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Rapture caput mundi?

Dall'underground ai grandi palcoscenici. The Chinese Room avrà retto il balzo?

PROVATO di Stefano F. Brocchieri   —   16/04/2015

Sin da quando operava come collettivo di studenti dell'Università di Portsmouth, in qualità di modder di Doom III e Half-Life 2 e con il nome scritto tutto attaccato, un po' da snob, The Chinese Room si è segnalato come uno dei team più dotati nello sperimentare con le possibilità narrative del videogioco, la sua forza nel creare mondi e nel comunicare messaggi. Conscientious Objector, Korsakovia e Dear Esther sono opere che hanno provato a spingere il potenziale espressivo di questo medium, a sfidarne le convenzioni, ridefinirne i limiti e ribadirne l'unicità rispetto ad altri mezzi, primo fra tutti il cinema, verso cui in troppi, ancor oggi, guardano come un modello a cui ispirarsi, quasi mossi da un complesso di inferiorità che non ha davvero senso di esistere. Ricevuti i primi riconoscimenti "mainstream" con la versione commerciale di Dear Esther e la possibilità di lavorare ad A Machine for Pigs, il seguito di Amnesia, i Nostri hanno meritatamente guadagnato la possibilità di solcare un palco più grande, in grado di offrire una visibilità di livello superiore, come quello garantito da Sony, che è intervenuta per contrattare il loro successivo Everybody's Gone to The Rapture come esclusiva PlayStation 4, soffiando il gioco all'utenza PC, per il cui formato era stato annunciato inizialmente.

Abbiamo finalmente messo le mani sul misterioso e affascinante Everybody's Gone to the Rapture

Impasse d'autore

Eravamo davvero curiosi di scoprire da vicino in cosa consisteva la nuova e più ambiziosa impresa di The Chinese Room e non possiamo nascondere di averla salutata, a seguito di un primissimo provato avvenuto al Digital Gaming Showcase, con qualche dubbio.

Rapture caput mundi?

Il gioco è sostanzialmente un "titolo di camminare", un tipo di esperienza che lo stesso sviluppatore inglese ha contribuito a codificare in tempi non sospetti e che negli ultimi anni si è diffuso a macchia d'olio, su praticamente ogni piattaforma. Dear Esther, Radiator, The Graveyard, Gone Home, Protheus, The Path, The Vanishing of Ethan Carter, NaissanceE, Journey, The Stanely Parable e Thirty Flight of Loving sono solo alcuni degli esponenti di questo modo di intendere i videogiochi ormai a forte rischio di saturazione, ma che declinato con una componente investigativa, puzzle, platform, horror o scenografica adeguatamente ispirata o semplicemente accompagnato da una certa dose di personalità e di cose da dire riesce ancora a generare alcune delle esperienze più significative possano fare la loro comparsa sul mercato, di massa o di nicchia che sia, o al di fuori di esso, nei circuiti di contenuti creati a titolo gratuito. Ecco, con Everybody's Gone to the Rapture The Chinese Room sembra un po' vittima di sé stessa, dando l'idea di essere rimasta prigioniera di un metodo nato originariamente per reali esigenze espressive e diventato ora maniera, perdendosi inevitabilmente nel mucchio, incapace di reinventarsi.

Falsa partenza

Le premesse di Everybody's Gone to the Rapture sono davvero intriganti. Si è passati dall'intimità di un dialogo (epistolare) a due di Dear Esther a una scala che interessa un'intera comunità e forse il mondo stesso. Il gioco è ambientato difatti in seguito a una non meglio identificato evento apocalittico che ha fatto sparire tutti gli abitanti della Valle di Yaugthon. Attraverso quel livello di perfetta identificazione con il proprio alter ego che solo l'inquadratura in soggettiva riesce a dare, si aprono gli occhi su quella che appare come la realtà di tutti i giorni di una piccola cittadina inglese. Solo che è completamente disabitata. Si viene così invitati a vivere direttamente sulla propria pelle, senza filtri e intermediazioni, il senso di disagio, la sottile inquietudine provocata dal ritrovarsi al cospetto di una catastrofe con addosso un abito mansueto e familiare e ogni scoperta grande e piccola, vera o presunta su ciò che può essere accaduto.

Rapture caput mundi?
Rapture caput mundi?

Il tutto inserito in una cornice ad ampio respiro e non-lineare, in cui si possono esplorare in maniera sostanzialmente libera sei grandi ambientazioni senza potenzialmente rinunciare alla solita attenzione per i particolari, grazie all'adozione di una tecnologia particolarmente predisposta allo scopo, come il CryEngine 3, sospinti dalla propria curiosità, la voglia di saperne di più e approfondire l'accaduto, fino ad arrivare alle proprie personalissime conclusioni, a scrivere in un certo senso la propria versione della storia. Un quadro che unito alle idee, al livello di scrittura, alla capacità di introspezione e i coup de théâtre che hanno caratterizzato i lavori più riusciti di The Chinese Room non può che definirsi davvero intrigante, come dicevamo, ma che dopo aver sperimentato per una mezz'ora abbondante, corrispondente alle battute iniziali, si è notevolmente ridimensionato. Il gioco consiste sostanzialmente nello spostarsi tra un "indizio" e l'altro, rappresentato da "formazioni di energia" piazzate a video in una maniera che è sostanzialmente impossibile non notare, accompagnate da altre che eventualmente suggeriscono la direzione della prossima zona presso cui scovare nuovi punti di interesse, nel caso in cui si tergiversi eccessivamente. Una volta raggiunto uno di questi indizi agendo su sensori di movimento del DualShock 4 si può "attivare", sentendo alcuni dialoghi o sbloccando l'accesso a luoghi fino ad allora preclusi, come l'interno di una casa. Si spazia da riflessioni piuttosto vaghe, dal sapore più o meno filosofico, a spaccati di quotidiano che vorrebbero rappresentarci la verità che si cela dietro l'ipocrita facciata del quieto vivere, come certe rivelazioni sull'adulterio in corso tra un uomo e una donna sposati, che sanno di così già visto (anzi, sentito) da non riuscire a suonare per chissà quali rilevazioni. Per quanto riguarda le prime fasi di gioco, Everybody's Gone to the Rapture è tutto qua. Si curiosa in giro, apprezzando la buona cura con cui è stato realizzato il villaggio di Yaugthon, dall'aspetto inconfondibilmente inglese, si scopre che non si può sostanzialmente interagire con nulla, si nota un'anomalia e la si attiva. Talvolta tocca anche "guidarla", un po' come i petali di Flower, verso un punto di collegamento, tassativamente predeterminato. Tutto qua. Per quanto realizzato con attenzione e in grado di toccare a tratti le giuste corde (complice anche una colonna sonora dinamica in taluni frangenti semplicemente strepitosa), il gioco lascia un po' con l'amaro in bocca anche dal punto di vista tecnico-artistico.

Rapture caput mundi?

Nonostante l'ingresso nel team dell'ex-Direttore Creativo di Crytek UK e il coinvolgimento di Sony Santa Monica Everybody's Gone to the Rapture appare sottotono nello sfruttamento della tecnologia di Cevat Yerli e soci: se le performance un po' "faticose" spiacciono ma non creano alcun reale grattacapo visto il tipo di esperienza, perplessità più stringenti lo danno il ritrovarsi a solcare paesaggi dalla forte componente naturalistica in cui la vegetazione, fiore all'occhiello del CryEngine sin dalla sua prima versione, non si muove di un millimetro, se non in rarissimi e ingessatissimi casi predeterminati, o in cui il LOD talvolta piuttosto aggressivo su ombre e altri dettagli sporca il gusto di contemplare l'ambiente, peraltro generalmente sminuito da un aliasing alquanto evidente. Insomma, con a disposizione una tecnologia di partenza decisamente più modesta e un supporto nemmeno lontanamente paragonabile, i The Astronatus con The Vanishing of Ethan Carter hanno ottenuto un risultato nettamente superiore, e per feature, e per capacità di dare vita a un mondo più vivido, credibile e affascinante. Ma anche senza cercare necessariamente paragoni, sebbene sia il gioco stesso ad evocarli, con scorci che rimandano fortissimamente ad altro (si veda una certa chiesa con cimitero annesso arroccata su una collina...), il nuovo mondo di The Chinese Room appare inaspettatamente algido e scolastico, teatro di vicende che stentano a coinvolgere. Non resta che sperare fortissimamente che si tratti di un progetto dalla partenza diesel, pronto a fiorire una volta carburato a dovere, anziché uno sterile esercizio di stile dovuto all'ansia da prestazione di fronte all'occasione della vita.

CERTEZZE

  • A tratti estremamente suggestivo
  • Il curriculum del team fa ben sperare

DUBBI

  • Impostazione risaputa
  • Incipit poco intrigante