del nanogel trasportato, l'armatura si danneggia e riduce la quantità totale di punti vita a disposizione, potendo essere riparata solo al cospetto delle statue, che spesso però richiedono degli impegnativi viaggi per essere raggiunte. È una meccanica interessante e originale, che arricchisce il gioco e aumenta il livello di sfida anche se può incrementare la frustrazione nei momenti più impegnativi, come quando si affrontano morti a ripetizione contro i boss. Si tratta anche di un'ulteriore insistenza aggiuntiva sul backtracking, che in certi casi può alquanto smuovere i nervi del giocatore, specialmente all'interno delle aree più impegnative e piene di nemici.
Fantascienza disegnata
Il level design resta l'elemento fondamentale su cui si incentra un metroidvania, e Ghost Song da questo punto di vista non delude, mettendo in scena un mondo che spinge alla scoperta grazie alle sue meraviglie e ai suoi misteri. Il team Old Moon sembra aver fatto propria anche una regola meno evidente ma che accomuna diversi grandi giochi appartenenti a questo genere: la presenza di alcuni piccoli momenti e incontri particolari sparsi in giro per la mappa, in grado di sorprendere il giocatore con situazioni inaspettate e personaggi bizzarri. Lo stile grafico adottato richiama un po' la tradizione del fumetto fantascientifico degli anni 70, tra scuola francese sudamericana, tutto costruito in 2D e con un tratto davvero unico e continuamente oscillante tra l'orrore e la malinconia, stemperando i toni inquietanti con alcune figure grottesche e creature che risultano quasi tenere, in contrapposizione con l'opprimente senso di decadenza che pervade il pianeta di Lorian. Questo tono a metà tra il lugubre e il romantico è ben sottolineato anche dall'accompagnamento audio, composto da brani elettronici che intervengono a tratti per sottolineare vari momenti del gioco.
La direzione artistica potrebbe sembrare fin troppo artigianale, per non dire un po' grezza sotto alcuni aspetti, ma è dotata di un fascino davvero straordinario. Purtroppo, il ricorso al disegno in bitmap è chiaramente dispendioso in termini di creazione degli asset, motivo per il quale le ripetizioni sono molte nella costruzione degli scenari, con alcune aree che risultano molto più curate e piacevoli di altre.
La costruzione della mappa, altro elemento principale di un buon metroidvania, è convincente anche se con i suddetti momenti di smarrimento e frustrazione che possono emergere in alcune situazioni. Ghost Song riprende peraltro la tradizione di Metroid e Castlevania per quanto riguarda i passaggi segreti: questi si celano dietro muri da abbattere apparentemente anonimi, anche se spesso, a guardare bene, si trova sempre un qualche dettaglio che suggerisce la possibilità di un passaggio.
Conclusioni
Un misto ben bilanciato tra esplorazione e azione e alcune nuove idee interessanti sono caratteristiche fondamentali in Ghost Song, ma è la sua strana atmosfera malinconica a catturarci nel grande dungeon del pianeta Lorian. Nonostante il metroidvania sia ormai uno dei generi più diffusi in ambito indie, c'è veramente poco di scontato in questa strana e meravigliosa avventura, che sembra recuperare gli elementi costitutivi di Metroid e filtrarli attraverso una visione decisamente diversa, legata a una narrazione profonda e per nulla banale. Le integrazioni in stile souls-like funzionano piuttosto bene per rendere più coinvolgente l'azione e compattare un'esperienza che tende un po' a calare d'intensità nel corso delle circa dieci ore di gioco. Nel complesso, Ghost Song si rivela un gioco strano e affascinante: un metroidvania imperfetto rispetto ad altri esponenti del genere, ma dotato di un carisma davvero unico.
PRO
- Atmosfera meravigliosa che cattura da subito
- Buon misto di meccaniche metroidvania e souls-like
- Bella caratterizzazione dei personaggi e dialoghi non banali
CONTRO
- Tende ad essere frustrante in alcune fasi
- Level design un po' diluito e ripetitivo in alcune zone