Negli ultimi anni al tema "violenza e videogiochi" si è prepotentemente affiancato quello "sessismo e videogiochi". Al di là del pensiero spesso estremista di personaggi come Anita Sarkeesian, che in certi casi hanno purtroppo pagato personalmente il prezzo delle loro opinioni, sarebbe assurdo negare che il mondo dei videogiochi è un mondo che tende ad accontentare più gli stereotipi maschili che femminili. Una tendenza che fortunatamente diminuisce di anno in anno grazie alla maggiore sensibilità di pubblico, critica e sviluppatori. Questo non toglie che la maggior parte dei protagonisti siano uomini, che le donne siano spesso una scusa per mostrare qualche curva, soprattutto in certi titoli giapponesi e che le donne in rete siano spesso trattate in maniera poco gentile. Alcuni studi hanno mostrato che dal 1990 la percentuale di personaggi femminili nei videogiochi è rimasta sostanzialmente stabile: 15%. Ma di questo atteggiamento sessista possiamo in qualche modo incolpare i videogiochi? Come per gli atteggiamenti violenti, pare di no.
Uno studio sconfesserebbe la relazione fra sessismo e videogiochi, analizziamolo assieme!
I numeri dello studio
La settimana scorsa è infatti stato pubblicato il risultato di una ricerca dell'Università di Colonia, finanziato dal Consiglio europeo per la ricerca, che puntava a collegare gli atteggiamenti sessisti ai videogiochi, con eventuali ripercussioni nel tempo. Lo studio è durato tre anni ed è stato sviluppato mediante interviste telefoniche su un campione decisamente ampio e in maniera longitudinale, ovvero raccogliendo dati per un lungo periodo di tempo.
Inizialmente i ricercatori hanno identificato 12.587 persone da un campione iniziale di 50.012, tutte sopra i 14 anni. Dal gruppo iniziale sono state estratte 4.500 persone per una prima ondata di domande, 2.199 per la seconda e "solo" 902 per la terza, a causa di alcuni tagli al bilancio. Da questo numero finale si è poi scesi a 824 partecipanti (464 uomini, 360 donne) eliminando chi non aveva risposto a tutte le domande. Un errore che in passato è stato compiuto nella correlazione tra videogiochi e violenza riguarda proprio la confusione tra effetti a lungo e breve termine. Visto che l'utilizzo di un gioco violento incideva nell'immediato sul livello di aggressività di un individuo, si credeva che questo lo rendesse più aggressivo col passare del tempo. La correlazione si è poi rivelata infondata, visto che l'aggressività di un individuo non è legata al momentaneo aumento in seguito a un videogioco, piuttosto cresce o diminuisce nel tempo in base a fattori ben diversi come il contesto o l'educazione. Per definire il campo di analisi i ricercatori hanno stabilito un modello di equazione strutturale basato su un'ipotesi: gli atteggiamenti sessisti sono legati ai videogiochi, ne incoraggiano l'uso e questo dato rimane stabile nel tempo.
I risultati
Durante le interviste i ricercatori hanno chiesto ai soggetti di descrivere le proprie abitudini legate ai videogiochi. Quanto tempo passavano a giocare, quanto spesso e quali erano i generi preferiti. Inoltre, veniva chiesto loro il sesso, il livello di educazione e l'opinione su alcune frasi riguardanti la società e i ruoli dei due sessi (ad esempio: "Pensi che le donne debbano avere diritto di voto?").
Le risposte venivano date usando una scala da 1 a 5, dove 1 corrisponde a un totale disaccordo e 5 alla completa condivisione della frase. Alla fine della ricerca i dati hanno mostrato che non vi è alcuna correlazione statistica tra il sessismo e i videogiochi, con buona pace di chi pensa siano il motivo per cui a una giocatrice di Call of Duty viene chiesto di tornare in cucina. E non è finita qua, lo studio ha mostrato altri dati interessanti riguardo al comportamento dei giocatori. L'attitudine sessista rimane abbastanza stabile nel tempo, così come il tempo speso con i videogiochi, ma a dispetto delle credenze popolari, sono le donne quelle che abbandonano meno i videogiochi. Inoltre, secondo questo studio, l'uso di videogiochi farebbe addirittura diminuire i comportamenti sessisti nel tempo, solo che la differenza è così piccola che viene considerata trascurabile. Non è stata invece rilevata alcuna correlazione tra il genere preferito e le eventuali attitudini sessiste, quindi non sarà un gioco di ruolo a fare di vostro figlio un galantuomo né uno sparatutto lo renderà per forza un cretino. Inoltre, le donne con un grado di cultura più alto sono quelle che giocano di più, ma anche in questo caso non c'è nessuna relazione col sessismo.
C'è ancora tanta strada da fare
Attenzione però, questi risultati non vanno presi come la verità assoluta. Il campione preso in esame si riferisce a ragazzi tedeschi e potrebbe non valere per quelli giapponesi, italiani o statunitensi. Inoltre, la scelta fra i giochi preferiti era decisamente limitata, una necessità legata al gran numero di soggetti coinvolti, ma che ha reso meno sfaccettata e accurata la correlazione fra generi ed eventuali comportamenti sessisti. Inoltre, questa ricerca non sposta di una virgola il dibattito sulla figura femminile nei videogiochi, una polemica che ha avuto il suo culmine allo scorso E3 con la famigerata demo di Assassin's Creed Unity (certo che quel gioco era partito proprio male, eh?) e la sua mancanza di assassini donna. Un vuoto che Ubisoft ha cercato in tutti i modi di colmare, arrivando a dire che la struttura femminile è troppo diversa da quella maschile e l'introduzione di un'assassina avrebbe richiesto tempo e risorse. Anche se questa polemica ci mostra quanto ormai il tema sia sentito, le donne sono tutt'ora una minoranza nella maggior parte dei videogiochi. Le loro armature lasciano inutilmente poco spazio all'immaginazione, sono spesso viste come personaggi in secondo piano, che devono aiutare il protagonista maschile, quando non delle semplici principesse in pericolo e questo senza arrivare agli eccessi di Dead or Alive.
No al puritanesimo, sì all'uguaglianza
L'EEDAR nel 2012 prese a campione 669 giochi action, sparatutto in prima persona e di ruolo e solo 24 avevano un protagonista solo femminile, mentre 300 permettevano di selezionarne uno. Analizzando le vendite si è poi scoperto che i giochi che permettono di scegliere il sesso dell'eroe hanno punteggi migliori, ma quelli con un protagonista solo maschile vendono meglio. Forse perché la maggior parte dei compratori sono uomini, o forse perché i giochi con protagonisti femminili ottengono in media un budget promozionale inferiore del 50% rispetto a quelli dove sesso si può scegliere e il 60% rispetto a quelli dove si può essere solo un uomo. La situazione non sembra essere molto diversa nel settore mobile.
Secondo uno studio del Washington Post, tra i 50 giochi endless run del 2015 il 98% avevano un protagonista maschile, mentre solo 46% offrivano un'alternativa femminile, che era gratis solo nel 15% dei casi. Spesso per poter giocare nei panni di una donna si è costretti a spendere più soldi del valore del gioco stesso, quasi 8 dollari. E tutto questo senza neppure sfiorare la rappresentazione di personaggi omosessuali, che in molti casi è apertamente censurata (esclusi i giochi BioWare, ovviamente). Questo non vuol dire che tutti i giochi devono per forza presentare delle "quote rosa", sarebbe assurdo in alcuni casi, soprattutto da un punto di vista narrativo, ma immaginate un mondo dove non potete quasi mai creare il personaggio come lo vorreste voi, vi piacerebbe? Quindi forse Anita Sarkesiaan e i suoi sostenitori non hanno ragione nel dire che l'industria dei videogiochi è una fabbrica di sessismo, senza dubbio se ogni individuo giocasse ai giochi adatti alla sua età e con la supervisione di un adulto tutto andrebbe meglio, ma ci sono molte persone là fuori che magari preferirebbero una rappresentazione dei videogiochi un po' meno legata al vecchio stereotipo delle "cose da maschi" e fortunatamente il settore lo sta capendo ogni giorno un po' di più, cercando di evitare gli scogli del puritanesimo a tutti i costi.