Bentornato horror. Quanto ci sei mancato: i salti sulla sedia dei cani che sfondavano la finestra del primo Resident Evil, gli interminabili minuti consumati nel timore di essere sorpresi da uno shibito di Siren, le ore perse nella nebbia di Silent Hill, chi può dimenticare? Ti sei reinventato troppo, caro horror, ci hai resi troppo forti, hai fatto naufragare la paura di morire, o di vivere, mettendoci in mano armi sempre più potenti e diminuendo quegli indimenticabili momenti di attesa. E il buio, caro horror, dov'era finito? Troppa luce che disperde i nostri demoni interiori e l'atavica paura dell'ignoto.
Ti avevano dato per morto, caro horror, ma noi non ci abbiamo mai creduto davvero. Il primo capitolo di Dead Space ci ha dato un sussulto, un breve ma piacevole ritorno a quei sapori, ma è giusto accontentarsi? Non è legittimo pretendere qualcosa di più? Forse dovevamo attendere la nuova giovinezza degli sviluppatori indipendenti, così squisitamente avulsi dalle spesso troppo severe leggi di mercato che governano i tripla A. La produzione deve smettere di scendere continuamente a patti coi compromessi e osare, spingere il giocatore verso nuovi esperimenti. Perché il videogiocatore non è un soprammobile, ma uno splendido catalizzatore emozionale. E poi è successo. Tutto è cambiato nel 2010 con l'avvento del mitologico Amnesia: The Dark Descent per PC, prodotto da Frictional Games, titolo che è diventato un cult grazie alla sua spinta decisa sull'acceleratore della paura. Visuale in soggettiva, buio pesto e creature mostruose da notti insonni, un successo che però non è stato mai gratuito, con gli sviluppatori inizialmente preoccupati che il titolo non potesse raggiungere l'obiettivo di vendite, perché chi osa rischia sempre, ma quanto è grande poi la soddisfazione?
Superare il limite
Possiamo prendere anche in considerazione la piccola parentesi rappresentata da ZombiU per Nintendo Wii U, uno dei prodotti più coraggiosi di Ubisoft che univa un utilizzo innovativo del GamePad con atmosfere davvero spaventose, ma poco dopo arrivò Red Barrels, e niente fu più come prima. Formatasi sempre da ex elementi Ubisoft, la casa con il suo Outlast ha definitivamente spinto il media videoludico nell'universo cinematografico, seguendone le regole. E non è certo una consuetudine nel videogioco, ancora molto legato a quello stampo di prodotto di intrattenimento per tutta la famiglia, troppo fedele a quel senso di "politically correct" che rende difficoltoso sondare nuovi territori lasciandosi alle spalle il fardello della morale.
E Outlast se ne libera quasi con una incoscienza adolescenziale, portando il giocatore proprio dove vuole, senza compromessi. Il dopo si vedrà, ci sarà tempo di discuterne a luci accese, ma durante il corso di questa terrificante e buia avventura non si guarda veramente in faccia a nessuno. I modelli cinematografici sono chiari: si punta a una delle pellicole più magistrali nello spaventare senza far vedere, The Blair Witch Project, ma Outlast vuol far vedere eccome e guarda un filo anche al Silenzio degli Innocenti, a The Chainsaw Texas Massacre (Non Aprite quella Porta) e ad Hostel, ma soprattutto allo splendido Rec di Balaguerò e Plaza, nella fattispecie gli ultimi insostenibili minuti girati con la visuale a infrarossi. C'è anche un altro modello da non escludere, quello rappresentato dal geniale Chris Cunningham, esperto in videoclip musicali che è riuscito come nessun altro a dare una forma agli incubi digitali di Richard D. James, in arte Aphex Twin. Chi può scordare il video di Come to Daddy? Ecco, pensate anche a quello di Rubber Johnny, interamente girato con gli infrarossi, che gioca con l'orrore fino a renderlo uno spettacolo grottesco e ridicolo. Le figure mostruose riprese nell'oscurità e schiacciate violentemente sull'obiettivo sono un altro elemento a cui Outlast non è estraneo.
Preferisco farlo con la luce accesa
Nel titolo di Red Barrels si gioca sotto la luce solo per pochi minuti: appena entrati nel manicomio di Mount Massive una lampadina si rompe e l'oscurità ci avvolge, l'unica fonte di luce è il visore a infrarossi della nostra videocamera, per di più con batteria limitata. Nessuna arma, visuale in soggettiva per spingere al massimo il senso di immersione, e siamo di nuovo soli coi nostri demoni. Il survival horror, finalmente. Gli orrori e i salti sulla sedia arriveranno in grandi quantità nelle ore successive, ma niente può prendere il posto dell'impatto devastante del sentirsi abbandonati in un luogo sconosciuto e minaccioso, senza la possibilità di vedere o difendersi. Questo splendido momento consegna già Outlast alla storia e apre anche uno squisito dilemma: ma se ho paura, perché mi devo costringere a fare tutto questo? Forse l'amante dell'horror è un freak masochista? Perché da piccoli volevamo così tanto entrare nella casa delle streghe al Luna Park? In fin dei conti è un modo come un altro per sfidare le nostre paure e conoscere più a fondo certi nostri aspetti e l'horror è una splendida occasione, così come l'impagabile piacere dopo il catartico salto sulla sedia: non ci siamo mai sentiti così vivi.
Dopo il catartico salto sulla sedia, non ci siamo mai sentiti così vivi!
Non voltarti
Chi ha già giocato Outlast e soprattutto il contenuto aggiuntivo Whisteblower, sa che con quanto sopra abbiamo giusto intravisto la punta dell'iceberg, il titolo non si limita certo ad un simulatore di lampadine rotte, ma è - come detto - un vero survival horror in prima persona perfettamente fedele alle "regole del gioco", ma con qualche novità che non guasta di certo, come quella di correre col cuore in gola, senza voltarsi mai indietro, con quella voglia malsana di riprendere paradossalmente qualcosa, una macabra testimonianza di ciò che abbiamo assistito. Ok, lo abbiamo già visto, ma non ancora giocato.
In un tripudio inusitato di violenza e perversione, parti intime esposte prima e rimosse dopo, si arriva alla fine anche con un certo appagamento narrativo, ma con il lieve timore della stimolazione eccessiva. D'altronde è risaputo che la mente umana si adatta a tutto, e dopo è difficile tornare indietro, inoltre il confine tra la trasgressione e il manierismo compiaciuto è spesso più labile di quanto si pensi. Ma Red Barrels sa come premere i tasti giusti senza cadere in facili trappole, portando a casa il risultato e aprendo il terreno per il ritorno dell'horror. Ci siete? Manca solo un passo per entrare nella nuova generazione, ma a spingerci inaspettatamente è un vecchio amico: Hideo Kojima e il suo Silent Hills; sì, con la esse finale. Avrete già capito tutti che abbiamo una voglia matta di parlarvi del Playable Teaser che potete scaricare gratuitamente su PlayStation 4, ma abbiate la pazienza di aspettare il paragrafo successivo, perché il regista mancato più amato dalla comunità di videogiocatori ha accettato una doppia sfida, non solo quella di riportare il franchise Konami ai fasti di un tempo, ma di spaventarci come mai prima. Ci riuscirà? Ricordate che c'è anche Guillermo del Toro a dare manforte e se il mattino ha l'oro in bocca, allora questa è una giornata perfetta per tornare a urlare... di terrore.
Casa dolce casa
Partiamo con una lieve premessa che molti di voi già conoscono. La versione dimostrativa di Silent Hills, o Playable Teaser, o P.T. fa paura, tanta, in una maniera che non ci aspettavamo. E non è per la sua grafica fotorealistica, anche se aiuta. Le regole del gioco le conoscete, ma facciamo un ripasso. Partendo da una stanza decisamente associabile a una cantina, ci troviamo a percorrere un corridoio a L di una appartamento, che si ripete all'infinito, ma ad ogni "loop" accade qualcosa di diverso, e sempre più terribile. Presto scopriamo di non essere da soli, il mistero si tramuta in inquietudine, poi paura, specie quando una presenza paranormale, che presumiamo essere la moglie che abbiamo probabilmente noi stessi ucciso, comincia a perseguitarci in ogni modo.
Non c'è pace nei due corridoi di Kojima, alternati da un bagno che se possibile è anche peggio, tanto che, sopraffatti dal terrore e dal senso di claustrofobia, alziamo lo sguardo nel disperato tentativo di trovare uno spazio più aperto; manco il tempo di distrarsi sul bel parapetto e ci accorgiamo di una sinistra figura che ci osserva dall'alto, perfettamente immobile. Allo stesso tempo una voce macabra ci esorta caldamente a non voltarci. Dateci tregua. Kojima ha paura degli horror, l'ha ammesso lui stesso, e secondo noi non c'è persona migliore per trasmettere la paura, perché la paura per raccontarla bisogna prima conoscerla. Dario Argento diceva le stesse cose, ed è la mente che ci ha regalato gioielli come Suspiria e Profondo Rosso. Guarda caso non è difficile pensare al primo film quando le pareti della casa infestata di P.T. si fanno di un colore rosso innaturale, come un inferno da focolare ma anche come un macabro teatro. La regola di Silent Hills è quella di mettere lo spettatore di fronte ai propri incubi interiori e Kojima esegue con una precisione chirurgica; ma la vera magia di questo piccolo gioco è proprio il fatto di confinarlo tra quelle due mura, rendendo l'esperienza "mental" e trovando nell'intimità casalinga una cassa di risonanza per raccontare un orrore sconfinato. Alla fine, nonostante le polemiche per gli enigmi astrusi che ne rendono difficile il completamento senza guide, P.T. è da considerare come un esperimento su come il mondo dei videogiochi abbia solo scalfito la crosta, decomposta, del genere horror, segno c'è ancora tanto da scoprire, ma la strada è finalmente di nuovo aperta. Bentornato horror, quanto ci sei mancato.