Se dovessimo indicare e premiare l'argomento più dibattuto dell'anno nel mondo videoludico non avremmo dubbio alcuno: la resolution war. La quantità di notizie prodotte dai 720, 900 e 1080p e dai 30 e 60 fotogrammi al secondo non trova molti paragoni nella storia del medium, nonostante su PC si parli di risoluzione da moltissimi anni (sempre in relazione alla propria configurazione, mai come valore assoluto però). È un sistema di notizie che si è auto-alimentato con i mesi, sfuggendo di mano un po' a tutti, noi compresi. Il punto di partenza della frenesia da risoluzione è da ricercarsi in Sony e Microsoft, che per vendere la potenza delle loro console parlarono nel 2013 dei 1080p come standard, spingendosi addirittura a ipotizzare applicazioni (non videoludiche) capaci di raggiungere i 4K:
"Stando al dirigente di Microsoft Aaron Greenberg, la multinazionale di Redmond non obbligherà gli sviluppatori di Xbox One a raggiungere i 1080p. La dichiarazione è arrivata dopo il caos suscitato dalla rivelazione che Ryse girerà a 900p. Comunque, sempre stando alle sue parole, Xbox One è pensata per supportare giochi tripla A e intrattenimento vario fino a una risoluzione di 4k, ma spetta ai singoli sviluppatori decidere a quale risoluzione nativa far girare i loro titoli."
Come spesso accade, la realtà si è dimostrata nemica del marketing e quando le due console sono arrivate sul mercato il quadro è stato molto più diversificato di quanto sperato, con i 1080p per 60 fotogrammi al secondo diventati più un miraggio che una certezza. Abbiamo affrontato l'argomento anche in uno dei paragrafi di un recente speciale, in cui ne abbiamo discusso partendo da un punto di vista più specifico:
"Tecnicamente i 1080p per 60 fotogrammi al secondo sono possibili anche su macchine poco potenti, basta non mettere niente nel gioco. Lo sappiamo che si tratta di un'affermazione apparentemente assurda, ma riassumendo è la realtà dei fatti. La scelta di risoluzione e framerate dipende da moltissimi fattori. Una legge inviolabile e comprensibile da tutti stabilisce però che più la scena 3D è complessa, ossia più si aggiungono dettagli ed effetti, più è pesante da calcolare e più richiederà una macchina potente per mantenere una fluidità elevata. A parte alcuni accorgimenti, come il miglioramento delle tecnologie software che permettono di sfruttare meglio l'hardware, l'unico modo per ottenere una fluidità maggiore a parità di hardware sarebbe il sacrificio del dettaglio grafico o la rinuncia ad alcune caratteristiche del gioco che impegnano risorse."
Purtroppo spesso la guerra delle risoluzioni è stata motivo di scontro tra videogiocatori, che l'hanno usata come ennesimo campo di battaglia per continuare la più banale e archetipica console war. In fondo quale arma migliore di numeri così netti e riconoscibili per dare alle proprie esternazioni un'aura di oggettività? Dalla resolution war è nato un vero e proprio genere di notizia, di cui non ci azzardiamo nemmeno a provare a fare una raccolta, perché per realizzare qualcosa di completo ci servirebbe anche lo spazio occupato dagli altri speciali natalizi. Possiamo però tracciare uno schema comunicativo che riconoscerete sicuramente e che ci ha accompagnato per tutto il 2014, e che probabilmente ci importunerà anche nel 2015.
La resolution war ha tenuto banco per tutto il 2014. Su cosa si basa?
Titoli multipiattaforma
I titoli multipiattaforma sono il combustibile ideale per la resolution war perché consentono un confronto diretto tra le diverse versioni dei giochi (anche se tutti sappiamo che ad accapigliarsi sono quasi sempre i giocatori Xbox One con quelli PlayStation 4). Normalmente lo scontro segue il seguente schema:
- Iniziano a girare dei rumor sulle caratteristiche del gioco X per le diverse piattaforme.
- Ne seguono schermaglie di commenti in qualsiasi luogo virtuale in cui i giocatori delle opposte tifoserie s'incontrano regolarmente, con la penalizzata che sottolinea come siano informazioni non confermate e quindi inattendibili;
- I giocatori chiedono numi a giornalisti, sviluppatori, publisher e, in caso le risposte ricevute non siano di loro gradimento, anche alle guardie svizzere;
- Ne seguono altre battaglie di commenti;
- Arrivano le informazioni ufficiali, che generalmente finiscono per produrre uno tra i seguenti schemi di reazioni:
o Una delle due versioni ha delle specifiche migliori dell'altra. I possessori della macchina sacrificata accusano gli sviluppatori di essere degli incapaci e di aver voluto favorire la rivale per oscuri accordi commerciali;
o Le due versioni hanno caratteristiche simili. Chi sente di avere la macchina più potente parla di boicottaggio.
Parte subito l'accusa di incompetenza agli sviluppatori, oltre che di aver voluto favorire la rivale per oscuri accordi commerciali (come dimenticarsi della petizione per chiedere a Ubisoft di portare la versione PlayStation 4 di Unity a 1080p per 60 fotogrammi al secondo?);
- In entrambi i casi segue uno scontro fratricida nei commenti, con accuse di corruzione mosse un po' a chiunque;
- I giocatori che si sentono penalizzati nella loro identità, chiedono numi a giornalisti,
sviluppatori, publisher e amici del calcestruzzo sul perché di tanta ingiustizia. Non mancano mai offese e minacce varie;
- Esce il gioco e nessuno sul suo televisore di casa riesce a distinguere le differenze denunciate, anche perché per vederne qualcuna bisognerebbe quantomeno giocare con diverse versioni affiancate;
- Non potendo i singoli giocatori fare analisi così approfondite, si ricorre ai professionisti del settore che si prodigano negli inquietanti videoconfronti pubblicati sulla rete;
- Ultimo scontro: la battaglia arriva al suo apice, per poi scemare fino al prossimo titolo multipiattaforma.
- Aggiungiamo noi: nel frattempo ci si è dimenticati se il videogioco in questione è bello o meno, ma fa nulla.
Ovviamente non si tratta di uno schema universalmente valido, ma se siete tra i lettori più assidui delle notizie videoludiche avrete riconosciuto diverse delle fasi descritte, verificatesi quest'anno per moltissimi lanci. Per fare qualche esempio possiamo citare Watch Dogs, la versione remastered di Tomb Raider, FIFA 15, Destiny, The Evil Within, Assassin's Creed Unity (per il quale è scoppiato un vero e proprio caso a parte) e molti altri.
Titoli esclusivi
Nel caso dei titoli esclusi non è ovviamente possibile produrre confronti diretti e lo schema del cicaleccio prodotto dai multipiattaforma decade inesorabilmente. Nonostante questo, le esclusive sono usatissime nei vari scontri, spesso più dei titoli multipiattaforma. Per quale motivo? Be', normalmente rappresentano il fiore all'occhiello di ogni macchina da gioco.
Il giocatore medio pretende da ogni titolo esclusivo tripla A che sia il top a livello tecnologico, cioè che sia capace di esprimere il massimo del potenziale ludico dell'hardware su cui gira, suscitando l'invidia dell'opposta tifoseria. Per questo le polemiche sulle specifiche dei titoli esclusivi sono ascrivibili a soli due generi:
- Il titolo soddisfa i requisiti mentali dei giocatori, quindi può essere brandito come un'arma, quindi viene esaltato come capolavoro anche mesi prima dell'uscita;
- Il titolo non soddisfa i requisiti mentali dei giocatori, quindi si chiede agli sviluppatori di fare di più per non subire gli attacchi dell'opposta tifoseria.
Sarà per questo che i flop tecnici di colossi come DRIVECLUB e Halo: The Master Chief Collection hanno fatto tanto male all'utenza? Chissà. Tirando i fili del discorso, il risultato di tutte queste discussioni è generalmente sterile. In che senso? Fatti recenti hanno dimostrato che tutto questo parlare di risoluzioni non ha influenzato moltissimo le vendite delle due console di ultima generazione. Xbox One, solitamente la più penalizzata tra le due, non si è risollevata per virtù di miracolosi potenziamenti, ma grazie a un deciso abbassamento di prezzo e a delle ottime esclusive che hanno fatto crescere le vendite nel periodo natalizio. Insomma, la resolution war si è dimostrata essere un ottimo argomento di dibattito da forum e, nonostante abbia un'influenza evidente sulla percezione generale che il settore ha di sé, lascia il tempo che trova sul mercato, dove i potenziali acquirenti regolano le loro preferenze basandosi su elementi molto differenti. Tanto rumore per nulla, per dirla come Shakespeare.