Che ci facciamo a Las Vegas, seduti nella stanza di un motel, davanti a un tizio con in mano un prototipo pieno di fili e scotch che sembra uscito da "Se mi lasci ti cancello" e con cui promette di spararci delle immagini direttamente nella retina? È vero, al Consumer Electronics Show, la fiera mondiale della tecnologia che si è svolta a poca distanza da qui, ne abbiamo viste di tutti i colori: c'è chi ti chiede di appoggiare il polpastrello a un aggeggio attaccato allo smartphone per rilevare la pressione sanguigna e l'ossigenazione del sangue, chi di indossare una fascia cardiaca a cui sono collegate app per misurare ogni parametro vitale, in un crescendo di tecnologia che ci sta sempre più addosso e rischia in futuro di diventare un tutt'uno col nostro corpo: vi ricordate Johnny Mnemonic? Ma gli occhi sono un'altra cosa: gli occhi ci servono anzitutto per videogiocare, guardare film, scrivere questi articoli e più in generale per guardare il mondo, osservarlo, giudicarlo. Con gli occhi non si scherza.
E l'idea di sparare, seppure luce, nella retina, un po' ci inquieta. Eppure Allan Evans, Chief Technical Officer di Avegant, ci assicura che l'esperienza con Glyph sarà assolutamente sicura e completamente diversa da tutto quanto abbiamo provato prima d'ora. "Perché non ha due schermi LCD posizionati davanti agli occhi come fanno tutti i nostri concorrenti", ci spiega "ma è un display retinico virtuale, cioè proietta le immagini direttamente nella retina: in pratica è come vedere un'immagine riflessa in uno specchio, la luce rimbalza ed entra negli occhi". La spiegazione ci rassicura ulteriormente, anche se guardandoci intorno, nel caos della stanza d'albergo che sembra appena passata dal trattamento notturno di "Una notte da leoni", un brivido ci corre lungo la schiena. Di questo ennesimo visore personale però si parla ormai da qualche mese con una certa trepidazione e dal 22 gennaio la società ha deciso di iniziare una raccolta fondi su Kickstarter, nel tentativo di emulare il successo di Oculus VR col suo Rift. Glyph però allo stato dei fatti non vuole essere un emulo e diretto concorrente del visore di realtà virtuale che sta mettendo in fibrillazione il mondo della tecnologia, ma un vero e proprio schermo da passeggio con cui giocare ai videogame come faremmo con la console davanti alla tv o con cui guardare film e telefilm.
Abbiamo testato un nuovo visore personale che ha dello straordinario. Ecco la prova dell'Avegant Glyph
Prove (e difficoltà) tecniche
Arriva dunque il momento tanto atteso della prova. Glyph è praticamente identico a una cuffia, piuttosto ingombrante a dire il vero, per ascoltare la musica. Il motivo è che nelle intenzioni dei designer si può indossare in due modalità: come una cuffia appunto, con la fascia che unisce i due altoparlanti posizionata sulla testa, quando si vuole ascoltare il proprio cantante preferito, e come un visore, con la stessa fascia calata davanti agli occhi, quando la si vuole utilizzare per giocare o vedere un film senza per questo rinunciare all'audio. Una novità non da poco se si considera che la maggior parte, se non tutti i visori personali presentati sul mercato fino ad oggi hanno un aspetto fantascientifico, e si presentano più come congegni da tenere in una custodia e indossare al momento giusto che come accessori da streetwear dotati di quella funzione visiva nascosta che li rende unici.
Al momento di indossare nella modalità video Glyph arrivano però i primi problemi. Il prototipo è pensato per essere utilizzato senza occhiali da vista anche per il 3D e quindi necessita di una calibrazione della distanza intraoculare e della messa a fuoco per ciascun occhio, attraverso una serie di levette poste immediatamente sotto i nostri occhi: una serie ripetuta di tentativi però va a vuoto, lasciandoci con un forte effetto di sdoppiamento dell'immagine, dovuto forse al fatto che il prototipo va migliorato e che il nostro difetto visivo è di quelli piuttosto atipici, con astigmatismo su un occhio e miopia sull'altro, fatto che richiede una sorta di correzione opposta sulle due lenti da vista. Dopo avere rinunciato definitivamente a tarare il Glyph, con sommo rammarico di Allan che si dice costernato e conferma che siamo i primi in tante prove a non riuscire ad eseguire l'operazione, passiamo alla prova con gli occhiali da vista indosso: in questo caso la vestibilità, che prevede dopo la taratura delle lenti di ritrarre la fascia col visore per farla aderire perfettamente al volto, è precaria perché compromessa dagli occhiali, ma una volta trovato un assetto accettabile possiamo iniziare finalmente a guardare e vedere.
Vedere è potere
Le immagini che scorrono davanti ai nostri occhi sono quelle di un filmato subacqueo con pesci tropicali che si scollano dal fondo e vengono verso di noi. La primissima impressione, rispetto ai visori tradizionali con piccoli monitor posti direttamente davanti alle nostre pupille, è di una eccezionale luminosità accompagnata da un senso di vista naturale: è una sensazione difficile da esprimere, ma in effetti come anticipato da Evans, la visione è più simile a guardare attraverso una finestra realmente esistente che verso uno schermo artificiale. Il 3D funziona piuttosto bene, seppure con un senso di profondità più spiccato verso chi guarda che in direzione opposta (ma crediamo si tratti di una caratteristica nativa del filmato) e la nitidezza dell'immagine è davvero notevole, pur se il campo visivo (pari a 45 gradi) ci è sembrato meno ampio di come ce lo aspettavamo.
Ma la nostra idea che Glyph sia pensato soprattutto come accompagnamento al videogioco mobile è stata confermata poco dopo quando Allan Evans lo ha collegato con un jack al suo iPhone e ha lanciato Real Racing 3. Come molti, chi scrive ha sempre odiato i videogame di guida sullo smartphone, perché costringono spesso a piegare la testa quando inclini il telefono per curvare in pista, ma con Glyph questo problema è superato: avviata una gara veloce, la partita si è trasformata in un'esperienza spettacolare, con immagini fluide e finalmente non più confinate nelle ristrettezze del telefono, e ancora una volta molto naturali e per nulla fastidiose per la vista, oltretutto con una latenza praticamente impercettibile tra i movimenti della mano e la risposta della sterzata sullo schermo. "È solo un esempio, ma praticamente si può trasferire qualsiasi immagine e gioco si trovi sul telefono dentro il Glyph", ha sottolineato Allan e per dimostrarlo ci ha invitato a usare liberamente il suo iPhone. Così siamo andati dapprima a vedere dei filmati su Youtube, che una volta "ingranditi" davanti ai nostri occhi davano l'impressione di vedere il grande schermo della nostra tv, poi abbiamo scorso la galleria di immagini, scusandoci quando siamo incappati in tenere foto di Allan con la sua fidanzata, e infine abbiamo provato a visualizzare altri giochi, e per curiosità siamo finiti su Piante contro Zombi. Anche in questo caso la grafica è diventata eccellente, solo che si è posto un altro tipo di problema: visto che gli occhi sono "incastrati" dentro il Glyph non è possibile guardare le dita che devono controllare l'interfaccia di gioco. Questo vale in generale per tutti i visori, e quindi se si vogliono sfruttare al massimo i videogiochi si avranno due possibilità: o si utilizzano solo quelli che richiedono un semplice tocco (come accelerare/frenare) e l'inclinazione-spostamento dello smartphone o si reinventa e semplifica l'interattività dei nuovi videogame mobile, attraverso touch e accelerometri, perché tutti quelli che richiedono di guardare le dita sul touch screen sono tagliati fuori.
Due chiacchiere sul Glyph
"L'ispirazione per il Glyph", ci spiega Evans "è venuta dal nostro modo naturale di guardare la realtà. L'immagine come tutti sanno si forma dentro l'occhio. E per imitare questo processo in pratica facciamo arrivare l'immagine direttamente nella retina attraverso milioni di microspecchi, perciò il risultato è più confortevole rispetto ad altre soluzioni già presenti sul mercato. Inoltre in termini di risoluzione noi raggiungiamo la definizione standard di 720p per ogni occhio, e anche se può sembrare bassa, riusciamo a proiettarla sulla retina in modo che sia molto nitida e senza perdere qualità. D'altra parte è la stessa cosa che avviene se paragono i 20 megapixel della fotocamera del mio cellulare con i 12 della mia reflex digitale: per la qualità finale dell'immagine il numero dei pixel è solo una delle variabili in gioco". Una delle sorprese positive della pur breve prova è che non c'è nessun apparente affaticamento della vista.
"Stiamo lavorando insieme a degli oftalmologi", continua il guru tecnico di Avegant "per migliorare l'ottica, in modo tale che anche chi porta gli occhiali non sia costretto a indossare due strumenti per la vista, cosa di cui per esempio molte persone si lamentano al cinema. In qualche modo il problema riscontrato in questa demo conferma che c'è ancora del lavoro da fare per funzionare con ogni tipo di difetto visivo. Inoltre bisogna spiegare che il nostro congegno offre un angolo di visuale che è volutamente limitato perché corrisponde allo stesso campo su cui le persone sono abituate a vedere un film o a giocare a un videogame". A questo punto gli chiediamo con quali dispositivi può essere utilizzato. "Praticamente tutti, non soltanto smartphone, tablet o laptop, ma volendo anche una console: lo abbiamo provato già su PlayStation 3 e PlayStation 4 e funziona alla grande". E anche se a prima vista può sembrare bizzarro e inutile sostituire la TV con una "cuffia", è altrettanto vero che se la console (magari quella vecchia) si può portare nella casa al mare, più difficile è traslocare anche il televisore da quarantadue pollici: in questo senso Avegant potrebbe risolvere il problema. "Abbiamo deciso di andare su Kickstarter perché non vogliamo solo raccogliere i soldi per avviare la produzione di massa", spiega Evans "ma anche perché vogliamo un feedback dalla comunità dei potenziali acquirenti, che sono soprattutto quelli che usano i dispositivi mobile, per sapere quali modifiche e accorgimenti dobbiamo porre in essere. I piani sono di arrivare sul mercato entro Natale del prossimo anno con un prodotto che costerà 499 dollari". La strada è ancora lunga per questo ennesimo visore personale che arriva sul mercato, a dire il vero con più hype rispetto a quanto avvenuto per analoghi prodotti di case ben più blasonate come ad esempio Sony. I problemi da risolvere sono ancora diversi, ma Evans e il suo agguerrito team di imprenditori è convinto di poter sfondare: "Basti pensare a quanti dispositivi portatili ci sono in giro per il mondo", sottolinea "e al fatto che l'85 per cento dei possessori di smartphone li utilizza soprattutto per l'intrattenimento, videogiochi e film, per capire quali sono le potenzialità sul mercato".