Questo mese Nintendo ha dismesso la distribuzione di Wii in Europa e Giappone, il che significa che, una volta esaurite le console già sugli scaffali, non se ne troveranno di nuove. È, molto semplicemente, la fine di un'epoca. Che tentiamo di ripercorrere insieme, partendo dal lontano 2005, quando Iwata, da tre anni presidente dell'azienda, presentò all'E3 il progetto Revolution. Una conferenza che poco lasciava trapelare riguardo la nuova piattaforma, se non concetti abbastanza vaghi, relativi alla saturazione del mercato e alla necessità di fare qualcosa di diverso, per continuare l'espansione dell'industria e quella di Nintendo.
Parole che apparirono piuttosto vuote in quel momento, ma che rilette adesso potrebbero sembrare intimidatorie nei confronti dei rivali. Dei concorrenti che all'epoca erano tutto fuorché spaventati, Nintendo era una società con le spalle al muro, settore portatile a parte: GameCube, dal punto di vista commerciale, era stato surclassato da PlayStation 2 e dall'emergente Xbox, dimostrandosi scarsamente competitivo sia in Occidente sia in Oriente. Era la prima volta che Nintendo finiva "ultima" in una generazione di console, la seconda (consecutiva) che veniva sconfitta, e la terza in cui chiudeva in ribasso rispetto al ciclo precedente. Insomma, era ora di dare una svolta, e Iwata, per la prima volta incaricato di gestire il lancio e la progettazione di una console, non voleva farsi trovare impreparato. Il piano era chiaro, le pedine ormai disposte sulla scacchiera, silenziosamente e in segreto, nella speranza di dare scacco matto: in antico persiano Shāh Māt, "il re è morto".
Termina il cammino di Wii, un percorso contraddittorio: tentiamo di capirlo, esaminandone le orme
Una nuova categoria
Wii è stata la console Nintendo più "artificiale", quella maggiormente studiata, preparata in ogni aspetto, e la prima in assoluto a non assecondare i creativi: non tanto per il motion control, quanto per la scarsa potenza rispetto alle rivali, una novità assoluta per una compagnia abituata a essere all'avanguardia da qualsiasi punto di vista. Una macchina concepita per allargare il mercato, seguendo i concetti del "disruptive marketing", e con l'ambizione di attrarre una nuova platea, abbracciando il plurinominato "blue ocean", in opposizione al "red ocean" frequentato fino a quel momento. In poche parole, una piattaforma in grado di allontanarsi dallo status quo dell'industria, di alterarlo e ampliare il bacino d'utenza, il tutto attraverso una tecnologia a basso costo - da non confondersi con scadente - valorizzata al massimo. Tutte operazioni messe in atto perfettamente dal Wii, grazie principalmente al Wiimote, il suo straordinario controller, dotato di accelerometro, sensori di movimento e pochi pulsanti. Un oggetto familiare anche per le nonne abituate a usare il telecomando.
Quando il pad venne mostrato al mondo, al Tokyo Game Show del 2005, per le concorrenti era già troppo tardi: Microsoft era in procinto di lanciare Xbox 360, e Sony stava finalizzando la progettazione di PlayStation 3 (non che questo le abbia impedito di inserire un sensore di movimento all'interno del Dual Shock). L'operazione Revolution, culminata nel Wii, è stata strana e inedita, per Nintendo e il mercato tutto, ed è riuscita perfettamente almeno fino a metà 2008. Nel gergo videoludico ha generato il termine "casual", che i giocatori di tutto il mondo hanno adottato per definire chiunque non appartenga alla loro cerchia, cioè i nuovi acquirenti sedotti dal peccaminoso Wii Sports, da Wii Fit e persino da Mario Kart. D'altro canto ha anche arricchito il lemma "hardcore", fino al 2006 destinato ai veri giocatori "pro" (quelli che, in sintesi, tentano di battere il record mondiale di Ikaruga fregandosene del prestigio sociale), ora comprendente chiunque sostenga le produzioni più costose dell'industria, quindi ogni appassionato di GTA, FIFA, PES o Call of Duty, tanto per citarne alcuni. Tutti esemplari di giocatori che, ironicamente, fino all'epoca PlayStation 2 erano considerati poco seri, o addirittura di seconda categoria. E da questo presupposto partiamo con quella che, probabilmente, da molti lettori sarà vista come una provocazione: il termine "casual gaming" non è stato adottato per una precisa tipologia di titoli, ma per tutta quella categoria di prodotti che andavano, e vanno, contro i valori esaltati dall'industria. Valori nei quali tutti, dall'appassionato di corse al fan di Half Life, dal fanatico di The Legend of Zelda al monotematico calciofilo perso nel mondo di FIFA, si riconoscono. E non solo loro: ci si riconoscono anche i giornalisti (me compreso, ci mancherebbe) cresciuti con queste opere, gli stessi sviluppatori e produttori, e tutti si sono trovati spiazzati e impauriti di fronte a questo intruso stra-desiderato chiamato Wii, tanto da ostracizzarlo e deriderlo. Tutti, fan Nintendo compresi. E, forse, purtroppo per Wii e Wii U, Nintendo compresa.
In direzione ostinata e contraria
Inutile insistere troppo sul fatto che il termine "casual" non indichi alcuna determinata tipologia di giochi, basti vedere l'elenco di titoli a cui, soprattutto nei forum, viene addossata questa etichetta: Wii Sports, Wii Fit, Wii Music, New Super Mario Bros. Wii, Brain Training, Nintendogs, Mario Kart Wii, Animal Crossing, Just Dance, Nintendo Land. E tanti altri. Giochi che variano da software educativi/creativi , titoli di sport, platform 2D, racing game e via dicendo, il cui unico comune denominatore sta nell'andare contro lo "zeitgeist" dell'industria. Certo, tanti di essi sono associati dall'essere "user friendly", altri dalla limitata profondità dell'architettura ludica, altri ancora dalla scarsa componente tecnica; ma non tutti, perché New Super Mario Bros. Wii e Wii Music sono due opere enormemente stratificate e complesse, pur strizzando l'occhio agli analfabeti del gaming. Come specificato prima, ognuno di loro è accomunato all'altro per essere inviso agli occhi dei novelli hardcore, per uno o più motivi: sia il rifiuto del concetto stesso di sfida (Wii Music, Wii Fit), sia la scarsa innovazione (New Super Mario Bros. Wii), sia una grafica indirizzata alle ragazzine (Cooking Mama, ma anche Animal Crossing).
Wii è stata la console che ha scatenato e sostenuto questo pandemonio, ed è difficile capire quando e come possa esaurirsi, posto che in tutti i modi si stia tentando di incanalarlo in una ben definita, controllata e protetta fascia dell'industria. Sicuramente, come detto in precedenza, l'aver puntato su questi prodotti ha fatto sì che Wii diventasse, fino a metà 2008, la console più venduta di sempre (in relazione alla data d'uscita). E chissà dove sarebbe potuto arrivare se Nintendo avesse avuto a disposizione più macchine. Perché Wii non solo vendeva molto, ma era costantemente sold-out, e probabilmente lo sarebbe stato anche con decine di migliaia di piattaforme in più da distribuire ogni mese. Concentriamoci quindi un attimo su quello che per Nintendo erano i casual gamer, cioè il "blue ocean", costituito da tre fasce ben distinte. La prima, la più importante, era formata da giocatori persi per strada, tutti quelli che avevano abbandonato l'industria (soprattutto) nella transizione da 2D a 3D, gli amanti dell'immediatezza, del divertimento puro e semplice. Attenzione, non intendiamo necessariamente i quarantenni che hanno smesso di giocare dopo SNES, ma anche tutti quei bambini dagli stessi gusti che probabilmente non avrebbero mai cominciato. La seconda, un'autentica scommessa, era composta da tutte quelle persone che non erano e non sarebbero mai state attirate dai videogiochi tradizionali. La terza invece, forse il vero malcelato obbiettivo Nintendo, era formata da tutti quegli utenti che, una volta portati nel mondo Wii attraverso una delle categorie precedenti, avrebbe potuto apprezzare anche opere ibride tra i due mondi. Tanto per tornare nel concreto, tre esempi appartenenti a ciascuna fascia: Wii Sports, Wii Fit e Mario Kart Wii.
Iwata, gloria e problemi
Il piano ha funzionato alla perfezione fino alla fine del 2008. Al lancio della console, Wii Sports scatenò un'autentica mania, e sarebbe diventato presto il gioco più venduto di tutti i tempi, con oltre 70.000.000 di copie: un concept semplice, avvalorato da meccaniche immediate ma profonde, che grazie al motion control ha saputo attirare un pubblico enorme, ed estremamente variegato. Wii Fit, pubblicato a fine 2007 in Giappone e a inizio 2008 in Occidente, mantenne il "momentum" della console, arrivando a piazzare - in bundle con la bilancia - quasi 30 milioni di unità, molte delle quali acquistate da persone che mai avrebbero pensato di investire qualcosa in "videogiochi". La strategia ebbe il suo culmine con l'arrivo di Smash Bros. Brawl e Animal Crossing, che però non seppero, uno perché non abbastanza "semplice", l'altro perché più adatto ai portatili, vendere quanto Nintendo auspicava.
Brawl ha piazzato più di dieci milioni di copie, ma al contrario dei best-seller del periodo non è stato in grado di vendere nel tempo, di aumentare progressivamente il proprio installato; una caratteristica tipica dei giochi apprezzati principalmente dal pubblico tradizionale, che tende ad acquistare in massa al momento stesso della pubblicazione. Chi riuscì a catalizzare e convertire in realtà le speranze Nintendo fu Mario Kart Wii, giunto ormai a oltre 30 milioni di unità. Qui, al culmine del successo, quando Wii sembrava ormai inarrestabile, a Kyoto iniziò a incepparsi qualcosa. Prima di tutto Wii Music, pubblicato a fine 2008, e portatore della filosofia degli "user generated content", ebbe un successo risibile rispetto agli altri giochi della stessa linea, basata sui Mii. Al contempo Twilight Princess e Super Mario Galaxy, due opere apprezzate dalla critica, faticavano a macinare numeri paragonabili a quelli dei titoli più venduti. E il futuro appariva piuttosto imprevedibile, perché, una volta eseguito il piano iniziale, e tralasciando il dilemma del successore di Wii, non era facile trovare qualcosa per non far calare le vendite, una volta accettato il fallimento di Wii Music. A testimonianza di questo caos sicuramente c'è il Vitality Sensor, presentato come ideale successore della bilancia, mai confluito in un'opera concreta. La soluzione per Iwata fu semplice: ordinò la creazione di un episodio bidimensionale di Super Mario, dopo l'enorme successo avuto su DS. La risposta del pubblico fu eccezionale: dopo un anno e mezzo di calo, l'idraulico a fine 2009 fece impennare le vendite di Wii come non accadeva da mesi, forse dal lancio stesso. Ma quel gioco, nonostante il trionfo commerciale, fece emergere il problema più grosso di tutti: la distanza enorme tra i desideri degli sviluppatori Nintendo e quelli del pubblico di Wii.
Lacrime di coccodrillo
Quasi potesse essere un processo naturale, la speranza Nintendo di conquistare, educare e virare i nuovi utenti verso i suoi classici divenne presto un miraggio. Un miraggio che, soprattutto in relazione a Mario, gli sviluppatori volevano comunque perseguire, Miyamoto in testa. Le indicazioni ricevute dall'episodio bidimensionale erano state inaspettate e sorprendenti, e si fece il possibile per sfruttare il momento: team esterni al lavoro su Kirby e Donkey Kong in vecchio stile, in 2D. Ma non Nintendo. Miyamoto era ed è troppo convinto che Mario 3D sia la necessaria prosecuzione di Super Mario Bros. per rinunciare: se Galaxy non vende quanto New Mario significa che non è abbastanza accessibile, non che si rivolge a un pubblico diverso. Ed ecco enormi investimenti, con DVD esplicativo annesso, per introdurre tutti i cento milioni di utenti Wii al meraviglioso mondo dei Mario 3D, attraverso Super Mario Galaxy 2. Uno straordinario successo tra i critici, forse il miglior platform 3D mai creato, ma il risultato non cambia: vende meno del primo episodio, e non amplia il proprio pubblico.
Il fallimento - almeno in questo campo - conduce direttamente a 3D Land e, ora, a 3D World: sempre più immediati e lineari, sempre più belli e costosi. Dopo degli anni perfetti, i più rosei di tutta la sua storia, dal 2009 Nintendo si è rifugiata in sé stessa, cercando di trasportare tutta la nuova, enorme clientela verso i suoi prodotti classici, quelli che amano realizzare, quasi fosse stato un caso il declino di acquirenti da SNES in poi. Non è stato un caso. Se Nintendo nel 2005 si era trovata con le spalle al muro, non era stato perché lei aveva abbandonato gli hardcore, ma perché gli hardcore avevano abbandonato lei. E nonostante questo, nonostante avesse trovato la strada giusta per dominare il mercato, l'azienda di Kyoto ha continuato ad investire principalmente su ciò che ama fare, sui Mario 3D, sugli Zelda 3D (Skyward Sword è stato il titolo più costoso della storia Nintendo, e ha venduto circa 21 volte meno rispetto a Wii Sports), sul Metroid di Sakamoto. In molti sostengono che sarebbe stato impossibile dare diretta prosecuzione a una console "casual": gli intoppi, concettuali e pratici, sicuramente ci sarebbero stati. Ma in primo luogo sono mancati volontà e investimenti. Ancora una volta l'esempio chiarificatore è Mario, con New Super Mario Bros. U tendente al riciclo, e Super Mario 3D World traboccante di idee, con animazioni eccellenti e - forse - il miglior team Nintendo alle spalle. Mario Kart costituisce un'eccezione, ma per un semplice motivo: si tratta dell'unico brand ibrido per natura, amato da un'enorme fascia di pubblico e da Nintendo stessa. E infatti, nonostante le simili vendite su Wii, non è difficile notare la differenza tecnica tra New Super Mario Bros. U e Mario Kart 8.
È stato un successo?
Indubbiamente, Wii è stato un successo. Ci sono stati vari periodi vuoti tra un'uscita e l'altra, ma si sa, quelli vengono presto dimenticati, e alla fine rimangono solo i grandi giochi. Come Twilight Princess, e soprattutto Skyward Sword, lo Zelda cucito su misura per Wii. Conciso, dettagliato, dal motion control perfetto: la tesi di laurea Nintendo in quest'ambito, dopo cinque anni di investimenti e sforzi immani. Rimangono i due Super Mario Galaxy, tra i migliori platform 3D della storia, con il primo capace di trionfare ai BAFTA nove anni dopo Ocarina of Time. Rimane Wii Sports, il pong della nostra generazione, e il rilancio dei platform 2D. Rimangono Xenoblade Chronicles, il miglior jRPG degli ultimi anni, Metroid Prime Trilogy e Donkey Kong Country Returns, esempi delle enormi capacità di Retro Studios.
Rimangono i tantissimi titoli usciti per la console, mai così numerosi dai tempi di NES (per Nintendo), rimangono i giochi multiplayer (offline) sui quali non punta quasi più nessuno, come Mario Strikers Charged Football, Mario Kart, Smash Bros. e Wii Party, oltre a Rock Band. E rimane la leggenda che le terze parti non abbiano venduto su Wii, quando è la console dalla quale hanno ricavato, fino al 2009, più soldi in assoluto: semplicemente, li hanno ricavati dai giochi che poco sono considerati dalla critica (Just Dance, per dirne uno). Rimane il motion control, che ancora non sappiamo se sarà un unicum, quantomeno come interfaccia principale. Motion control che ha saputo vendere la console e avvicinare neofiti al videogioco, ma che non è stato capace, come si ipotizzava all'inizio, di imporsi sul mercato tradizionale: sia perché le società - a parte Nintendo - non ci hanno investito seriamente, sia perché i giocatori "hardcore", e Skyward Sword lo dimostra, preferiscono ancora i pulsanti. Al momento sembra destinato ad accompagnare il mercato canonico, o quantomeno a questo l'industria lo ha dirottato. Non si può dire che Wii sia stata la piattaforma Nintendo di maggior successo perché, lasciando da parte la critica, e nonostante sia stata la prima home console a varcare la soglia dei cento milioni, NES rimane comunque superiore. Perché le sue innovazioni sono state (quasi) tutte accettate e sviluppate dai successori, perché aveva di fatto creato un nuovo mercato, perché percentualmente lo aveva dominato, perché le condizioni macroeconomiche erano peggiori rispetto a quelle del 2006. Wii si è avvicinato più di chiunque altro al capostipite, e sicuramente ne è il successore spirituale. Ha rappresentato lo scacco di Kyoto all'industria, ma al momento di dare il colpo di grazia e chiudere la partita, a fine 2009, Nintendo ha guardato il re degli avversari, e ha visto sé stessa. Si trova ancora lì, allo specchio, da circa quattro anni, nella speranza di tingere gli eserciti dello stesso colore.