La leggenda che vedrebbe Nintendo fare "sempre le solite cose" aleggia da lungo tempo, più o meno dalla nascita stessa della console war. Il sentimento si è inasprito durante la scesa in campo di Sony, ed è letteralmente esploso in epoca Wii, quando ai vari tifosi avversari - perché ahinoi di questo si tratta - si sono aggiunti gli stessi fan dell'azienda di Kyoto. Inutile ribadire per l'ennesima volta come la frase non sia applicabile a brand cangianti e spesso sperimentali come Mario e Zelda, che a dire la verità sono il principale motivo di stigmatizzazione, perciò preferiamo concentrarci su un altro tema caldo, quello delle nuove proprietà intellettuali. La prima teoria che ci preme dissacrare è quella che presuppone una Nintendo conservatrice nell'età del Wii, impegnata solo a reiterare le proprie saghe storiche, ben lontana dagli esperimenti che invece avevano contraddistinto la prima fase del GameCube. Dal 2006 in poi Miyamoto e compagni hanno creato, senza contarli nel dettaglio, molti nuovi brand, sicuramente più che nei primi cinque anni del nuovo millennio: perché, dunque, sarebbe nata e si sarebbe diffusa questa diceria? Il motivo è molto semplice. Su Wii si è cementificata una forte dicotomia tra le serie storiche, dedicate a un pubblico tradizionale, e quelle nuove, orientate alla platea casual: non è che non ci siano stati progetti inediti, semplicemente non erano pensati (solo) per gli appassionati, che di conseguenza, in modo piuttosto ottuso, ne hanno praticamente rimosso l'esistenza, quasi appartenessero a un'altra dimensione. Il punto focale della questione, ci siamo finalmente arrivati, comunque rimane uno: nel quinquennio del Wii, revival di Donkey Kong Country a parte, Nintendo non ha introdotto alcun brand concepito per il proprio pubblico storico. E quando diciamo Nintendo, in questo caso intendiamo principalmente EAD.
"Sempre le solite cose", "solo Mario e Zelda", "mai nuove IP": oggi affrontiamo qualche luogo comune
Calamari da guerra
Il sentimento è stato ulteriormente esacerbato dal concomitante abbandono di tante saghe secondarie, che poco vendono ma sono molto amate: una su tutte, quella di F-Zero. Il pubblico si è lamentato perciò di due atteggiamenti apparentemente contrastanti - nessuna nuova proprietà intellettuale, abbandono di vecchie proprietà intellettuali - accomunati però dal progressivo indebolimento dei progetti dedicati agli appassionati. In breve, per un F-Zero che se ne andava non c'era un nuovo Pikmin a sostituirlo, bensì un Wii Sports, Music, Fit e via dicendo. È anche per questo che Splatoon è stato osannato nei forum di tutto il mondo: segna un'importante inversione di tendenza. Non che il gioco paia mediocre, anzi: gli hands-on sono stati generalmente positivi, alcuni pure entusiastici.
Il motivo per cui è stato adottato come nuova star però dipende, e questa naturalmente è una nostra opinione, più dalla sete e dal bisogno d'attenzione che aveva quel particolare tipo di pubblico che dal titolo in sé; un'attenzione che forse nemmeno Mario e Zelda sarebbero stati in grado di garantire quanto Splatoon, perché loro due, almeno come presenza, sono dati per scontati. Un'altra ragione per cui pullulano fan-art in ogni dove è che Splatoon odora di 16-bit perfino da qui, a migliaia di chilometri da Kyoto: di giochi così, con un aspetto tanto colorato e un'atmosfera baloccante figlia di spensieratezza e sfida, se ne vedono ormai pochi. A quanto detto finora va aggiunto che il progetto sembra avere una solida base alle spalle (detto più volgarmente, non è fatto con due Euro), e che è nato a discapito di un nuovo Nintendo Land: il team in effetti è lo stesso di Wii Sports, Wii Music e Animal Crossing, e anche per questo un simile esperimento è così importante per lo zoccolo duro degli utenti, ansiosi di abbracciare nuovi personaggi da affiancare a Link, Mario e Samus. Ma, oltrepassando per il momento il particolare contesto di Splatoon - avremo tempo di parlarne - torniamo al concetto generale di "nuova proprietà intellettuale". Le posizioni dominanti tra i fan sono due: ci sono quelli che vorrebbero nuovi personaggi a ogni generazione (incuranti del tipo di gioco), e quelli per cui in Nintendo dovrebbe vigere la regola "un genere, un brand". Nel caso di Splatoon, tanto per chiudere il discorso, entrambi gli schieramenti sono rimasti soddisfatti: Nintendo non aveva uno shooter multiplayer, e ha anche optato per degli inediti adolescenti mutaforma piuttosto che per i Mii (o Mario).
Yoshi's Island insegna ancora
È curioso notare come, dal semplice punto di vista concettuale, l'esatto opposto di Splatoon sia Hyrule Warriors: un videogame con dei personaggi di Zelda, estesi però a un altro genere. Noi non vogliamo proporre soluzioni, sarebbe abbastanza ingenuo, quanto segnalare il problema: che appoggiate le mosse dell'azienda o meno, è evidente che Nintendo abbia atteso troppo a presentare un nuovo brand "classico". È evidente da come è stato accolto Splatoon, e dalle lamentele dei fan.
Ogni generazione, pur rappresentando un rischio economico, Nintendo si dovrebbe concedere uno o due esperimenti sulla scia di Pikmin, Luigi's Mansion e Splatoon: delle proprietà intellettuali nuove, non finanziate quanto Zelda ma nemmeno come Chibi Robo, così da rinfrescare continuamente la propria ludoteca. Per chiudere, approfondiamo un attimo le due fazioni precedentemente esposte. La prima, esistente più nelle idee degli utenti che nella pratica, francamente non ha troppa ragione di esistere, ed è abbastanza lontana dallo spirito Nintendo: sovrapporre nuovi personaggi a delle strutture ludiche già note sarebbe una mera operazione d'immagine. La seconda fascia, in un certo senso più conservatrice, è comunque più sensata, perché allo stesso tempo non si lamenta che Zelda esca su ogni console e appartenga sempre allo stesso genere, ma si indigna quando il brand viene usato in modo strumentale - vedi Link's Crossbow Training o Hyrule Warriors - o nel caso un nuovo esperimento in un campo inedito, come Pikmin, sia permeato dai soliti noti (Regno dei Funghi e altri classici). Insomma, per questo pubblico ci deve essere una totale sovrapposizione tra genere e brand. È, come detto prima, un atteggiamento coerente. Tuttavia proprio una crepa concettuale in questa scuola di pensiero potrebbe costituire una potenziale via da percorrere: a livello astratto non conta tanto il legame tra genere e proprietà intellettuale, quanto quello tra struttura ludica e, appunto, proprietà intellettuale. Non è una differenza da poco: è la distinzione che ha permesso, per esempio, la coesistenza di Mario Kart ed F-Zero sulla stessa console. Oppure di Donkey Kong Country e Super Mario World. Forse Nintendo avrebbe dovuto riporre più attenzione alle sfumature dei propri giochi:
se lo avesse fatto, probabilmente anche le accuse di ripetitività e conservatorismo non sarebbero state così accese. Un esempio eclatante è quello di Super Mario 64: vi sembrerà eretico leggerlo adesso, dopo undici milioni di copie e un mondo dei videogiochi plasmato a propria immagine e somiglianza, ma quel titolo avrebbe potuto avere anche un altro protagonista. Perché con gli episodi 2D c'entra molto poco. Non possiamo dimostrarlo, ma vista la portata devastante dell'opera, non ci saremmo stupiti se avesse venduto allo stesso modo, o poco meno, se al posto di Mario ci fosse stato un personaggio diverso. Le premesse c'erano tutte: nuove mosse (cazzotti e via dicendo) e impostazione inedita (esplorazione e sviluppo a missioni). Con due saghe distinte anche nel nome, adesso si eviterebbe il caos dei vari "New Mario" e "Mario 3D". Un esempio altrettanto pertinente della rilevanza poietica che può avere un personaggio, pur all'interno di uno stesso genere, è Yoshi's Island. È un platform 2D come Mario, ma con un set di mosse radicalmente diverso e un'interpretazione del level design quasi gli antipodi. Oltre a Splatoon, quindi oltre ai progetti integralmente inediti, Nintendo forse dovrebbe stare più attenta a inserire, quando può e quando è coerente col gioco, nuovi personaggi e ambientazioni. Mario 64 era un'occasione, così come Mario 3D World. Pensate alle fatica che si fa nel comunicare che uno (il New) è 2D, uno 3D lineare, uno 3D esplorativo. Sono tre diverse letture dello stesso macro genere, sarebbero anche potuti essere tre diversi personaggi.